raccontiitaliani - giovani fosse nemmeno voltata a prevenirla e prendere la tazza prima che la poggiasse sulla piccola lastra di marmo del comodino, come le altre volte, e nemmeno mentre tornava indietro avesse mosso un braccio o girato il corpo per disporsi a mangiare. Tornò indietro con una leggera ansia improvvisa e, sulla porta, fa trovò che ancora pareva la guardasse nella penombra della piccola finestra, la testa sui cuscini, le braccia scostate dal corpo girato leggermente sul fianco. Pareva che dormisse, ma nemmeno spalancando gli scuri con un colpo contro il muro, e poi chiamandola e scuotendola per la spalla sollevata, riuscì a smuoverne la rigidità: adesso che c'era più luce, notò l'incredibile biancore della faccia che trapassava senza salti di tono nella massa composta dei capelli, la bocca come risucchiata maggiormente per una contrazione che poi l'avesse fissata nell'attimo d'uno spasmo. La chiamò ripetutamente, anche quando non c'erano più dubbi, non pareva possibile che la bocca, che aveva parlato fino alla sera prima, il corpo che s'era mosso, adesso, li, fosse tutto così fermo, congelato. Che gli occhi non fossero più occhi, le mani non più mani, le gambe non potessero più articolare i piccoli passi che ancora l'avevano mandata in giro per la casa. E subito fu evidente, occupò di colpo tutto lo spazio dentro di lei lo sgomento che mai quel livore avrebbe abbandonato quel volto, quel corpo, che solo per poco ancora avrebbero conservato la propria fisionomia, che sarebbero stati le eco sempre più attenuate, corrose e disfatte dell'espressione che tanti gesti e sentire e patire avevano composto in così tanti anni. Che tutto ciò che s'era mosso intorno a lei e che dai suoi modi, dalle sue inclinazioni, dal suo pensare e sentire era stato organizzato e vivificato, di colpo perdeva il filo che ne raccordava la rete, la corrente che ne animava le parti, la spola che ne componeva l'orditura; che tutto ricadeva nella propria particolarità, congelato nel vuoto del proprio isolamento, e mai, per l'eternità, sarebbe tornato a vivere in quella disposmone. Questo sentì, subito che aveva lasciato il corpo ricadere nella positura in cui l'aveva trovato, che tutt'intorno, la casa ma anche il paese, la strada, la città, la terra nel suo sistema, e le costellazioni, tutto aveva perso un assetto, un ordinamento; lo sentì come una vertigine improvvisa, acuta e dolorosa, perché era un assetto che non le era estraneo, ma conteneva anche la sua persona. Ricordò sua nonna, la madre di lei, intravista dentro la cameretta che poi sarebbe stata la sua; allora, aveva una decina d'anni, quella rigidezza le era parsa innaturale, aveva pensato che potesse catturare un corpo solo per una mostruosa deviazione delle leggi dell'universo. Si chinò a sistemarla supina, togliendo uno dei cuscini che le piegava eccessivamente la testa, e, congiungendole le braccia una mano 20 - Leandro Angeletti
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