Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

racconti italiani prestai molta attenzione a quanto dicevano, mi colpivano di più le loro presenze fisiche, il loro aspetto. Non riuscivo ancora a fare quella rapida classificazione che quasi sempre facciamo dei nostri occasionali compagni di viaggio per tranquillizzarci su chi abbiamo davanti. Per qualche tempo nei loto discorsi i quattro viaggiatori rividero ancora la lunga corsa attraverso la stazione di Milano, forse il momento in cui il treno si era mosso e il piede del nano - per primo -•era balzato sul predellino. Ma la partecipazione delle tre donne al racconto era piuttosto un calmo assentire spezzato ogni tanto da brevissime frasi: "Si, è vero", "Proprio così", "Ah, non me n'ero accorta". Era sempre lui, il nano, a tener banco con la sua voce stridula, tenace. Sentivo che con allegra prepotenza era in grado di trasformare ogni episodio insignificante in una spedizione a capo della quale esibiva abbondantemente le capacità di condurre il suo docile seguito femminile alla vittoria. Non era stato così per l'assalto al treno? Per l'ennesima volta il nano rivedeva il momento in cui era balzato con uno scatto sul vagone in movimento riuscendo a trascinarsi dietro le sue compagne. Ricordo che proprio in quell'occasione egli sottolineò pubblicamente la sua agilità facendo scattare l'elastico della bretella; ne seguirono poi altre, ma all'interno di una storia che si rivelò più sorprendente di quelle piccole peripezie di viaggio. Dicevo prima che il nano era seduto di fronte a me con la gambette penzoloni. Accanto a lui stava una donna di quaranta, forse quaranticinque anni. Molto ordinata e composta, vagamente fuori del tempo, come sembrano talvolta certe donne poco abituate a uscire. Vicino a me, con l'intervallo di un posto (non occupato) stava la più giovane: abituandomi a poco a poco a vedere nel buio mi ero accorta ch'era quasi una ragazzina. Anche lei molto ammodino, come si direbbe in Toscana, con una pettinatura rigida, una specie di permanente che le invecchiava i lineamenti, di una delicatezza un po' scialba. Di fronte a lei sedeva la più anziana delle signore, probabilmente sua madre, o una zia. Impettita, forse più per costituzione che per stato d'animo, era lei che assecondava la loquela del nano, insieme all'altra donna che sedeva accanto a lui. Tutte molto ordinate, linde, facevano risaltare ancora di più davanti ai miei occhi indiscreti la mostruosità che le accompagnava, lo sforzo di quel corpo mal cresciuto, troppo nella testa, poco nelle braccia e nelle gambe, con un torace che sembrava essersi avvicinato maggiormente a uno sviluppo completo, ma che poi si era fermato anch'esso a uno stadio di tozza insufficienza, accentuando la disarmonia delle rimanenti parti. Insomma, grazie al buio, potevo guardare il nano quanto volevo, anche se mi rendevo conto con un certo disappunto di volerlo troppo, di essere rimasta come incantata davanti a quella massa, complice l'oscurità di un compartimento di seconda. Ma ora, prima di andare avanti, vorrei fornire qualche chiarimento di carattere più generale. 1viaggiatori dei treni notturni hanno le abitudini quasi sacre dei nottambuli, di tutto quanto è costretto o ha piacere di muoversi di notte. I compartimenti si dividono già sin dall'inizio del viaggio in compartimenti spenti e compartimenti accesi. Ciò sin dall'inizio corrisponde a un linguaggio. I compartimenti spenti dicono più o meno così: "Non seccateci, vorremmo dormire. Venite qui se siete dello stesso tipo". È vero che a volte, se ci sono ragazze, donne sole, qualche viaggiatore insonne entra lo stesso con altre mire, ma comunemente il segnale è interpretato nel senso giusto. Poi ci sono i compartimenti illuminati; quelli che invitano a leggere, a conversare, a fumare, ad alzarsi inquieti, tastando tutti i finestrini, ad aprirli e chiuderli fino all'arrivo. Ma qualche volta 122 - Maria Schiavo

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