Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

discussione Filipppo La Porta Sul divanodella piccolaborghesia "lo stile (...) degenera a poco a poco in giornalismo di alta classe, sinistramente mondano e febbrilmente allegro" (T. Mann) Per un commento alla raccolta di saggi di H.M. Enzensberger recentemente pubblicata dal Saggiatore, vorrei partire dallo scritto che dà il titolo all'edizione italiana, Sullapiccolaborghesia, un ritratto acuto e aggiornato del nuovo ceto medio, della sua pervasività e diffusione planetaria. Anche solo limitandoci all'Italia, sono impressionanti i riscontri con alcune realtà con cui abbiamo a che fare, nel lavoro, nel tempo libero, nella vita quotidiana. Ho però la sensazione che sopra il '' capriccio sociologico" di Enzensberger, nitido e persuasivo, il lettore piccolo-borghese possa adagiarsi comodamente nella posizione che preferisce, proprio come su quel divano morbido e trapuntato, regolabile e girevole, che sembra perseguitare ovunque l'autore (1). Non è lecito pretendere da uno scritto ciò che non intende assolutamente dare. Il "capriccio" non spiega, non fornisce risposte, non pronuncia giudizi, si lirnita a descrivere vivacemente una realtà e a porre alcune domande. Ma a chi le pone e per quale ragione? Davvero la piccola borghesia sta allargando la sua egemonia culturale al mondo intero? È probabile, ma in fondo perché Enzensberger se ne occupa e 90 - Filippo La Porta perché in quel modo li? Soprattutto, perché l'irresistibile avanzata della middle class sembra metterlo un tantino di cattivo umore, anche se si sforza di non mostrarlo? A ben vedere, nei confronti dei fenomeni che registra in modo colorito e spesso divertito lo scrittore tedesco mostra essenzialmente due reazioni: malinconica rassegnazione e stupore disarmato (solo a tratti indispettito). Mentre '' sensazioni forti", come vengono chiamate in un'altro di questi saggi (2), e cioè indignazione, irritazione, depressione, odio, rabbia, paura, se ci sono, risultano accuratamente occultate. Disturberebbero probabilmente quel piacere un po' contagioso che la scrittura di questi saggi irradia, produrrebbero nel loro armonioso svolgimento un effetto dissonante, di stonatura e di appesantimento. Ma per quale ragione Enzensberger, cui da sempre è stato congeniale un alto saggismo di tipo rapsodico, non specialistico, sembra ultimamente procedere da una levità comunque impegnata ad uno stile più "sinistramente mondano" e "febbrilmente allegro"? Forse per quel gioco perverso del "so-

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