Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

multipli", come fra l'Io e gli altri, o fra il sesso maschile e quello femminile, a lui non si dànno a conoscere "confini precisi''. Se anzi Emanuele è la propria madre e il fratello morto di lei, e più in genere "l'ultimo di una serie infinita di riflessiingannevoli", ciò vuol dire che partecipa intimamente di questa illusorietà, non si limita a produrla oniricamente, ma è il doppio per antonomasia e il vero oggetto della quete, nonché l'inarrestabile sdoppiamento vociferante del narratore che dice Io: "la mia natura scissa, che spessoinvalida la mia testimonianza perfino al giudizio mio proprio", arriva a "consumare intere giornate in dibattiti a più voci... Dico a più voci, sebbene, in realtà, la voce fosse una sola: la mia ... la mia propria voce che parla. E in certi casi varia timbri e toni; e si raddoppia, e si moltiplica e disputa e si affolla". Come già il selvaggio istinto materno di Aracoeli aveva inventato, dalla sua prima comparsa, ''voci diverse'' per la sua immaginaria "criatura". E come, facciamo appena in tempo ad aggiungere, diventa più voci la voce della scrittrice che riassomma nello stesso spazio mitologico una vicenda di cui conosciamo tutti i protagonisti da sempre (i ricordati crimini materni di Baudelaire, la traccia biografica di Pasolini, i Vangeli, Leopardi). L'io narrante è un invasato, come colui che parla il linguaggio della letteratura. Il suo "ignoto entusiasmo (enthusiasmòs = invasione divina)" si esprime però con la monodia assorta del più tremendo cantore biblico, anziché con la furia scomposta e plurale dell'ossesso, e dètta una grande prosa d'autore, in cui le voci differenti rimangono come echi e nostalgie nella filigrana di quella che Fortini ha definito una ,,ostinata presenza critica", o resistono dure come citazioni miracolose. Tale rigorosa coerenza, non monolitica ma da virtuoso dell'arabesco condotto con un tratto solo, fa il buio intorno a ciò che disegna nitidamente, un buio tanto più vero· in quantq_le apparizioni che lo squarciano potrebbero essere frammenti di altre storie, di ,miti che riguardano tutti. Colui che ne viene visitato ha scelto come strumento discussione ed emblema del suo sdoppiamento, e prima ancora del paradosso temporale che glielo ha imposto, lo specchio, la "specchiera da cui sempre mi riaffiora, vera e presente, Aracoeli". Come l'uso intemperante della similitudine, che riduce la gamma delle osservazioni, e come l'attenzione alle somiglianze fisiche e morali, che incrina originariamente la capacità di individuazione di chi, bambino, veniva sollevato "su verso la luna, come per fare sfoggio di me verso la mia gemellina in cielo", lo specchio rappresenta una radicale istanza di assolutezza, che rende pletorico persino lo schema triangolare dell'Edipo e si arresta solo davanti al mistero e alla irriducibilità di un nucleo elementare: quello della maternità. Fuori della maternità, dove due sono uno e di uno si fanno due, originando e arginando insieme il precipizio delle diversità nello specchio del nulla, vale per tutti la maledizione che a Emanuele romanzescamente sembra colpire solo lui: "mai più tu sarai/ un oggetto d'amore I mai per nessuno mai / mai tu sarai un oggetto I d'amore". La contaminazione di morte e follia, che nel romanzo sfigura la maternità in una orrenda Pietà capovolta, è una legge universale. Dei due che non vogliono mai più cessare di essere uno e quell'uno che vuole sfuggire all'abisso del corpo che gli si spalanca sotto, diventando due. Nera parodia del fanciullo divino, Emanuele è colui che, nell'abbandono, sperimenta la non esistenza e potrebbe davvero chiamarsi Ninguno in un mondo in cui di qualcuno si può dire che "non nasce". Il miracolo del suo avvento, dissacrato e oscurato dall'attesa di una ulteriore e menzognera Encarnaci6n, persiste tuttavia nel riscatto che, attraverso di lui, si compie per tutti gli uomini disperati nella propria solitudine, inorriditi di fronte alla rivelazione del sesso e della morte, vocati al macello dalla loro inferiorità di cuccioli senza madre. Per tutti coloro che hanno patito la perdita del "motivo supremo" del pudore e hanno sentito l' "urlo femminile atroce, laido e tragico", che li ricacciava nel nulla. Elsa Morante ricomincia di qui. Alla Nicola Mero/a - 227

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