Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

raccontiitaliani all'ultima porta scrostata dell'ultimo pianerottolo. Il quinto. La città s'affatica nella notte da parecchie ore. Anche il giovane è stanco: si butta sul letto e guardando l'ordine della stanza trova le tracce della sua partenza. Venti giorni prima vuotando portaceneri, impilando libri, riempiendo i cassetti e l'armadio, teneva sott'occhio il biglietto del treno che lo avrebbe portato lontano. Lontano. E palpitava come un eroe in attesa della battaglia. Ha la borsa ancora a portata di mano, la solleva e se l'appoggia sulla pancia. Fossi stata almeno una valigia. Dico: con te ci si può attraversare un bosco. Mica l'Europa. Dalla vasta Europa soffia un vento leggero; il respiro si acquieta nel tepore del letto e Paolo scivola nel sonno. Dal sonno nasce cosa. Il giorno si annuncia dal rumore, la luce arriva più tardi, fredda e nebbiosa. Dalle periferie al centro la gente si sposta con traiettorie complicate. I benzinai fanno il pieno. Di tutto questo non si cura Paolo Mercadanti, che anzi dorme protetto dalla tapparella della finestra della stanza del quinto piano del palazzo. Il palazzo è rossiccio, vecchio di almeno sessant'anni. Il quinto piano è l'ultimo e ha un appartamento e mezzo. La stanza è quel mezzo appartamento. La finestra offre infiniti scenari, volendo. La tapparella, infine, non ha particolari a eccezione del verde. Il verde potrebbe essere un bosco. Un fondale, un pastello almeno. No del tutto: i sogni si eclissano, appena qualcosa si muove, come furfanti impauriti. Di loro a volte si intravvedono le gambe forti e le code rizzate prima che il nero li inghiotta. Gli occhi di scatto si aprono: il verde è la tapparella, sicuro. La stanza ormai fa luce: ogni cosa ha ripreso il suo posto così che una benefica certezza invade il giovane spettatore che guarda ancora assonnato. Si alza e il suo nuovo cuore cittadino batte il tempo con entusiasmo: a casa! Anche se. Spiegare il rientro. Avevo fretta? Toh, guarda chi si vede, ma non eri partito? E quell'altro: come mai sei già qui? E allora dirò: bene, ripartirò senz'altro. Ma ad Alberto e Maria solo la verità: che mi sento perduto già oltre l'angolo, al bordo della città, quando i giardini cominciano ad assomigliare alla campagna e si perde di vista l'orizzonte delle case, che ho bisogno di case per sapere che qualcuno mi assomiglia, magari disteso in una stanza qualsiasi. O sulla porta a cercare la chiave. E ancora, che voglio lasciare tracce intorno a me e non un vuoto. E insomma non dirò nulla. Paolo Mercadanti ne sa abbastanza della vita per non perdersi nei particolari. È venuto su alto e svelto nel castigo degli anni a fare il giovane di bell'aspetto scapigliato; giocando a rubamazzo coi suoi pensieri e di qui o di là andrà da qualche parte. A fare festa. Avanza tranquillo nell'ampio abbraccio del suo quartiere, regolando i passi al garbuglio di pensieri e l'aria spessa della città si fa respirare che è un piacere. Il cielo, morbido come una coperta, è intrecciato di nuvole bianche e fini. Il vento sulla strada è così scaltro da guidare il volo degli uccelli. Sugli uccelli sono possibili infinite storie. Ce n'è una che riguarda la loro libertà e ha le ali per soggetto. Un giorno gli uccelli voleranno via dal mondo: apriranno una nuvola e se la richiuderanno dietro le code. L'azzurro interminabile accoglierà i loro impensabili voli, mentre qui da noi si continuerà ad inciampare. Ammiccando alle vetrine piene di riflessi invitanti, Paolo Mercadanti prosegue il suo cammino e, passata la piazza, va a perdersi nella via Colli di Lana, stret~ae piena di negozi minuscoli, compresa una pescheria e un rispettabile ciclista che da trent'anni ripara biciclette che sanno di pesce. Eccolo! Sbuca da una strada dissestata dai lavori in corso e se ne esce dalla Pino Corrias - 25

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