ogni mezzo di scoprirne l'autore, rischiando la stessa reputazione? Tema e centro del libro non è la ricerca del colpevole; è piuttosto il perché di quella ricerca, i passaggiche la distinguono, il mondo in cui si snoda. Pontiggia si muove in interni accademici, nelle case della borghesia intellettuale, tra ambizioni e delusioni costellate di libri, di cattedre, di riviste, di amici infidi, di amanti, di matrimoni logorati, seminando nelle puntuali descrizioni di quel mondo le tracce di un malessere che lo pervade e ne mina gli stessi esiti più brillanti, le prestigiose carriere. C'è sempre nei romanzi di Pontiggia un'amarezza, una malinconia strana, che la costante ironia non cancella del tutto e che appanna un poco - per effetto, come dire?, di un soffio patetico - lo schermo lucido e freddo dell'impianto narrativo. È un aspetto che si ritrova anche nell'ultimo Il raggiod'ombra, un libro che conferma e sviluppa le acquisizioni del Giocatore... Il raggiod'ombra è la storia di un sospetto e di una caccia all'uomo: oggetto di entrambi è un individuo enigmatico, un certo Losi, che l'autore tiene in scena pochissimo, facendogli pronunciare solo una scarna battuta, ma che nel suo inafferrabile trasformismo è il beffardo vincitore della storia. Non solo della vicenda narrata, sembra suggerire Pontiggia, ma della storia che ci sta immediatamente alle spalle, tra fascismo e dopoguerra. Il libro è diviso in tre parti: la prima (capp. I-XIX) è ambientata nel 1927, dopo il trionfo del fascismo e la· stretta repressiva susseguente, con la messa fuorilegge dei partiti; i personaggi che vi appaiono sono un medico, con moglie e amante, un dirigente clandestino del PCI e altri suoi compagni, il Losi appunto e altri minori (tra i quali un notevole prof. Perego, bibliofilo appassionato sommerso dai libri). La seconda parte (capp. XXXXIII) si svolge nel '47, con l'improvviso ritorno in scena di Losi le cui perdute tracce vengono casualmente ritrovate. Losi è ora diventato l'opposto di quel che era, qualsiasi cosa fosse, vent'anni prima, e riesce ancora a dileguarsi. La terza parte discussione (il solo cap. XXIII) è ancora spostata nel tempo, nel 1959, in un epilogo che solo nelle ultime righe si compie interamente, anche se forse non proprio nel modo più imprevedibile. La prima parte scorre via veloce, in un ritmo che, se non disdegna certe pause d'introspezione, di riflessione (i colloqui del medico con l'amante e con la moglie, ad esempio, o il bellissimo capitolo su Perego), conserva una tensione e una fluidità inconsuete. Qui il meccanismo del romanzo funziona perfettamente, i dialoghi, la tenuta stilistica, la padronanza linguistica sono sono sempre a un livello alto. Le prime 150 pagine sono paragonabili, per riuscita, al Giocatoreinvisibile, e forse in certi luoghi sono anche migliori. Nelle due parti successive, il rigore formale e la tensione narrativa che stimola la curiosità e la lettura non vengono meno. Tuttavia, da questo punto, il libro sembra come cadere in una penombra, sfumando l'effetto d'insieme e l'impatto. Si smorza, impallidisce la luminosità del primo tratto, e la sensazione finale, deposto il libro e delibato un piacere che rimane non comune nelle letture d'oggi, è di un che d'irrisoluto. È come se la storia, dopo la prima parte e soprattutto nell'epilogo, si dirigesse al finale intimamente stanca, pigra, malgrado la scioltezza formale di cui si giova. Alcuni personaggi, come il medico, vengono accantonati un po' bruscamente. Gli sfondi, gli ambienti, non vengono più indagati con la stessa acutezza, e così avviene per i caratteri. Insomma, il romanzo si assottiglia, si fa scarno racconto sottraendosi a una maggiore complessità e luminosità fino a sfumare in una opaca chiarità di crepuscolo. Pontiggia sembra qui esitare difronte a un bivio, incerto tra il possibile romanzo più vasto e complesso e un intreccio più breve, denso, conciso. Il libro si regge in definitiva nell'accordo fra le due cose: la trama e il congegno efficace della prima parte e il senso suggerito, l'atmosfera, della seconda. La grande abilità dell'autore evita al libro inciampi e cadute e dissimula certe forzature e certi vuoti. Lo stesso epilogo, pur su citando quelle perplessità, recupera la sua pregnanza se Gianfranco Bettin - 231
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