narrativae poesia 138 - Paolo Volponi di una specie, i battiti frementi di una mutazione. Ciascuno lì presso vuol tornare e come quell'erba arrampicare tra germogli e ramazioni di un lattice che la disponga sopra il gonfiore dei propositi; oppure tra i rovi in fondo alla pozza aspettando di svuotarla per altre colture o di incendiarla d'agosto alla luna nuova nella tela di aromi e di fumi per riconoscersi sempre nell'utile modo appresso che fiorisce fatiche e torture nelle mietiture e battiture di quella prima luna che con collo e forcina lambisce il corso parallelo del solleone. La bellezza del mondo dovrà naufragare qui nel coperto umano: traboccare dalle piante e qualcuno dentro un vagone godrà di un breve riposo da quel desiderio che lo batte con ossessione. Il li dolore tiene sempre da dietro battendoci la schiena sì che oltre che respirare è impossibile nel vetro guardando riconoscerlo ... quale? il putto schedoniano l'insinuante Sweerts il fanatico cavalier Formica o la naturale invidia della potenza che si schianta intorno notte e giorno, o la voglia sempre più forte perchè mai appagata di riconoscerne il volto, la santa effige esposta dentro e fuori ingrata tra le rovine dell'azzurra e affranta costa di Dido abbandonata... ? I fichi gelano nella notte tra il lucido palato del fogliame, incapace di proteggere dalla gelata anche le giunture e le rame: l'inverno è cattivo; chissà come attivo sullo stagno, con quali miniature il gelo vi si accumula e spiega: speculum humanae salvationis con figure: un onirico bagno dove un peccatore a stento risale dalle onde trattanuto per un piede dalla bocca
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