Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

racconti italiani "Non dire niente o dì che darò una risposta questa sera". Si alzarono e si incontrarono davanti alla porta dell'ufficio. Il segretario prese Paolo per un braccio, lo guardò fisso negli occhi. "Mi raccomando". · Paolo fece cenno di sì col capo. Prima di andare ringraziò. Nel corridoio non c'era nessuno. La strada era piena di pozzanghere e la pioggia non accennava a smettere. Paolo camminava rasente ai muri. L'aveva preso una gran tristezza perché doveva scegliere e non poteva tirarsi indietro. Aveva un impermeabile color nocciola. C'erano code di macchine che sobbalzavano verso i semafori. Pensò alla politica e al partito comunista. Gli tornò in mente la faccia felice di Alvise il giorno della grande avanzata elettorale. Era stato un momento particolare e ne aveva approfittato. Sembravano diventati tutti comunisti. Poi erano cominciate le difficoltà. Adesso evidentemente erano più utili i funzionari degli intellettuali. Se accettava di smentire l'editoriale sarebbe diventato un funzionario, come tanti. Non gli andava. Pensò anche di aver sbagliato partito, ma fu il pensiero di un attimo. Non pioveva più quel pomeriggio. Paolo Veronese stava sul portone della vecchia casa del professor Ermini. L'aveva sentito per telefono e il professore sapeva già tutto perché aveva parlato con Alvise. Paolo fece le scale ripide e larghe fino al primo piano. Guardò le due porte di legno scuro e siccome erano chiuse riprese a salire. A metà rampa sentì che intanto se n'era aperta una, allora si voltò. Vide un uomo anziano e sorridente. Aveva un paio di occhiali, la testa bianca. "Sei Paolo?" domandò. "Sì, sono io". "È qui che devi venire". Paolo ridiscese le scale di buon passo. li professore lo fece entrare e lo condusse in un piccolo studio. La casa era buia, odorava di cera e di altri profumi. Il professore era diverso da come se l'era immaginato. Si aspettava un uomo magro e sofferente, dal parlare lento e misurato. Forse l'aveva sviato una certa espressione riverente di Alvise o forse era stato solo un inganno della mente. Invece il professore aveva lo sguardo pragmatico. li suo passo non aveva nulla di solenne, pareva una ridicola corsetta. Non c'era un aspetto della sua figura che meritasse di essere notato. La stranezza stava nel fatto che viveva in una casa di stile decadente, arredata con gusto, e sembrava uno che passa per caso. Lo studio era una piccola stanza con qualche mobile antico. li tavolo occupava molto spazio e sul tavolo stavano pile di libri e riviste. La luce passando attraverso l'abatjour di una lampada liberty si tingeva di rosa. Il professore fece scintillare in quella penombra due bicchieri di gin e ghiaccio. Poi si sedette. "Che problemi ci sono?" chiese. "Penso che Alvise le abbia detto". "Paolo - disse lui con voce argentina - dammi del tu". Paolo raccontò del partito e anche di sè. li professore ascoltava con interesse. "Vedi - disse a un certo punto - anch'io mi sono trovato in una situazione simile. Avevo molti alleati, non erano comunisti ma laici, radicali. Potevo conti16 - Piero Gajfuri

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==