Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

discussione pubblicato nel 1977)contengono centinaia di storie e decine di illustrazioni. Formano una specie di diario di lavoro, un accumulo di materiali forse suscettibili di futuri sviluppi ma già compiuti nella loro eterogeneità. Per raccontare le sue piccole e grandi storie di vita, Kluge usa infatti decine di scritture diverse: fiction, ricordi, documenti, interviste, novelle, sceneggiature, comunicazioni scientifiche, dialoghi, monologhi, introspezioni ... Un repertorio di scritture possibili messe al servizio della "forza psichica di raccontare", come in una specie di sfida all'orrore, alla distruzione, al silenzio della catastrofe. I temi preferiti di queste storie sono perciò quelli che con più evidenza contengono questa possibilità: la scienza e la storia, soprattutto, ma anche la quotidianeità delle catastrofi naturali (tornados, mareggiate) o l'orrore celato nei rapporti interumani e nei meccanismi perversi che li attraversano (la vendetta, la menzogna). Oppure, naturalmente, la crudeltà dell'organizzazione sociale, e soprattutto dell'organizzazione del lavoro, nella sua dimensione più strettamente (più ferocemente) "tecnica". Ma sono soprattutto un particolare rapporto con la dimesione storica e un'attenzione spietata all'universo della scienza a fornire a Kluge la materia più ricca per le sue narrazioni. Della scienza Kluge coglie quasi sempre l'aspetto apertamente o nascostamente distruttivo: la scienza - sembra dire - organizza la catastrofe, la rende efficiente. E non si parla solo delle grandi catastrofi, belliche o nucleari. li ruolo specifico della scienza si esalta ancor più a contatto con la quotidianeità: le storie più terribili raccontate nel libro sono quelle che ricostruiscono gli sforzi compiuti dalla scienza per massimizzare la razionalità dell'erogazione della forza lavoro e il suo sfruttamento. La ricostruzione degli esperimenti operati dalla scienza nazista in questa direzione è uno sconvolgente repertorio di orrori. Kluge li descrive con distacco e freddezza, teso a coglierne, a sospendere tutto quello 158 - Marino Sinibaldi che potrebbe disturbare l'ossessiva e decisiva volontà di osservare, di descrivere, di narrare. L'altro punto caratterizzante del libro - il particolare rapporto con la storia - è il centro non solo di Nuove storie ma probabilmente di tutta l'esperienza artistica dei tedeschi nostri contemporanei. La concezione che Kluge ha della storia è drastica; forse Ja si può riassumere con la tesi con cui Queneau inizia Una storia modello: "La storia è la scienza dell'infelicità degli uomini. Se non ci fossero guerre e rivoluzioni, non vi sarebbe storia; non ci sarebbe materia di storia; la storia non avrebbe oggetto". O, come dice più oltre: "Se non vi fossero disgrazie, non ci sarebbe niente da raccontare" (3). Il materiale accumulato da Kluge pare concentrarsi intorno a una intuizione simile, semplice e feroce insieme. E dal massacro bellico (di una guerra in cui sono convissuti lager nazisti e bombardamenti indiscriminati sulle città tedesche) ai Khmer rossi ("quelli fanno tornare indietro le lancette della storia"), le microstorie di Kluge raccontano una realtà che pare tragicamente immutabile, che contiene sempre la stessa terribile possibilità. Qui forse si spiega un senso profondo del sottotitolo del libro, che è "Spaesato nel tempo". "Ogni concezione della storia è sempre data insieme con una certa esperienza del tempo che è implicita in essa" (Agamben) (4). E il tempo delle storie di Kluge non ha nulla del carattere "rettilineo e irreversibile", della "puntualità" della concezione occidentale e moderna del tempo. Sembra semmai più vicino alla concezione classica greco-romana, "fondamentalmente circolare e continua" ma anche alla splendida definizione contenuta nelle "Confessioni" di S. Agostino, per il quale "non ci sono, propriamente parlando, tre tempi, il passato, il presente e il futuro ma soltanto tre presenti: il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro" (5). L'esperienza "immediata e disponibile" in cui questa dimensione trova il suo

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