Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

narrativae memoria ritirammo in fretta, facendo un ampio giro perché nessuno vedesse in quale case entravamo. Ci riprovammo il giorno dopo e riuscimmo a raggiungere la casa dove stava l'aviatore. Era un piccolo villino a due piani con le finestre chiuse. Dissi a Aldo: "Parlerò io, tu stai dietro di me. Se tossisco o ti faccio un cenno estrai la pistola". Misi la mia dentro la camicia per afferrarla meglio e sonai il campanello. li cancello e la porta si aprirono. Entrammo e salimmo le scale. Ci accolse un giovane biondo, basso, la faccia lentigginosa, che portava grandi occhiali neri. Vestiva con eleganza. Mi pregò di sedere su uno sgabello e si adagiò dinanzi a me su una larga poltrona. Eravamo nel soggiorno della casa che sul fondo piegava ad angolo retto. Di là potevano apparire altre persone. Aldo stava in piedi dietro di me e mi sfiorava. Lo toccai con un gomito. "Attenzione" volevo dirgli. Dinanzi a noi apparve, senza fare alcun rumore, una ragazza anche lei bionda, elegante, bella. Nessuno dei due sembrava soffrire la fame. Demmo alla ragazza il pacchetto con le uova e la farina. "Non abbiamo altro" le dissi. li giovanotto confermò di essere un aviatore badogliano che con la sua ragazza si era rifugiato in quel villino per non farsi deportare al Nord dai tedeschi. li suo racconto mi lasciava perplesso. Lui ci raccontò che il villino era la residenza di un console della milizia fascista. Aprì il cassetto di un mobile e ne trasse alcuni album di fotografie nelle quali era ritratto il console in vari atteggiamenti e in diverse divise: bianca, nera, grigioverde. In altre era circondato da donne che alzavano bicchieri, ridenti, scollate, come se stessero per iniziare un'orgia. Erano documenti interessanti che avrei preso volentieri. Mi alzai e tesi la mano al giovane. Lui disse: "Comunisti ne conosco altri: Marta Chiesi, De Grada, Susini, Bilenchi. Li ho incontrati nel convento di San Marco alle riunioni che facevamo con padre Lupi". Padre Lupi ci aveva aiutato molto, aveva ospitato ebrei, gappisti, vestendoli da domenicani. Ma riunioni con lui nel convento non ne avevamo mai tenute. Lo incontravo, quando ce ne era bisogno, in casa di Marta Chiesi dove andava ogni giorno. Gli altri erano miei compagni e amici. Gli dissi: "Noi non siamo comunisti. Delle persone che ha nominato lei conosco soltanto Bilenchi per altre ragioni: se non sbaglio si chiama Romano ed è alto e biondo". "Preciso, ci ho parlato spesso" disse l'aviatore. Prima che partissimo voleva regalarci un rotolo di stoffa azzurra scura, di scadente qualità, serviva per le divise degli avieri, che andò a prendere in un'altra stanza. Uscimmo. "Quando ha fatto il tuo nome, stavo per prendere la pistola" disse Aldo. "È chiaro che non è un badogliano. Mi piacerebbe arrestarlo e accertare chi è. È molto losco, ma ora non possiamo fare nulla" gli risposi. Dopo pochi giorni andai a trovare Sanguinetti all'albergo Melegnano. Incontrai l'aviatore che usciva, lo stesso abito, gli stessi grandi occhiali neri. Non doveva avermi riconosciuto, anche perché ero pulito e vestito bene. Non lo fermai, non mi interessava più. Una mattina mi recai in questura, occupata dai partigiani. In una grande stanza, seduto in un angolo, attorniato da una ventina di compagni, c'era l'aviatore. Non aveva gli occhiali, ma era di certo lui. Un giovane gli diceva: "Fosti proprio te, per primo, a colpirmi in faccia con lo scudiscio". L'altro taceva. "Chi è?" chiesi a un partigiano. "Un seviziatore della banda Kock. Ora lo sistemiamo noi" mi rispose. Me ne andai; erano già in parecchi a occuparsi di lui. I tedeschi lasciarono Rifredi. A tenere il fronte del Mugnone erano poco più di un centinaio, qualcuno non arrivava a vent'anni, comandati da un tenente e da un sottotenente. Avevano un solo carro armato Tigre e alcune autoblinde sequestrate agli italiani. Mal vestiti e poco armati si opponevano a eserciti immen50 - Romano Bilenchi

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==