Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

bottega buiscano la paternità di Tozzi, perché Tozzi è un grande scrittore, ma questa paternità la vedo debole. Semmai ci vedo un incontro sul piano culturale. Da giovani, anche se lui era più vecchio di me, abbiamo letto gli stessi autori e fatto gli stessi studi di lingua. I mistici, soprattutto: Santa Caterina, Fra Filippo degli Agazzari, gente che vede il diavolo e ci parla, autori bellissimi anche come lingua anche se lì il toscano c'entra poco. E poi il Beato Colombini, San Bernardino, i cronisti Tramite questi, l'incontro tra me e Tozzi diventa facile, ci siamo formati su queste stesse cose. lo ho letto Bestie per la prima volta a diciotto anni, ma non lo capii molto e ne ebbi una brutta impressione. Quando, dopo due o tre anni, lessi Tre croci, mi sembrò un romanzo troppo tradizionale. Insomma posso dire di aver capito e apprezzato Tozzi solo verso i ventiquattro venticinque anni, dopo aver scritto le mie prime cose e letti parecchi classici e parecchi stranieri. Poi alcuni mesi fa è riuscito Bestie. Da allora non l'avevo più riletto e rileggendolo ho capito che non è troppo lirico, e che è veramente il romanzo di Siena. Una cosa riguardante Tozzi che mi sembrò allora abbastanza strana è che Mussolini lo stimasse. Fu Mussolini personalmente a parlarmene, come ne ha sempre parlato a tutti i senesi che conoscesse: sapendo che io ero di Colle mi chiese se conoscevo Tozzi, risposi che di persona non l'avevo mai incontrato, perché era più vecchio di me e morì giovane, ma che ne conoscevo l'opera. Fu appunto in quell'occassione che Mussolini mi dichiarò la sua ammirazione per Tozzi, rammaricandosi che fosse scomparso così presto. Disse: "Che cosa avrebbe fatto con quella grande intelligenza che aveva". Probabilmente lo aveva conosciuto di persona. D. - Alcuni critici hanno parlato del tuo primo romanzo, Il capofabbrica, come di un romanzo sulle origini del fascismo... R. - Per quel libro non sono partito con 56 - Romano Bilenchi un'idea strettamente politica, sono partito da un'altra posizione. La vita non la senti pulsare sempre con la stessa intensità. A diciannove anni, perché ·quei racconti li scrissi negli anni '29-'32, la senti pulsare solo in determinati momenti: quando vedi una bella ragazza, un bel quadro, dei fiori, o quando vedi un'ingiustizia, e anche per certi movimenti politici. Di un romanzo o del romanzo non si deve avere una concezione statica, io volevo fare un romanzo abolendo tutta l'informazione e vedendo nella vita di un uomo i momenti di maggior pulsione. Feci un inizio che era la fabbrica e la sua gente, e poi presi sei sette momenti nei quali la vita pulsa di più e li rappresentai. li nonno, le nonne, le ingiustizie, l'amore, la madre che contrasta l'amore, la politica. C'è stato un tale che ha scritto che Il capofabbrica era il racconto delle corporazioni. E chi aveva mai pensato alle corporazioni? lo certo no: Il capofabbrica, il comunista era un personaggio vero. Era un cugino di Tozzi, si chiamava Giulio Valentini ed era capofabbrica in una fabbrichetta di cui era socio mio zio. Lo conobbi e feci con lui grande amicizia. Un giorno mi mostrò delle lettere bellissimedi suo cugino che era socialista anarchico. In una Tozzi scriveva le impressioni ricevute la prima volta che era entrato in una chiesa cattolica, una specie di conversione. Comunque Il capofabbrica non era un libro sugli inizi del fascismo le origini sono completamente diverse. Anche come periodo: quei fatti sono del '30, '31 e l'appiglio con la situazione politica è minimo. D. - Come mai hai cominciato scrivendo racconti, una forma narrativa poco frequentata in Italia, e, se hai avuto dei modelli, quali sono stati? R. - Palazzeschi e Pirandello non li ho apprezzati molto. Gli stranieri mi erano in parte sconosciuti, perché a Colle c'era poca disponibilità di libri stranieri. Nella forma racconto ci sono entrato instintivamente e in questo mi sentivo anche

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