Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

narrativae memoria ovunque, le ceramiche senza forma che avevo cotto nella fornace di San Salvatore in Lauro, l'edera che si diramava come una ragpatela sui muri calcinati, i pinastri stenti. Temevo per le delicate campanule rosse, bianche, gialle, percosse dalla bufera. Mio padre avrebbe parlato a lungo di quella calma notte, calmo sonno, calmo tempo. Ma era anche un uomo estremamente difficile. Si avvertiva in sua presenza una certa pesantezza, qualche volta una sorta di disagio. Bastava un niente a turbarlo. Poteva passare in pochi istanti da uno stato di felicità a una totale infelicità. Per una pausa in un discorso, per una parola che non andava bene, per una stupidaggine qualsiasi. "Se i fatti fossero stati diversi - diceva Carlo quella sera - la mia opera avrebbe avuto un altro volto. È chiaro che la condizione storica ha pesato sugli sviluppi dei miei personaggi". Mio padre lo pregava di mettere da parte le sentenze, e facemmo l'esempio della guerra: 1943, il principio della fine. "Anch'io ho dovuto nascondermi - ci diceva - e ho avuto amici catturati e uccisi''. Non parlava più, una strana angoscia gli imponeva il silenzio. Cercavo di penetrare quel mistero. Ci disse che la storia è schizoide, domina incontrollata, annienta quanto era già consolidato dalla nostra conoscenza, rende ambigua la stessa speranza. Ricordo distintamente quella notte. Un orologio segnò le due. Dalla strada saliva ancora il rumore del traffico, dal semaforo soprattutto, in cui la corsa delle auto improvvisamente si arrestava e riprendeva subito dopo. E il rumore mi faceva trasalire ogni volta, anche se ero abituata a sopportarlo come una vibrazione umana, forse perché ad esso si accompagnava la mia pulsazione cardiaca. Un rumore più forte fece vibrare un bicchiere. Conoscevo le mie abitudini prima del sonno. Il capo rialzato dai cuscini nel letto ingombro di carte manoscritte (era il '50, tentavo già allora di riordinare le lettere di papà), bisbigliavo un invito al gatto che dormiva sul vecchio pavimento di listoni di legno. Dimenando la coda contro le mie mani, per accertare la mia disponibilità ad accoglierlo, il gatto con un salto andò a sistemarsi tra il lenzuolo e i cuscini, ma infastidito dalla luce forte della lampada di opaline sistemata dietro il letto, voltò il muso verso la parete, e offerse pazientemente solo la schiena alla mia mano. Avevo conosciuto Carlo Levi, nel '44, a Firenze. Era nascosto in una abitazione di fronte a Palazzo Pitti. Venivo da Milano con dei documenti politici, e il viaggio clandestino non era stato facile, poiché i tedeschi certo non mi amavano. Carlo mi fece un interrogatorio serrato sugli amici che avevo veduto, sulle tappe del viaggio. Provavo dapprima molta antipatia, e non davo risposte utili, finché un amico azionista non mi spiegò la posizione di Carlo nel Partito d'Azione a cui aderivo. Praticamente abitavamo nella stessa casa. Il Cristo era nato perfetto, Carlo lo aveva scritto in cinque mesi tutto di 176 - Linuccia Saba

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