Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

narrativae diario no è il contrario di quello che sanno? Dunque era necessario e inevitabile il passaggiodalla coscienza di classe oggettiva a quella soggettiva, passaggio quindi da "masse" ad "avanguardia" e finalmente a Partito. La distinzione fra gli "uomini speciali" (la locuzione è di Stalin) e gli uomini comuni stava scritta fatalmente nella riduzione tendenziale di ogni alienazione a quella storica e classista. Gli-uomini della massa e "comuni", vivendo nella unità contraddittoria di storia e natura, di partecipazione e di deperdizione, avviene che angoscia e tragedia si alloghino nei dislivelli oggettivi fra coscienza e comportamento, fra rappresentazione della realtà e azione in essa. Detto altrimenti: nel momento "in1elle11uale"di ogni singolo, non solo del ceto così denominato. L' "uomo speciale" finiva con l'essere colui che non solo era passato da uno ad altro livellodi coscienza, trasformando la negatività latente in negazione manifesta; ma che non aveva alternativa tra lo scegliersi come "intellettuale" (privilegiando così il proprio distacco dalla "normalità") oppure il cedere alla tentazione della "natura" e del "fato" sentito come "natura": questa seconda è infatti, simultanea all'acquisto di una più alta coscienza, la regressione di tutti i personaggi tragici, verso l'omicidio o il suicidio. Per sfuggire a tale alternativa non gli rimane che la fuga in avanti nell'apostolato, l'orazione di Ulisse ai "compagni", la lotta per condurre gli altri a diventare simili a lui, a uscire dalla "normalità", ad assumere finalmente la sua medesima visione del mondo. Questo fu il tema di tanto Dostoevskij; e di tutti i Terrori che abbiamo conosciuti e continuiamo a conoscere. Il tendere-a, lo Streben collettivo diventò così il solo modo reale di vincere l'angoscia, di assopirla mutandola in storia; di passare dalla tragedia all'epica. Questo accadde e accadrà ancora, sorte probabilmente inevitabile di ogni autentica tensione politica. Ogni lotta politica è necessariamente nemica della "condizione umana". Gli uomini sono tali perché necessariamente nemici della loro siessa "natura". 8 febbraio 1970 Contro la "le11era1uraproletaria". Il colto che gode a leggere l'autobiografia dell'incolto per quel che in essa è, appunto, incolto; e l'incolto che gode specificamente di quel che nella pagina "colta" lo umilia, appartengono ad una medesima categoria di bassezza. La gente scrive anche perché ciò che è scrillo restituisce un sè diverso da quello che ci rinviano gli altri, il lavoro e noi medesimi. Ma questo non vuol dire essere scrittore: vuol dire (ed è cosa in sè né buona né cattiva) sperimentare una diversità da se stessi che, se non serve alle nevrosi private e alle mitologie compensatorie, può essere una via d'uscita dalla innocente illusione della immediatezza. Ma essere scrittore significa saper portare al massimo di coerenza quella diversità, usando il linguaggio, e non già essendone usati. Essere poeta significa arrivare a fingere di essere usati dal linguaggio, di esserne attraversato come da un dio, di diventare tramite. Di tornare quindi, apparentemente, alla passività del parlante e dello scrivente immediato; e invece assumere in realtà tutto il linguaggio - e tutta la cultura - per restituirlo in una forma specifica ossia in una diversità giudicante. La meta è di avere di fronte al linguaggio di tutti (e quindi anche a quello della tradizione culturale) l'apparente calma nervosa del domatore e la sua invisibile paura. Franco Fortini - 65

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==