narrativae memoria era occupato dai tedeschi della Propaganda Staffen. Quasi sempre vi si trovavano soltanto un giovane tenente e il suo attendente, un austriaco di oltre quarant'anni. Quando sonava l'allarme aereo egli si precipitava per le scale e si rifugiava nella sala delle rotative. L'usciere gli diceva: "Avete scatenato la guerra e ora morite di paura". Il soldato si fermava e, incurante del rumore delle fortezze volanti che traversavano il cielo della città, invelenito gridava: "lo non volevo la guerra, sono austriaco e non tedesco. Maledetti nazisti. lo non volevo la guerra. Nemmeno il tenente voleva la guerra" e picchiava violenti pugni sul banco dell'usciere. Il tenente, Muller, si chiamava così, era un giovane tranquillo che parlava poco, stava solo nella sua stanza, con la porta sempre spalancata, davanti a una scrivania piena di carte e di timbri. I fascisti e i nazisti saccheggiavano i bar e i caffé, Muller, se aveva voglia di bere, dava i denari all'attendente e lo mandava a comprare una bottiglia di cognac. Un giorno vidi sulla scrivania una pila di lasciapassare v~rdi uguali a quelli che avevano rilasciato a noi giornalisti: la stanza era vuota, presi un po' di quei cartoncini e la sera li consegnai a Rossi. Potevamo riempirli con nomi falsi, ma non era possibile fabbricare un timbro se non avevamo l'originale. Dissi a Rossi che con pazienza, quando avessi scoperto quale fosse, avrei potuto per qualche ora sottrarre il timbro al tenente e poi rimetterlo a posto. Il redattore capo della Nazione mandava sempre me da Muller se occorreva sottoporre alla sua censura alcune notizie sulla guerra. Riuscii a prendere il timbro, lo portai a Tagliaferri in via del Moro, il quale lo consegnò a un artigiano esperto in quel mestiere che ne prese l'impronta con la cera. Dopo ventiquattro ore rimisi il timbro sulla scrivania. Quando gli portai di nuovo alcune notizie da esaminare, Muller mi disse: "Sono spariti quindici lasciapassare e per un giorno un timbro". Lo guardai in silenzio. In quel momento entrò nella stanza un ufficiale tedesco, alto e bruno, lo avevo visto altre volte in tipografia, che chiese a Muller un volume dell'Enciclopedia Treccani. "A che ti serve?" gli chiese il tenente. "Gli americani hanno bombardato San Marino e io non so nulla di San Marino" rispose l'altro. "Un bombardamento forte?" chiese Muller. "No, sembra una sola bomba". Mi misi a ridere; era chiaro: soltanto i nazisti potevano avere sganciato la bomba per poi addossare la responsabilità agli americani. L'ufficiale che aveva portato la notizia se ne andò con il volume della Treccani. Guardai Muller. Egli non riprese il discorso sui lasciapassare e sul timbro. Mi disse: "Perché ride? Un giorno o l'altro la porto in Polonia". Fissai, oltre le sue spalle, la carta dell'Europa appesa alla parete. "Faccia presto, della Polonia gliene rimane ormai poca" gli risposi. Sorrise, lesse le notizie, ci mise il visto e, per la prima volta, mi diede la mano. Pochi giorni prima dell'emergenza, davanti al Bottegone, vidi Muller. Indossava un abito leggero, marrone chiaro, e calzava scarpe bianche e marrone. Doveva aver disertato e trovato un rifugio. Questi tedeschi, si consegnarono al fato? Chi sa quanti dei loro ufficiali di stanza a Firenze conoscevano Muller. Anche un altro tenente tedesco, antinazista, Alexander, rifugiatosi in casa di Rosai insieme con Fanciullacci, tutti i pomeriggi usciva a fare una passeggiata, e pur vestito con abiti civili, si vedeva da lontano che era un tedesco, dal taglio dei capelli, dal portamento, dal passo militaresco. "Cammina come un cavallo" diceva Ottone. Fu lui che ci aiutò a liberare le nostre compagne dal carcere femminile. Andai incontro a Muller. Avrei voluto dirgli lealmente: "Lasciapassare e timbro li ho presi io". Quando fui a pochi passi da lui mi sorrise, mi strizzò un occhio e si voltò dall'altra parte come per dire: "Basta così". Avevo già in tasca la busta gialla che avrei dovuto aprire al momento Romano Bilenchi - 48
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