racconti italiani Maria Schiavo incontrocol nano Il fatto accadde qualche tempo fa sul treno Milano-Torino, l'ultimo della giornata che a mezzanotte raccoglie viaggiatori insonnoliti o trafelati, ritardatari che balzano sul predellino nello stesso momento in cui il capostazione fischia e i convogli, rispondendo pigramente all'inizio, cominciano a muoversi verso il buio. Esattamente così, quella notte (lo capii in seguito), riuscirono a balzare sul predellino quattro persone che irruppero qualche minuto dopo nel mio compartimento mentre rivedevo tra me e me la serata trascorsa a Milano. Un odore acre di sudore mi rivelò ben presto che i quattro avevano dovuto correre disperatamente per trovarsi dove ora si trovavano, comodamente seduti, dopo il primo subbuglio che sempre provoca lo sfilarsi dei cappotti, il vagare di sciarpe e cappelli goffamente penzoloni in cerca di un angolino dove scomparire. Ma oltre a quell'odore - primo particolare sgradevole per il viaggiatore che si prepari in un compartimento solitario alla meditazione o al sonno - l'altro particolare che mi colpì (mio malgrado, e ancora oggi lo dico con un po' di vergogna) fu che uno di quei ritardatari era un nano. Un nano dalla testa enorme, vivace. Indossava un paio di calzoni grigi, un po' corti, una giacchetta dello stesso colore, e sotto di questa una camicia bianca che si indovinava sudatissima, nonostante il riserbo di una cravattina bordeaux. Le altre persone erano tre signore, di cui una giovanissima, visibilmente al suo seguito a giudicare dal piglio di condottiero con cui egli aveva preso possesso del compartimento, ma per la discreta dimensione dei corpi piuttosto simili ad accompagnatrici di uno strano bambinone. È ormai chiaro: la mia fu l'impressione di una che non aveva mai visto un nano da così vicino e non riusciva a nascondere a se stessa la meraviglia. Non potevo distogliere lo sguardo dalle manine grassocce che uscivano dalla giacchetta grigia, dalle braccia corte sempre in agitazione come ad aiutare l'equilibrio instabile di tutto il corpo mal cresciuto. Il nano s'era nel frattempo sistemato con un piccolo balzo molto aggraziato sul sedile davanti al mio, tirando su le gambette. Togliendosi la giacca mostrava ora le due splendide bretelle che sostenevano i pantaloncini. E da quel momento in poi, durante il viaggio, bravamente appollaiato sulla poltrona, solo raramente cessò di tormentarle mentre parlava. Perché, già, avevo dimenticato di dirlo, il nano non taceva neppure un istante: la prima voce che avevo udito sulla soglia del compartimento era stata la sua. Altissima, molto volubile e un po' stridula, con echi di risatine da prima attrice che, dopo il sudore, erano state per me, viaggiatrice immusonita, il secondo motivo di disappunto. ' I quattro, ma soprattutto il nano, erano eccitatissimi. Sul principio, non Maria Schiavo - 121
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