narrativae diario lontà di impadronirsi del linguaggio di un filosofo della scuola di Francoforte, con Hegel alle spalle. Non hanno mai ascoltata una lezione di filosofia e vengono, quasi tutti, da famiglie operaie della più tetra periferia e dell'hinterland. Stamani avevo scritto sulla lavagna un appello: si farà un'ora sola su Marcuse - delle due previste - perché c'è il funerale di Pinelli. Chi vuole ci venga. Poi ho detto - ma non so se ho fatto bene - che era meglio limitare la partecipazione. Quando alle tre e quaranta sono uscito ho capito che nessuno dei ragazzi sarebbe potuto venire. A quell'ora dovevano avviarsi ai pullman e ai treni della Nord per tornarsene nelle loro case buie. Ci sono di quelli che abitano a un'ora e mezzo di viaggio. Ho percorso in auto i viali verso il ponte della Ghisolfa. C'era molto traffico, è l'ultimo sabato prima di Natale. Dopo via Bodio, sulla discesa del ponte che si prolunga verso occidente con un lungo nastro soprelevato di cemento, m'è venuto addosso, accecandomi, il sole già basso, al tramonto, rosso, tutto faville. Riconoscevo la Milano futurista, espressionista, anarchica, degli Anni Dieci. I raggi trapassavano un'aria polverosa, gelata. Foglie e carte. I piazzali convulsi, la secca sulle aiuole spartitraffico. La strada era nera di folla, fra le due pareti di case popolari. Donne, gli oc- .chi rossi e lo scialle, si affacciavano. Qua e là, fotografi appostati. Mi sono detto: quanta gente. Ma non era vero. Neanche un migliaio di persone. Quanti debbono aver avuta paura. C'era un mazzo di bandiere nere con la A in rosso. Due o tre bandiere rosse. Di quelli della Quarta Internazionale, credo. Molti, forse i più, erano giovani; ma molti anche gli anziani e i vecchi. Quando sono in mezzo a una folla non mi rammento di essere già, per i più, un vecchio. La bara veniva avanti dal fondo della strada, su di un furgone identico a quello che giorni fa aveva portato via Umberto Segre. Poi, tra la gente che guardava silenziosa dai marciapiedi e la gente che guardava dalle finestre, venivamo noi. Cercavo con gli occhi Vittorio e Giovanni e così mi volgevo, camminando e guardando in faccia la piccola folla. Non si sentiva neanche lo scalpiccio. I visi erano seri ma non tesi. Una vecchia magra, gli occhi rossi di lacrime, mi ha salutato. L'ho riconosciuta, stupito: è una comunista, di quelle che per vent'anni hanno fatta la Milano alto-borghese - che ci ha portati in qui. Di altri comunisti del PCI, ne ho veduti pochissimi: vecchi i più, alcuni vecchissimi. Come mai sono qui, confusi con i Marx-Leninisti e gli anarchici? Sono, ora capisco, i nostalgici dello stalinismo, sempre più respinti ai margini del partito. Poco dopo essere uscito sul viale - un filo di sole rosa sulle bandiere e le giacche a vento - la folla si è fermata. Ho visto R., alto, già molti capelli bianchi, sua moglie, piccola e muta. Goffredo dice che domattina Enzo Paci parlerà al cinema Anteo. li PCI non voleva dare il locale, aspettasse dopo le feste. "Dopo le feste", avrebbe risposto Paci, "siamo tutti in galera". La polizia non permetteva al corteo funebre di proseguire. Insieme a N. sono arrivato a Musocco che era ormai il crepuscolo. Faceva sempre più freddo. Abbiamo camminato svelti attraverso la pianura di croci e monumenti. È sterminata, fino all'orizzonte non vedo che cippi e croci. Al Campo 76 ci sarà stato un centinaio di persone, un gruppo cupo sulla terra smossa, sotto il cielo verde e viola. Su di un viale poco discosto, sotto grandi pioppi ignudi, una ventina di agenti in borghese guardavano i compagni 62 - Franco Fortini
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