Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

cisa. Se però rifiuta di definire questa posizione, questo può significare solo una volontà di non definizione. Molto probabilmente il critico non intende limitare l'ambito delle sue possibilità. Probabilmente non intende rinunciare nella prassi a una oggettività che invece ritiene teoricamente impossibile. Il lettore non può che essere disorientato. Infatti se il critico non chiarisce la sua posizione, il lettore non ha modo di controllare i criteri secondo cui il giudizio viene formulato. E se al lettore viene a mancare questa possibilità di controllo, dobbiamo ritenere che essa manchi anche al critico. Proprio perché i suoi parametri di giudizio sono avulsi da un contesto sistematico, il critico corre il pericolo di inciampare in contraddizioni o in reazioni indotte dall'abitudine, nel momento stesso in cui li utilizza.'' Queste affermazioni hanno mantenuto anche oggi tutta la loro attualità. Nei sedici anni trascorsi dalla data della diagnosi sottoscritta da Peter Schneider, lo stato di salute del paziente non è migliorato, anzi esso è peggiorato catastroficamente. Da molto tempo ormai la maggioranza dei nostri critici non si rifà più nemmeno a criteri in qualche modo riconoscibili e criticabili ma a cosiddette tendenze che essi stessi statuiscono per poi negarle con encomiabile regolarità; oggi soggettivi, domani oggettivi, ieri ancora isterici, domani di nuovo storici. Non avremmo niente da obiettare se queste tendenze definissero una evoluzione letteraria deducibile dai libri stessi, ma nella maggior parte dei casi, esse vengono usate come fascette pubblicitarie: neorealismo e nuovo intimismo, nuova letteratura delle donne e, nel frattempo, anche nuova letteratura pacifista. In questo ambito uno dei fenomeni più straordinari è stata la scoperta, nel 1980, di una nuova ondata di letteratura sul padre, anche se, come ognuno di noi sa, non esiste opera letteraria che si rispetti che non tratti questa tematica. Se oggi un giovane volesse scrivere un romanzo su suo padre, si troverebbe a far parte di una discussione retroguardia senza speranza, sarebbe cioè un viaggiatore ritardatario che, in una stazione deserta, aspetta un treno già partito da tempo. La tendenza alla "tendenza" rappresenta la capitolazione del critico di fronte all'industria letteraria, il cui carosello gira, di stagione in stagione, a velocità sempre maggiore: tutto ciò che esce in forma di libro, è immediatamente già morto, come si dice in gergo. Trattare di libri assomiglia sempre più di al "trattamento" esorcistico delle verruche con l'uso di cantilene magiche che ne dovrebbero provocare la scomparsa. L'industria letteraria è un tritacarne nel quale si introducono giovani autori per farli uscire poi sotto forma di carta straccia. La fame di questa macchina è insaziabile: chi è fortunato viene tritato e insaccato più volte o ridotto a salame stagionato pronto per una cassetta o per un cofanetto, fino a quando, stagionatura compiuta, finisce, con un pensionamento anticipato, nei magazzini dell'impresa di riciclaggio ' 'discorso e parola". Non ci si deve sorprendere se a molti osservatori passa l'appetito già solo alla vista di queste operazioni, perché, citando ancora una volta Peter Schneider: "Il lettore si trova in uno stato di sazietà cronica, pur non avendo ingerito niente di solido." lii E siamo arrivati al terzo punto delle mie riflessioni: critica e pubblico. Affinché tutto sia chiaro è questo il momento di definire i limiti del mio discorso: riferendomi ai critici, da ora in poi, intendo alludere soprattutto al grande critico, il cui lavoro, proprio per la sua influenza sul pubblico, è una grandezza misurabile. Anche se si tratta solo di una minoranza, il grande critico contribuisce, più di ogni altro, a fissare l'immagine della categoria agli occhi dell'opinione pubblica. In questo senso è affine al grande scrittore che risponde Hans Christoph Buch - 87

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