Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

discussione Nicola Merola Aracoeli: incarnazionee morte Aracoe/i non si lascia raccontare facilmente. Piuttosto ci si vive insieme, se già abbiamo cominciato a ripetere per conto nostro l'affannoso andirivieni della memoria narrante dentro la gabbia del romanzo e dietro le presenze reali e sfuggenti con cui lo avevamo quasi presagito; ma sdipanarne la matassa in un fùo diverso da quello che intesse l'illusione della sua sibillina densità, inquisire e giudicare, ci sembrerebbe addirittura una profanazione odiosa. Elsa Morante ha comunque provveduto a diffidarcene, con una alzata d'occhi della sua personificata memoria, che si distoglie di scatto dalla sua confabulazione salmodiante, per volgere una espressione di gelo verso di noi che non vorremmo perdere una sillaba: "l'intelligenza contamina i misteri: violentarli è un lavoro disgraziato, che si conclude nel guasto e nella degradazione". Allo stesso modo, in un aparte che non rompe il ritmo del suo negromantico carmen, a noi giunge la stridula secchezza di un divieto: "Da vedere non c'è niente" e "non c'è niente da capire''. E noi consentiremmo volentieri, di fronte alla privatezza del dolore disperato e della angosciosa ricerca che ispirano Aracoe/i al di là di ogni finzione, se solo ci potessimo sottrarre all'ufficio pietoso di riconsegnare il romanzo alla letteratura. "L'ignoranza delle leggi è delitto": soltanto come letteratura vive e vale la straordinaria verità di questa loro classica violazione. Il romanzo proietta intorno a sé una grande ombra, un radicamento complesso nella cultura e una profonda nsonanza 226 - Nicola Mero/a nella coscienza, che si lasciano intuire attraverso la catena di echi che lo percorrono tutto, richiamandosi da un punto all'altro e rimbalzando dall'interno all'esterno. Amuleti che luccicano sullo sfondo opaco del ricordo e recano con sé, spesso sigillati nello spagnolo dei vezzi infantili, suoni inconfondibili di voci, attitudini gesti circostanze, un motivo musicale che siamo sempre li li per afferrare e ritroviamo in quell'altra lingua infantile che ogni tanto ci torna alle labbra, non perché la parlassimo mai noi, ma perché ci ha parlato e ora come allora ci riconosce dovunque: ma-ma;zape zape zape; mamo/a mamo/a mamo/a; e/ coco; la mufieca; Tote-Taco; la Quinta; anda, nino, anda; /os ojos azu/eslacaramorena. Una madre e un bambino si parlano, si toccano, si propagano all'infinito e sembrano poi venire da ogni punto dell'orizzonte. In Aracoe/i, la memoria è l'organo di una funzione essenziale, di un tenersi desti, da un capo all'altro del romanzo e da un appuntamento mancato all'altro, per vegliare sulla fiammella della vita. Essa si configura come una specie di percezione spaziale del tempo, l'irradiazione di quelle voci appunto e l'illusione di chi si incammina per raggiungerle. Un'illusione, perché, laddove la compresenza genera "confusioni patologiche della fantasia e della memoria", nulla assicura che quelle voci siano mai esistite per davvero, e perché, per il figlio che la va a cercare, Aracoeli è stata fin dall'inizio un doppio, il primo alter ego di una progressiva corrosione del principio di identità: "fra l'unità e i suoi

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