discussione Gianfranco Bettin La narrazioneinvisibile di GiuseppePontiggia In un punto del suo "romanzo sperimentale" L'arte della fuga (Adelphi, 1968),Giuseppe Pontiggia fa dire a qualcuno che, nella vita, non esiste una trama nè un senso fantastico. In un altro punto, invece, in alcune pagine dedicate alle ambiguità e alle difficoltà logicogrammaticali, ci si chiede: "Dov'è la proposizione principale?". Con una ripresa quasi letterale, a pag. 118 del suo recente li raggiod'ombra (Mondadori, 1983)uno dei personaggi ribadisce: "Scusami le digressioni,ma io non faccio altro. E chi lo conosce più il periodo principale?". Una riflessione scettica ma densa e penetrante sul legame tra vita e scrittura, tra esperienzaesistenzialee letteraria, motivava, in radice, L'arte dellafuga. Perplesso e frammentario, quel testo era debitore sia a luoghi classici del novecento (Pirandello e Kafka, è stato detto) sia alla lezione del romanzo poliziesco, in un percorso ormai non più inconsueto nella letteratura d'oggi. Pur lasciando irrisolti i suoi quesiti di fondo, il libro si lasciava intendere abbastanza prossimo a opere annuncianti, o piangenti, la fine del romanzo (del romanzo come prolungamento, lettura, sintesi dell'esperienza). Era la vita stessa, spogliata del senso fantastico e svuotata di ''trama", a sottrarre ragioni e materiali alla narrazione. Gli ultimi due frammenti dell'Arte dellafuga riassumono emblematicamente questo percorso interrotto. Il primo, "L'evasione", sembra dire che tutto resta uguale, sempre uguale e ripetuto: "Fuggirono dal passato dagli amici / alla città dal mito dal futuro / dai libri dalle natiche dai figli/ dall'equivoco dalla folla dal lavoro: / Fuggirono nel futuro negli amici / nei libri nel lavoro nelle natiche / nella città nei figli nell'equivoco / nella folla nel mito nel passato". Il secondo e conclusivo brano, "Gli addii", appare una sorta di epitaffio sul vuoto delle parole: "furono sul molo, nella stanza / ai piedi del grattacielo, in fondo al bar, / in una strada in ombra, lungo il fiume, I alla foce, sul ponte, sotto gli alberi. / Rinunciarono alle parole? No, parlarono / a lungo, inutilmente, dicevano". Il libro si chiude sul quel "dicevano" troncato, senza seguito, una parola che si protende in uno spazio interlocutorio e indefinito. Che cosa "dicevano", cosa si raccontavano "inutilmente" in quei luoghi dell'esperienza comune, privata di senso e di trama? Tra L'arte dellafuga e il romanzo successivo, Il giocatore invisibile (Mondadori, 1978), passano dieci anni. Oltre a rari racconti - tra i quali Lettore di casa editrice, apparso in Ade/phiana 1971 - Pontiggia ha nel frattempo proseguito l'attività editoriale e critica (è fra i curatori, dal primo numero, dell'Almanacco dello specchio) probabilmente trovando modo di riflettere su quel "dicevano" sospeso. Il giocatore invisibile, la cui nitida e scorrevole costruzione ha conquistato numerosi lettori, è un libro che per vari aspetti sembra scavalcare all'indietro L'arte della fuga e ricollegarsi all'opera prima di Pontiggia, il racconto lungo La morte in banca (apparso nei '' Quaderni del Verri'' di Anceschi nel '59 e poi ripubGianfrancoBettin - 229
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