raccontistranieri lefono e affitto pagati. Un giorno lei lo colse nella luce girevole della verità, una figura maestosa che prese una posizione molto netta su un fustino di detersivo e crollò di colpo. Ora lui è sulla costa d'oro di un altro continente, incantato dal sopravvivere di civiltà clandestine. Nessuna tragedia da cucina può toccarlo. Nonostante questo, diedi a Clifford un'ultima occasione di rinnegare e diventare mio amico. Dissi, "Li ho rovinati? Io li ho rovinati?" Questa volta non si diede la pena di rispondere perché si era messo a raccogliere i suoi vestiti in varie parti della stanza. L'aria stava filtrando dai miei due polmoni, afflosciandoli. L'acqua saliva, ribolliva per entrare, e sarei morta di polmonite istantanea - una cosa di cui non conoscevo l'esistenza - se la mia mano non avesse afferrato un portacenere di vetro e l'avesse, indipendentemente dalla mia decisione personale, lanciato. Clifford era carponi sul pavimento alla ricerca dei calzini che aveva lasciato sotto la poltrona il venerdì. Mi dava la schiena; la sua testa era proprio sulla traiettoria. E sarebbe morto da quel perfetto idiota che è se io, accecata dalle lacrime, non mi fossi limitata a strappargli quello che dopotutto non è altro che il residuo del lobo auricolare. Ma Clifford è una persona di indole mite, un assortimento di dolci inclinazioni. La vista di tutto quel sangue lo paralizzò. Si immobilizzò, tremante; aspettò carponi un altro segnale della Morte, lo Sceriffo dello Stige. "Non si dicono queste cose a una donna", sussurrai. "Brutto cretino. Non si dicono queste cose a una donna. Lavati, idiota, stai sanguinando a morte." Lo lasciai solo a legarsi un laccio intorno alla trachea o a curarsi secondo il più aggiornato programma di pronto soccorso della Grande Guerra Globulare in arrivo. Andai in punta di piedi in camera da letto a dare un'occhiata ai bambini. Dormivano. Li coprii, baciai Tonto, il mio piccolino, e dissi, "Richard, come sei grande.'' Baciai anche lui. Mi sedetti sul pavimento, e sfregai la guancia sulla coperta di pelle di pecora tutta strappata di Richard fino a quando il respiro dolce del loro sonno profondo non mi tranquillizzò. Un paio d'ore dopo Richard e Tonto si svegliarono mettendosi le dita nel naso, sternutendo, irritabili, poi contenti. Ammirarono i geroglifici di BandAid che avevo creato in onore delle loro ferite. Richard mangiò minestra e Tonto mangiò prosciutto. Non mi chiesero di Clifford, che peraltro possedeva una chiave con la quale aveva sempre aperto la porta per entrare o per uscire. Quella chiave riposava nel terriccio della mia pianta di gomma. Mi sentii interrotta. Non c'era nessuno cui volessi offrirla. "Avete ancora fame, ragazzi?" chiesi. "Nossignora," disse Tonto. "Sono pieno fin quassù," alzando la mano sugli occhi. "Adesso ascoltate," mi venne un'idea geniale. "Andate giù a giocare." "Calma ragazza," disse Richard. Guardai fuori dalla finestra del soggiorno. Quattro piani più sotto, armato fino ai denti, Lester Stukopf aspettava il nemico. Senza pensare, diedi a Richard questa informazione riservata. "È solo?" chiese Richard. "Si", dissi io. "O.K., O.K." Richard mi guardò tristemente. "Solo, ricordati, Faith, vado giù perché ne ho voglia. Non perché me l'hai detto tu". "Be', naturalmente," dissi io. 74 - Grace Paley
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