Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

narrativae memoria Romano Bilenchi i tedeschi Alla Nazione organizzai un piccolo centro di appuntamenti e di informazioni. D'accordo con me, un usciere mio amico faceva subito entrare nella stanza d'aspetto coloro che chiedevano di vedermi. Passati molti mesi venne al giornale anche Lina Fanciullacci. Non la conoscevo, ma somigliava tanto a suo fratello che capii subito chi era. Da giorni non sapeva più nulla di Bruno; preoccupata, non era riuscita a prendere contatti con il partito. L'aveva mandata da me Rosai che aveva ospitato a lungo Fanciullacci ferito nella casa di via de' Benci. Capivo la sua angoscia, ma la rimproverai con dolcezza di essere venuta lì: si infrangevano le regole cospirative più elementari con gravi pericoli per altri com: pagni. Immaginavo che Bruno fosse stato arrestato dagli uomini di Carità insieme con parecchi altri gappisti: uno di loro, Romeo, era stato catturato, picchiato e torturato aveva fatto nomi e indicato la piazza dove i nostri compagni si riunivano. Detti a Lina un appuntamento per l'indomani mattina in un altro posto promettendole di informarmi sulla sorte di Bruno, e non era facile perché molti compagni dirigenti stavano giustamente nascosti o si erano allontanati da Firenze per lasciar passare la sfuriata della polizia. Riuscii a sapere che i gappisti arrestati erano stati uccisi a percosse e a pugnalate a VillaTriste. Non rimaneva che cercare al cimitero di Trespiano, e lo dissi a Lina. Quello stesso pomeriggio, in quattro compagni, De Grada, Marta Chiesi, Lina e io, andammo al camposanto. Nel piazzale, ammucchiati l'uno sull'altro, alcuni nudi, altri con i soli pantaloni, stavano i cadaveri dei gappisti, un groviglio che riempiva di sgomento. lo e De Grada cominciammo a spostare i cadaveri. All'infuori di Chianesi con il dorso colpito da pallottole, avevano il corpo straziato da pugnalate. Trovammo Bruno: un taglio sulla fronte, il volto viola e sul basso ventre decine di ferite. Guardai Lina: immobile, con il volto irrigidito, taceva. Marta Chiesi svenne. Quando tornò in sé, ci avviammo verso il tramvai per tornare in città. De Grada teneva per un braccio Marta, io Lina. In via Bolognese, dinanzi a VillaTriste, il covo di Carità, cercai di distrarla: mi fissò a lungo. Capivo che voleva dirmi: "Come li vendichiamo?". Le dissi: "Se ce la faremo, ma ormai è tutto inutile". Marta svenne di nuovo. Scendemmo in piazza del Duomo. Dovevo accompagnare Lina nella vicinanze di casa sua. Quando la lasciai mi baciò. De Grada accompagnò Marta in via dei Servi dove abitava, un breve tratto da percorrere, ma la ragazza svenne ancora e rimase stravolta per parecchi giorni, ed era una compagna che aveva sempre dimostrato molto coraggio. Alla Nazione da amici e colleghi fidati mi ero fatto dare le loro cassette della posta: ci tenevo esplosivi, bombe, pistole, manifestini. Nessuno poteva sospettare che quelle cassette servissero da nascondiglio. li secondo piano del palazzo Romano Bilenchi - 47

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