racconti italiani - giovani Isolato si chiama quella cosa che ti permette di girare in quadrato all'infinito, senza traversare. Lo giravamo con ossessione, se fossimo stati cani credo che avremmo pisciato ad ogni angolo. Ma non volevamo dire che era nostro: forse cercavamo di segnalare che eravamo li. Forse era un richiamo per altri giovani animali: che venissero loro a prenderci, noi non riuscivamo ad uscire. Quando ci stufò ci avventurammo fuori, ma qualcosa di fisso, di rituale ce l'avevamo sempre: ci inventammo un percorso obbligato, che andava sempre ripetuto. Era come l'isolato, ma almeno era un po' più irregolare. lo me lo chiamavo il percorso della solitudine ma a Rod, anche se in quel periodo eravamo intimi, non lo dissi mai. Il tratto più bello era quando si usciva, per cinquecento metri, da London, in un viale alberato: si poteva camminare in una striscia in mezzo alla strada, e le macchine passavano da tutti e due i lati; io andavo avanti a Rod di qualche metro e urlavo o cantavo a squarciagola, le macchine facevano troppo rumore e Rod non mi sentiva. Ogni tanto non mi sentivo neanch'io. Mi chiudevo un orecchio con l'indice. Se mi chiedessero se io e Rod siamo stati veramente amici, credo che non saprei cosa rispondere. Le scuole superiori ci portarono fuori, cento metri fuori da London, dalle nostre ossessioni. lo studiavo di più, ero migliore di Rod, ma lui era più geniale. Evitavo di parlare a fondo con lui, perché finivo per fornirgli delle informazioni che non aveva. Mi ascoltava zitto, annoiato, poi sintetizzava in un momento qualcosa che io non capivo. Cominciava già a parlare in un modo strano, diverso da quello di tutti: con lui non si sapeva mai bene di che cosa si stesseparlando. lo mi sentivo insicuro per questo, e mi irritavo. Sulle cose di pelle invece andavamo ancora molto bene, c'era tutto un mondo di segni nostri, di grida e di fischi che solo noi conoscevamo; ci permettevano di andare insieme, di sentirci forti, uniti in mezzo agli altri. Facevamo uno, e questo uno doppio si permetteva di stringere amicizie che non ci scalfivano, ma che finalmente ci arricchivano di notizie straniere. Mettevamo i piedi fuori della riserva. Con la timidezza la diffidenza e l'orgoglio dei pellerossa, ci dicevamo ogni tanto. Oggi mi angoscia il fatto di essere stato io a ficcargli in testa questa ossessione della sconfitta, che lui coltivò poi nel suo delirio zoologico. I nuovi amici non erano diversi da noi. Almeno però ci aiutavano ad esplorare altri territori. Ci univamo soprattutto nella caccia. La solitudine maschile si faceva pesante, la verginità ingombrante: la caccia timida, un solo colpo in canna, ci riempiva di entusiasmo, ma anche di affettuosa tristezza verso di noi, troppo sensibili per mostrare la sfron32 - Claudio Lolli
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