Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

discussione omissione (consistendo cioè non nel fare qualcosa, ma nel non fare qualcosa) un 'peccato' dunque poco visibilee circoscrivibile, ciascuno ha buon gioco a trovare continui aggiustamenti, ad esibire in ogni momento la propria 'evidente' innocenza, ad aggirare qualsiasi conflitto di coscienza, a rendere accettabili a sè e agli altri scelte, comportamenti, etc. Ho l'impressione che il processo di sostituzione del codice etico con un codice della 'correttezza', già segnalato da Fromm circa 30 anni fa, si sia consumato fino in fondo. Mi pare che oggi vi sia un specie di ossessione della cosiddetta 'correttezza' ('sei stato scorretto', 'non mi sono comportato correttamente', etc.), dove appunto il problema morale è semplicemente quello di rispettare certe regole del gioco, anche se questo dovesse avvenire in una cornice di indifferenze e omissioni. Nella Linea d'ombra la dimensione tragica della sfera morale appare in un primo momento sbilanciata dal lato del 'soggetto' e rischia così di risultare in parte artificiosa. Il conflitto cioè nasce e finisce nell'animo del giovane capitano, che si chiede tra mille dubbi ed esitazioni se sia giusto pretendere tanto dall'equipaggio, se lui stesso si sia mostrato davvero all'altezza dell'incarico affidatogli, etc. È soltanto alla fine della traversata che gli accade di scoprire, al di fuori di lui, dove stia il 'bene' ("la dura e precaria vita"), recuperando in tal modo l'elemento 'oggettivo' in cui consiste appunto la tragicità morale, elemento che permette di costruire una gerarchia di valori, di priorità. Il superamento finale della linea d'ombra non si traduce nell'approdo a "quella maniera un po' sgradevole e cinica che i vecchi hanno verso i sogni e le illusioni dei giovani". Cinici ed eternamente risentiti sono infatti quegli adulti che, rimasti al di qua della loro linea d'ombra, non sono mai riusciti a compiere lo spostamento di sguardo, di prospettiva sul mondo e su di sè, che avrebbe loro consentito di accedere a quella dimensione vitale cui appartengono, secondo Conrad, le cose e le creature 46 - Filippo La Porta "la cui sola esistenza basta a suscitare un piacere disinteressato''. La verità cui perviene il protagonista non è dunque "quella maniera un po' sgradevole e cinica", ma la scoperta che il desiderio giovanile di crearsi artificialmente da sè la contraddizione svanisce di fronte alla contraddizione imprevista, opaca, che incontriamo (o dalla quale siamo incontrati) nella viva esperienza. Il racconto di Conrad ci suggerisce infine che non è utile, anche se è probabilmente inevitabile, sprecare le nostre energie vitali provando 'generosamente' il nostro coraggio in fughe improvvise o in altri atti 'radicali' (di una radicalità voluta, quindi in parte controllata, non interamente vera perché rimanda soltanto a sé stessi). Ne avremo infatti bisogno, di tutte queste energie, per condurre qualche nave concreta al largo dell'Oceano Indiano, verso porti di destinazione di cui ancora non sappiamo nulla. NOTE (I) F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, p.146 (2) T. Mann, saggio introduttivo all'Agente segreto di J. Conrad, Bompiani. _In questa edizione delle opere complete di J. Conrad a cura di P. Bigongiari appaiono introduzioni di T. Mann, H. James, V. Woolf. P. Jahier, e altri (3) F.R. Leavis, La grande tradizione, Mursia, p.206; per l'interpretazione che Leavis dà di J. Conrad cfr. anche F.R. Leavis, La linea d'ombra e altri saggi, Mursia (4) V. Woolf, saggio introduttivo a La freccia d'oro di J. Conrad, Bompiani (5) T. Mann, Considerazioni di un impolitico, De Donato, p. 406

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