raccontistranieri Entrammo e prendemmo posto; c'era molta agitazione in sala. Appena cominciarono, sentii che c'era unfeeling quasi elettrico e mi sembrò che la sala dovesse saltare da un momento all'altro. Erano apparsi uno dopo l'altro, scatenando a ogni entrata un casino indescrivibile: erano Otis Rush, il cieco Sleepy John Estes e Yank Rachel, che lo aveva accompagnato nei suoi giri nel Sud degli States e che ora teneva il mandolino come avesse avuto in braccio un bambino, e poi c'erano Big Joe Turner di Kansas City, l"'urlatore" blues, Jack Myers, che, coi suoi tamburi, ci faceva sembrare all'inferno, e infine Pete Williams. Era là, sul palco, curvo sul microfono e sembrava un po' intimidito: e sentii Louise, che sconvolse tutti i miei pensieri e le mie emozioni. Con quei suoni selvaggi mi trascinò dai campi di cotone fino all'Angola State Prison. E me lo vedevo là, seduto dietro le sbarre, lui e la sua chitarra fatta con le cassette delle sigarette, accusato di omicidio e in attesa dell'esecuzione, e adesso era qui, in questa piccola Germania stanca e divisa, era qui a farci sentire così impotenti, coi suoi dolcissimiaccordi. Robert e Sophie, seduti accanto a me, non dicevano una parola e un negro sui cinquant'anni, in piedi davanti a noi, sembrava insegnarci che ormai tutte le nostre parole sono state divorate dai porci della storia, che la nostra vecchia lingua è ormai morta sulle nostre labbra. Dopo il concerto, andammo a piedi fino al muro. Pensavo fosse più alto, disse Sophie. Tornammo poi ad Alexanderplatz, e cantavamo: C'è una casa in mezzo a Berlino, e Robert spiegò a Sophie che ogni cosa è un tutto, BerlinoOvest e Berlino Est e Berlino tutta quanta e metà te e metà te e me. Tutte le cose sono intere e, se le dividi, tornano a formare un intero. Se adesso pensavo al muro, per me il muro significava la fine; per Robert no, e proprio per questo il muro, anche per lui, rappresentava la fine. Andammo a casa di Robert, nella Schonhauser Allee, dove viveva in una stanzetta in affitto; la padrona di casa, una vecchietta, ora in pensione, s'era stabilita da non molto a Berlino. Era rimasta sola: suo figlioera morto, cadendo dall'alto del mulino, e così, ora, era venuta a stare in città per godersi in santa pace il resto della sua vita. Ci sdraiammo tutti e tre sul letto e rimanemmo lì a guardare il soffitto. Quando facevo la scuola infermieri, disse Sophie, avevo un prof essore che si chiamava Baumann. Insegnava biologia ed era sposato con un'interprete. lo avevo diciott'anni. Sua moglie si chiamava Gertrude mi diceva sempre che dovevo imparare; io pensavo intendesse lo studio Thomas Brasch - 113
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