narrativa e memoria getto, pochissime le correzioni sulla stesura originaria. Cancogni, come amico e come uomo di lettere, ha avuto la fortuna di leggere il libro man mano che Carlo lo scriveva. E poi la presenza affettuosa della nostra padrona di casa, Annamaria Ichino. Carlo attraversava un momento di disoccupazione interiore. Finire un'opera è un momento di infelicità, mentre iniziare un libro è un momento di felicità. Ero stata tra i primi a leggere il Cristo, lo aveva letto tutta la famiglia, Lina, Umberto Saba. Un altro amico di papà era Giulio Einaudi, il quale dopo la guerra aveva voluto pubblicare tutta l'opera poetica, in veste poverissima: carta grigiastra, con una rilegatura che si spaccava tutta, e che per papà era un dramma. In realtà un'opera toccante, tanto è vero che ebbe subito il Premio Viareggio. Papà era molto sensibile alla comprensione umana. Con l'affetto si otteneva da lui qualsiasi cosa. Ora Alberto Mondadori era molto caloroso con lui, e disperato di non poter avere Il Canzoniere. Allora per consolarlo mio padre gli disse: "A te darò le prose". E così ha lasciato i diritti per le poesie a Einaudi, le prose a Mondadori. Da Mondadori sta per uscire l'Epistolario (1901-1957)di Umberto Saba virtuoso del dialogo: con i famigliari, con gli amici, con se stesso: l'introduzione è di Sergio Solrni. L'Epistolario era in preparazione da circa vent'anni. Un'impresa non facile. Ero sposata a Roma con Leonello Zorn. Ma andavo a Gorizia a trovare papà. E le visite si erano fatte più frequenti dopo la morte della mamma (25 novembre 1956).Era il marzo del '57 (sarebbe morto il 25 agosto), mi ringraziò d'esser venuta. Una grande disperazione era tornata in lui, o piuttosto egli la provava di nuovo, poichè dubitavo che l'avesse mai perduta. Ci trovammo soli, faccia a faccia. E non dimenticavo quel viso: vi ho letto l'infinito dolore del mondo. Mi disse che non aveva ricordato la preghiera del mattino. Fui turbata, perché lo conoscevo come uno spirito laico. Ma per darmi un tono, dissi: per dimenticanza. "No - rispose - perché non ne ho avuto la forza". Allora provò a inginocchiarsi, fino a toccare lo zoccolo del pavimento. Prima di uscire dalla stanza, ascoltai distintamente: "Dio, perdono, se in paragone al nostro, lo sforzo del poeta è una prova da ragazzi". Chi evocava qui, un Dio degli ebrei oppure un Dio dei cristiani? Non un Dio dei cristiani se mi diceva che il cristianesimo fin qui aveva predicato più che attuato. Forse solo un monologo sulla povertà dei propri mezzi. Chi legge le lettere dell'ultimo Saba a Don Giovanni Fallani può pensare alla necessità della poesia in termini cristiani. Ma è solo una accettazione del proprio limite, sia pure lucidamente disperata. Era molto lontano da un qualsiasi tipo di conversione. Era solo un Saba bisognoso di un qualsiasi appiglio, e che non si era liberato di tutte le parole, prima del riposo del silenzio. Linuccia Saba - 177
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