Maccari. Mino Maccari era nato a Siena, ma quando lui aveva appena un mese fu portato li. Quando tornai da Cortina trovaiMaccari. Fu così che Maccari, in senso buono, mi fece diventare matto. Mi mise dei grossi dubbi, un po' su tutto e in particolare sulla tradizione letteraria toscana dell'Ottocento. Forse, anzi certamente, questo per me fu positivo. Infatti persone come Nobili, come Fucini, secondo me non erano certo da considerarsi come una buona tradizione. Tornando alla mia famiglia devo dire che mio padre, nonostante fosse industriale, era un socialista di sinistra. Morì nel '15 quando io avevo cinque anni e mezzo e lui appena trentatre, così io andai a stare con i nonni materni. Con loro abitava un cugino di mio nonno: il famoso Pisto, garibaldino. Garibaldino fu anche l'altro mio nonno, quello paterno. Pisto, che si chiamava Giuseppe, assieme ad una trentina di altri giovani di Colle aveva tentato di imbarcarsi a Quarto con Garibaldi, ma essendo tutti troppo giovani furono rifiutati. Lì incontrarono l'altro mio nonno, già capitano e anche lui di Colle. Pisto non si imbarcò, ma si fece tutta la campagna garibaldina. Le loro idee politiche, che erano poi quelle di tutti i garibaldini, erano socialmente zero. Il loro ideale era una repubblica senza potere ecclesiastico. Questo Pisto raccontava a me e Maccari un sacco di storie, e fu Maccari stesso, che si divertiva molto a questi racconti, che mi convinse a scrivere Vita di Pista. Questo lavoro, lo devo precisare, non fu per me un lavoro letterario. Uscì sul Selvaggio, con questa avvertenza: "Questo non è un lavoro letterario". Politicamente noi giovani eravamo molto a sinistra, per noi il fascismo doveva essere una rivoluzione anti-borghese, e più tardi si precisò che doveva diventare il bolscevismo italiano. Questo ideale culminò nel '32, quando Ugo Spirito lo sostenne al congresso delle corporazioni a Ferrara. Quindi Vita di Pista è un libello politico, scritto per diré che il fascismo si era arrestato come rivoluzione, e prendeva come bottega emblema della rivoluzione ovviamente Garibaldi. Maccari ci aggiunse la fascetta: "Questo libro ha suscitato rivoluzioni e sommosse nel Massachussets", e la frase della pubblicità era: "La vita di Pisto vale più di quella di Gualino". A spiegarlo c'è anche la fotografia di Pisto ormai ottantaseienne, seduto sulla panchina mentre sbadiglia, che può essere interpretato come il rivoluzionario italiano che dorme e sonnecchia. A quel punto, dopo un paio d'anni, mi accorsi di aver preso una cattiva strada. Maturavo, e certe cose si spiegavano da sè. Allora tornai indietro, ma non alle origini. La differenza tra Maria e il libro con il quale ricominciai, cioè Il capofabbrica è evidente. Dal tipo di letteratura espressa nel Capofabbrica non mi sono più distaccato. Forse quella sbandata mi fece anche bene, per liberarmi da toscanismo e dalla provincia. Leggendo poi gli stranieri, seppure più tardi, ho perso completamente quella mentalità, per cui il concetto di toscanità non so proprio cosa sia. Semmai sento di appartenere a quella razza di toscani come Federico Tozzi, Lorenzo Viani, Rosai che hanno rotto l'idillio, il bozzetto, la falsità toscana per portare alla tragedia. Ecco, io mi ritengo uno di questi, ho della vita un senso di pena e di tragedia. A me di cogliere gli elementi dello strapaese non mi interessava nulla, anche perché non capivo l'estetica del cemento armato, e questo fu un bene, ma non capivo neppure l'estetica del lume a petrolio. D. - Tu sei di Colle val d'Elsa e Tozzi di Siena.Oltrea questavicinanzageografica, vedi anche delle affinità letterarietra te e Tozzi? R. - Non mi sembra di assomigliare molto a Tozzi. Però abbiamo in comune la stessa terra e la stessa provincia, Siena, che fra tutte quelle ·toscaneè la più allucinata. Basta guardare Simone Martini e tutta la pittura senese. Penso, anzi, che certi pittori abbiano in certo qual modo affinato la mia sensibilità. A me sta bene che mi attriRomano Bilenchi - 55
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