Linea d'ombra - anno I - n. 2 - estate 1983

raccontistranieri Domani ho il primo turno. Credevo fossi in malattia. Fino a oggi, dissi. Fatti fare un altro certificato medico, propose Robert. È finita, replicai, non lo capisci. Che cosa è finito. Lo sai benissimo. So solo che ti stai tirando indietro, concluse, andò alla moto e cercò di farla partire. Piantala, dissi. Schiacciò a fondo il pedale; andai verso di lui, deciso a impedirgli di avviarla. Ma lui scostò con forza la mia mano e riuscì a far partire la moto. Fece per sedersi, e io lo strappai dal sedile. Cercò di colpirmi ma lo tenevo ben stretto per la giacca. Robert, per liberarsi dalla presa, lasciò per un attimo il manubrio. E in quel momento vidi che la moto cominciava a scivolare giù dal pendìo. Spinsi Robert da parte e feci un balzo in avanti, ma non riuscii a fermare la moto. Il manubrio finì contro un albero, la moto si ribaltò, si schiantò contro un albero finché, arrivata fino in fondo al pendìo, scoppiò. Vidi la fiamma sprigionarsi dal serbatoio. Merda, disse Robert alle mie spalle. Chiudi il becco. Te ne compri una nuova, disse Robert, te ne pago la metà. Vidi le fiamme diminuire d'intensità e sentii il puzzo delle gomme bruciate. Mi dispiace. Piantala di scusarti. No, ascolta. Mi spiace davvero. Fammi il piacere di smetterla di frignare. Idiota che sono stato, disse Robert. Mentre scendevo giù per il pendìo, mi girai e lo vidi, sopra di me, con le braccia abbandonate lungo i fianchi. Quando risalii, teneva il viso stretto tra le mani. Cominciai a dargliele. Lo colpii in faccia e sullo stomaco. Non si difese. Continuai a picchiarlo finché non cadde riverso sull'erba. Bravo, ansimò, Robert, distruggiamoci a vicenda. Vattene. Mi girai e me ne andai. Sapevo che non l'avrei mai più rivisto. Il vecchio tossì. Mi guardò e stava per aprire la bocca, ma io dissi: Mi lasci in pace. Mi appoggiai contro la parete e chiusi gli occhi. Poter dormire, pensai, svegliarsi nel proprio letto e rendersi conto che è stato tutto un sogno. Mi addormentai e mi trovai all'entrata della sala macchine. Il caporeparto mi saluta e mi chiede: Ma tu venerdì non 118 - Thomas Brasch

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