Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

raccontiitaliani cuoio, nella quale appunto il gancio che terminava quello speciale calzascarpe, doveva essere ficcato, per essere poi tirato affinchè la scarpa salisse su a coprire il tallone. Il manico non era di metallo compatto, ma, come quello di certi coltelli, di un metallo più volgare, foderato di lamine d'argento, leggermente rigonfie, che davano un senso di morbido, che pareva sposarsi col polpastrello del pollice, quando per una leggera pressione vi affondava. Il gancio che lo terminava non era appuntito né aguzzo, ma aveva forma rotonda e dolce, come un segmento arrotondato di conchiglia. Chissà per quale casa, suggestionata forse dalla sua forma simile a quella di una posata fantasiosa e barocca - aveva infatti il manico del coltello, la curva del cucchiaio e il dente della forchetta - la piccola Nuria, oziosamente seduta sul bidé, che Dida le aveva riempito di acqua saponosa e di amido, usava questo strumento per strofinarsi dolcemente la vulva, da cui appunto le pareva di mangiare, come da un gelato o da un dolce, e che tentava di solleticare, come faceva talvolta con le lumache; e proprio come le accadeva con esse, che indocilmente si ritraevano, avvertiva un ritirarsi, seguito da uno spuntare di morbide corna salivose. Con gli occhi sgranati e attoniti volti alla finestra Nuria scavava in mucchi di assenza, come fanno i gatti e le talpe con la terra; o, col volto abbassato e i capelli in giù, come tende nere di una camera oscura, fissava con attenzione l'andirivieni del gancio. - Mare de Déu! què dirà ta mare! - Dida le apparve davanti, si pose tra lei e la finestra. Il gancio ricadde, si perse nell'acqua saponosa. Nuria fissò Dida con occhi attoniti. Dida aveva le braccia levate in alto, il picché bianco si tendeva sotto le ascelle, si rigonfiava sul petto; le sue mani rosse chiuse a pugno si volsero contro Nuria. Quel gesto era accompagnato da indicibili ingiurie e implorazioni alla Vergine. Nuria non sapeva che pensare. Non poteva trattarsi soltanto del consueto rimprovero per il suo ozio sul bidé, la sua riluttanza a lavarsi. Guidata da un fiuto sicuro, come le bestie, conoscendo già pienamente le leggidelle trasformazioni, e prima fra tutte quelle che all'inizio segue una fine e che al piacere segue la sua mancanza, come alla presenza l'assenza, ricostruendola a partire dal gusto che aveva provato in quel gioco e dalla durezza del rimprovero, Nuria comprese quale era stata la sua colpa; solo che a lungo quella colpa non ebbe confini definiti, confondendosi con quella della pigrizia, dell'ozio, della sua riluttanza a lavarsi; né le era del tutto chiaro se quella fosse una colpa anche agli occhi di Dida o solo nei confronti della signora Dominica. Nuria ad esempio sapeva che agli occhi di Dida non era una colpa mangiare con le mani e che Dida glielo rimproverava solo fuori del suo cortile per non incorrere nelle ire della signora Dominica. Però Dida nel suo farneticare ingiurie aveva parlato di delitto contro la Vergine, sicché da allora per Nuria la signora Dominica partecipò oltre che della natura delle regine e delle fate anche di quella più severa delle Madonne. Le Madonne infatti di Dida non erano rotonde, paffute e ridenti come quelle italiane, le cui effigi la nonna portava a Nuria; ma scure e severe, pallide e sfiorite; e perfino la Madre Anarquìa, venerata in Andalusia, sul cui capo poggiava una torre, dal volto bianco, dal naso diritto come una prora, con su ogni guancia una fragoletta, avvolta nel suo manto nero sulla veste scarlatta, con in mano una spada fiammeggiante, si guardava bene dal sorridere e aveva le labbra strette come su un tetro segreto. Una mattina Dida non venne. Nuria ne chiese alla signora Dominica che le disse che Dida era ammalata. Nuria la pregò di condurla a farle visita. -'Domani - disse fa signora Dominica. "Domani" disse per una settimana. Una mattina, dopo tredici giorni, Nuria si mosse sola dalla casa, di nascosto da tutti, per Fabrizia Ramondino - I 19

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