narrativae memoria colori e le pistole. "Siamo comunisti e partigiani" gli dissi. li tedesco socchiuse gli occhi, parve ingollare saliva. "Non sono una SS, non sono un nazista" disse. "Vieni con noi" gli dissi. Dopo pochi passi, mi toccò un braccio, si fermò e mi disse: "Se mi dai un vestito borghese ti regalo questa" mi disse. Da sotto la giacca sfilò una borsa da donna, vecchia, nera, fatta a uncinetto. L'aprì, dentro c'erano parecchi gioielli e un biglietto da visita con un nome e un cognome e un indirizzo, piazza San Lorenzo n. 4. "Hai rubato questi gioielli. Avete saccheggiato le case del centro. E di questa donna che ne avete fatto?" dissi. Lo guardai in faccia. "Non ti dò un vestito, non ti faccio fuggire. Se avete ucciso la donna, la pagherai" aggiunsi. "Voi siete combattenti italiani, mi arrendo a voi, sono vostro prigioniero di guerra. Non mi fate del male" disse. "Se la donna è viva e tu non le hai rubato la borsa, ti consegneremo agli inglesi" gli dissi. "Agli inglesi no, voglio essere consegnato agli americani. Dammi la tua parola d'onore" disse. "Parola di partigiano. Ti consegneremo agli americani" gli dissi. Stavamo per entrare in piazza Indipendenza. Un uomo che conoscevo perché avevo abitato in via di Barbano, uscì da una porta e mi disse: "Non passate dalla piazza. All'imbocco di via Nazionale ci sono gli inglesi. Vi disarmano subito". Tornammo indietro, allungammo il cammino, e traversando via Santa Caterina d'Alessandria ci dirigemmo verso via San Gallo. All'inizio di via Nazionale scorgemmo trincee di sacchetti di sabbia e altri sacchetti posti sul balcone di un albergo, soldati con l'elmetto schiacciato, alcune mitragliere. Da quasi un mese sostavano lì senza voler passare il Mugnone. Via San Gallo era piena di gente, dalle finestre ci chiedevano: "Dove sono i tedeschi?". "Se ne sono andati stan9tte alle tre" rispondevamo a ogni passo. "Ma è vero?". "È vero, è vero, noi veniamo da Rifredi" dicevamo. A molte finestre apparvero bandiere tricolore e la strada si faceva sempre più colma di gente. Arrivati davanti alla questura, fummo assaliti da un gruppo di uomini. "C'è un tedesco" si misero a gridare, e minacciavano di farlo a pezzi. "Sono un ufficiale partigiano, abbiamo preso prigioniero questo tedesco e lo consegneremo al comando americano. Gli abbiamo dato la nostra parola d'onore". Eravamo pressati da tutte le parti equegli uomini diventavano sempre più violenti. Non ho mai sopportato di vedere un uomo picchiato da due altri uomini, e noi ormai eravamo circondati da decine di persone. "Guarda come si può morire. E può anche darsi davvero che questo poveraccio non sia nazista". Io e Aldo spingemmo il tedesco verso il muro, lo coprimmo con il nostro corpo, misi la pallottola in canna e puntai la pistola su l'uomo che aveva gridato per primo. "Noi non siamo nazisti e non dobbiamo fare come i nazisti. È prigioniero di guerra. Il primo che si muove gli sparo" dissi ed ero deciso a sparare. Dalla questura uscirono alcuni partigiani, tra i quali c'era un poliziotto, un compagno, il brigadiere Innocenti, che nella clandestinità aveva lavorato con me. Gli spiegai quello che stava accadendo. "Hai ragione" mi disse, e lui e i suoi compagni dispersero la gente. Proseguimmo per via Ginori ed entrammo in piazza San Lorenzo, salimmo le scale del palazzo indicato nel biglietto da visita che era dentro la borsa, cominciammo a bussare a tutte le porte, ma nessuno rispondeva, infine all'ultimo piano venne ad aprire un donna anziana. Riconobbe subito la borsa. Le chiesi se era stato il tedesco che ci accompagnava a rubargliela. "No, questo non c'era. Sono entrati tre diavoli biondi, tutti pieni di armi, altissimi. Non avevo mai visto uomini cosi alti" rispose. Fui colto da un !lusso di calore, di benessere, di gioia. "La borsa l'ho presa a un soldato" disse il prigioniero. Avevo visto anch'io il giorno 52 - Romano Bilenchi
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