raccontiitaliani va per strada. E Zelinda si inchinava, stringendosi timorosa i gomiti tra le mani. Zelinda però aveva una sorpresa in serbo per tutti. Esattamente un anno dopo, una domenica d'estate, la famiglia di Zelinda fu al centro dell'attenzione generale. li mattino aveva piovuto, e poco prima di pranzo, con un bell'arcobaleno tra i colli, tornò il sole. La passeggiata lungo il corso era salva. L'arcobaleno mi aveva fatto venir voglia di un ghiacciolo, che credo si chiamasse appunto "arcobaleno'', per via dei suoi diversi strati di gusti. Pioveva ancora qualche goccia e fui tra i primi a attraversare la piazza. Nel bar centrale, dove avevano quel gelato, c'erano soltanto due uomini che giocavano a scopa. Quando uscii, sorbendo il mio ghiacciolo, non pioveva più, e sulle scale del municipio si erano già radunati molti dei miei amici. Nel giro di pochi minuti tutte le famiglie erano rappresentate nel corso, dove la folla fluiva lentamente sui marciapiedi. C'era un certo ordine, in queste passeggiate, da un lato si saliva, dall'altro si scendeva. Per questo una presenza straniera anziché confondersi si imponeva con maggiore risalto del solito. Dalla parte del borgo vecchio salirono, tenendosi a braccetto, due buffe figure. Erano un uomo e una donna, ben paffuti, entrambi sulla quarantina. Diedero subito nell'occhio per i loro abiti. Lei aveva un soprabito rosso, abbottonato a stento, lui un doppio petto grigio, dal taglio antiquato, che doveva essere stato per anni in fondo a un baule, dove aveva preso strane pieghe. L'uomo portava, con la mano libera, un grosso ombrello e una sportina di plastica. Che fosse il figlio di Zelinda, quel singolare barbuto, dovettero dirmelo gli altri, anche se ci sarei arrivato da solo un attimo dopo. "C'è anche la madre" disse qualcuno. Zelinda li seguiva a un centinaio di metri, insieme a don Giuseppe, che doveva aver corso dopo la Messa per esser lì a quell'ora. Se molti riuscirono a non guardare troppo fissamente le figure nere della vecchia e del prete, non poterono far finta di niente con l'altra coppia. Del resto, l'uomo con doppiopetto e la sua amica col soprabito rosso, attraversata la piazza, cercavano di passeggiare sul marciapiede sbagliato, dove tutti andavano nella direzione opposta alla loro. Erano imbambolati, sorridevano, ma non a qualcuno, era come fossero soli davanti a un sereno panorama di montagna. Il progetto di don Giuseppe era trasparente. Quei figli nascosti dovevano essere presentati alla città, e meglio tutto d'un colpo visto che l'impatto sarebbe stato duro comunque. Quella stessa domenica il segreto di Zelinda fu interamente svelato. li suo secondo figlio, che doveva essere ricoverato a Roma, era in realtà una figlia, oligofrenica dalla nascita, e lei la teneva con sé da trent'anni, senza che nessuno se ne fosse mai accorto. Continuo ancora a chiedermi come riuscisse, Zelinda, a conservare un segreto così importante. Neppure riesco a spiegarmi, come non riuscii allora, se a Zelinda era toccata la parte della "buona" o quella della "cattiva". È sicuro che non si era mai fidata veramente di qualcuno, aveva fatto da sola quel che poteva. Soltanto quando cominciò a sentirsi troppo vecchia e non riusciva più a difendersi dal figlio si era decisa a passare le consegne per tempo. Pochi mesi dopo Zelinda morì, in casa sua. Accompagnai i miei genitori nella loro visita, e mia madre mi chiamò dentro perché non faceva paura vederla. Era appena più pallida del solito, ma la sua espressione era tranquilla. "Riposa" disse mia madre. I figli erano già stati portati via e messi in un ospizio del Nord. Ricordo quello che disse mio padre quando uscimmo dalla casetta di Zelinda. "Bisogna avere fortuna, quando si nasce". Non avevo mai sospettato, prima, il significato profondo della parola "fortuna". 22 - Claudio Piersami
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