tedi Uccellida gabbia e da voliera, eppure quest'ultimo libro è certo più ben scritto e anche più vario, diciamo "più romanzo". Perché? Credo, perché Treno di panna parla di un mondo più lontano, per definizione"finto" (la Los Angeles delle freeways, delle ville dei divi, delle nevrosi all'americana), di plastica, dove lo sguardo dell'autore non è mai davvero partecipe, non si commuove, indigna, innamora, impaurisce- solo registra, ironizza, descrive. Uccellida gabbia e da voliera parla invece di qualcosa che conosciamo bene, cheè vicina e anzi ci pesa addosso. Siamo a Milano, sul finire degli anni di piombo, col terrorismo braccato (che per caso taglia la strada al protagonista) e l'indifferenzadilagante e nutrita di sogni consumistici, di conformismo, di ossessioni. Qui più spesso l'autore è meno disinvolto, e se anche la lettura ci afferra e diverte, l'insieme lasciaun sapore d'incerto, di poco credibile.Credo che ciò derivi dall'impossibilità (che accomuna scrittore e lettore) di guardare con ironico distacco ·il nostro mondo. Uccelli... è un libro che registra la trasformazione abbastanza orrida avvenuta intorno a noi, che ci sfiora e ci attraversa. A pagina 44, Fiodor incontra gli amici di Mario: "Mario ha tre o quattro amici musicisti, un'amica che gira documentari in Africa, due amiche che fanno le ballerine, un amico che dipinge, uno che scrive poesie, un'amica che recita, una che lavora alla televisione. Ha molti amici che dicono di avere molte attività creative e invecemi sembra non ne abbiano nessuna, tranne quella di passare serate concitate trasferendosi di casa in casa e di casa in bar e di bar in cinema e di cinema in casa, fumando tutto il tempo e appoggiandosi allepareti a fare considerazioni astratte sul mondo come è. Ha molti amici che dedicano gran parte delle loro energie a costruirsi un personaggio e renderlo omogeneo dalle sfumature della voce alla pettinatura al modo di camminare, e non smettono mai di limarsi e rifinirsi nei piccoli dettagli". discussione Credo che ciascuno possa riconoscere nella secca descrizione di questi "giovani squali insicuri" delle nostre città, qualche amico o (ex) compagno, e anche un po' di sè stesso magari, nelle invidie, velleità, ambizioni sbagliate. Tuttavia nel libro non c'è solo questo. Troviamo un più profondo coinvolgimento, la presenza di sentimenti più intensi e attivi: il disgusto per un mondo di rapaci manager, dove perfino i bambini sono già nevrotici e conformisti; ma anche, e non c'erano in Treno di panna, l'amicizia (per Elvio e sua moglie) e soprattutto l'amore (per Malaidina). Abile narratore, De Carlo riesce a reggere la storia, ma non può evitare che la nitida e agile scrittura dell'esordio s'incrini e manifesti tensioni non sempre ben risolte, anche se rintracciabili più su un piano di lettura complessiva che in qualche singola pagina. L'impatto dei sentimenti e di una materia per vari aspetti "calda" ha un po' sciolto e appannato lo sguardo cristallino di Treno di panna. Dicendo questo, si rileva un limite dell'autore, ma contemporaneamente, credo, se ne mette in luce una faccia nascosta, trascurata. De Carlo è stato, o si è, proposto come un narratore "freddo" e oggettivo, uno che abita volentieri questo mondo irrigidito nel "gelo" e che, anzi, disprezzandolo, se ne serve. Non lo conosco e non so quanto sia vero per l'uomo De Carlo - leggendone entrambi i romanzi, ne ho ricavato però un'impressione diversa. Credo che a Fiodor, soprattutto, vadano riconosciuti un disagio e un disgusto che, se non diventano mai protesta, rivelano certo un'opposizione intima e un'estraneità dichiarata a quel mondo. Cosa riesce a toccarlo, a muoverlo? Cosa cerca Fiodor in Malaidina? Cosa lo colpisce, di lei? Gli occhi: "Lei mi guarda rapida con i suoi occhi chiari. C'è più luce nei suoi occhi che in tutto il paesaggio attorno, inclusi i fari delle macchine e i lampioni e le vetrine" (pagina 48). La voce: "ha una voce così pura rispetto ai rumori del traffico che mi viene una specie di brivido lungo la schiena" (pagina 50). E poi: "RiGianfranco Betlin - 37
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