raccontiitaliani le scarpe. Sentì dei brividi e le fu impossibile celarli. Per non battere i denti tenne le mascelle serrate, finché non sentì un indolenzimento nei muscoli del volto e del collo. Françoise si accorse del suo malessere e le prese le mani fra le sue, le sussurrò qualcosa all'orecchio che non capì, forse che doveva uscire, ma ormai non aveva importanza, perché tanto la cerimonia era finita, il feretro stava percorrendo la navata centrale portato sulle spalle e lei si ritrovò senza rendersene conto sulla stessa automobile guidata dallo stesso autista che la riportava a casa, mentre Françoise l'aveva coperta col suo cappotto e le cingeva le spalle con un braccio per darle calore. E non fu facile accomiatarsi da lei con la gentilezza, farle intendere dolcemente ma con fermezza che non la voleva per la notte, che voleva entrare da sola e restare da sola in quella enorme casa deserta, che le sarebberò bastate le cure della domestica, nel caso avesse avuto bisogno di qualcosa, che quella era la prima sera della sua solitudine e che voleva entrare da sola nella sua solitudine. Finalmente si staccò, Françoise la baciò con occhi lustri e lei entrò nell'anticamera silenziosa, suonò subito il campanello per disfarsi della domestica e disse che si ritirasse pure, non aveva bisogno di niente - che staccasse solo il telefono, per favore. Mentre saliva le scale sentì l'odiosa pendola cinese che batteva sette colpi. Si fermò sul ballatoio e aprì quasi golosamente lo. sportellino di vetro che custodiva il quadrante. Cominciò a far girare le lancette con un dito, con determinata lentezza, e la pendola batté allegramente le otto, e poi le nove, le dieci, le undici, le dodici. Le fece fare un giro completo e disse: è già domani. E poi le fece fare un altro giro e disse: è già dopodomani. E poi tornò indietro, e la pendola ubbidiente batté tutte le ore in ordine decrescente. Ridiscese le scale ed entrò nella biblioteca, dove ristagnava un vago odore di sigarette. Per attenuarlo accese un bastoncino d'incenso e dischiuse la finestra. Ora stava piovendo forte. Nel caminetto la cameriera aveva preparato una piccola piramide di legna farcita di pigne resinose. Bastò un fiammifero e le fiamme divamparono in un momento, guizzanti e così luminose che poteva anche spegnere la luce centrale. La spense. Aprì la cassaforte e ne tolse lo scrigno di mogano. 1 manoscritti vi erano disposti con ordine, in mazzetti tenuti da un elastico come banconote. Su ogni mazzetto c'era una data, e la firma di lui. Li tirò fuori tutti e li guardò uno per uno. Era molto difficile scegliere. Pensò al romanzo, ma poi scartò l'idea. Il romanzo per ultimo, a febbraio, magari. E neanche la commedia. Meditò sui carteggi. Le poesie sarebbero andate bene, ma forse era meglio il diario. Lo soppesò e guardò le pagine. Trecento, era il numero scritto a lapis sull'ultima pagina. Accidenti. Si sistemò sulla poltrona davanti al caminetto e appallottolò la prima pagina, per lanciarla sulle fiamme senza doversi muovere troppo. La vide diventare color tabacco, prima che diventasse cenere. Povero stupido, disse, povero caro stupido. Si abbandonò sulla poltrona e guardò il soffitto. L'inverno sarebbe stato lungo, stava appena cominciando. Sentì che le lacrime le riempivano gli occhi, e lasciò che le scorressero sul viso e poi sul seno, abbondanti, inarrestabili. Antonio Tabucchi - 131
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==