racconti italiani dits tan freds em semblen ous d'ocell sense mare. - Nuria si ficcava le dita nella maniche per riscaldarle. Quando erano calde gliele poggiava di nuovo sulla nuca. - Davant tothom ets de n'Angels - diceva a Dida -però darrera ets tota meva! - Narcis intanto, il fratello, giocava solo in un angolo della stanza; disdegnava Dida e le sue sorelle. Solo Nuria andava nel cortile di Dida. La domenica pomeriggio infatti Dida era libera e tornava a casa sua. La signora Dominica non voleva che Nuria andasse. Nuria si metteva a strillare; si aggrappava alla gamba di Dida urlando, mordeva la signora Dominica se tentava di afferrarla, le soffiava contro come un gatto furente. La signora Dominica diventava pallida, non sapeva che fare. Dida sollevava Nuria da terra con un solo braccio, la portava alla fontana a sciacquarsi la faccia, le faceva bere un sorso di acqua per calmarla, le batteva sulla schiena per farle passare il singhiozzo; poi decretava, nel suo tribunale d'amore: - Els nins no ploren. - E aggiungeva: - Al meu pali hi ha I/ocper a tots. - Dopo che Nuria si era calmata, seduta sul suo braccio come su di un trono, sicura ormai che l'avrebbe condotta con sé, accettava il suo invito: -Ara demana perdò a ta mare. - La signora Dominica abbracciava la figlioletta, le sue mani attorno alla sua faccia parevano a Nuria fragili e tremanti come ali di insetto. Metteva le sue mani su quelle della madre per stringerle di più alle sue guance; e, come per sentirne la forza, ficcava le dita fra le sue. Partiva in trionfo in braccio a Dida; la signora Dominica intanto nel patio si estasiava davanti alle fucsie che da poco erano spuntate. Nuria diceva a Dida: - Mumare és una nina.- Dida deponeva subito Nuria dal suo trono di amore, ma la bambina non protestava, sicura che ormai nessuno più l'avrebbe rapita. Solo a metà strada tullavia le lasciava la mano e saltellava avanti e indietro. Dida ogni tanto si fermava e col fazzolettone si detergeva il sudore. - Sembles un gri - diceva a Nuria - Tu no sues mai! - Nuria si odorava le ascelle e le pareva che non sarebbe mai diventata grande. Entrava nel cortile di Dida frastornata, come in una fiera o in ·una festa - l'odore di zuppa di fagioli nelle tende di ferro sonanti era lo stesso del corpo di Dida. Era seduta su di un gradino con una scodella in mano. Sbirciava poggiato per terra accanto a lei un pezzo di pane e olio con gambi di aglio fresco o pomodoro per paura che glielo prendessero. Dida arrivava con un altro piatto pieno di spighe di mais bollite. Nuria si difendeva, mentre mangiava, dai cani e dai gatti, i quali disdegnosi avvoltolavano le code davanti al mais; presaghi però, come lo era Nuria stessa, continuavano a gironzolarle intorno; forse avrebbe avuto anche pane e sopressata. E infatti Dida usciva dalla tenda tintinnante con in mano il pane spalmato di rosso. E rosso come la sopressata era il fazzolettone attorno al collo di Pedròn che si affacciava alla tenda e con un sorriso accompagnava il dono. Pedròn in quella casa solo della sopressata era padrone. Solo lui sapeva farla, metterla a maturare in luogo adatto, custodirla. Per Nuria saliva sulla scala, staccava la sopressata da un chiodo alto, scioglieva lo spago che la legava da ogni lato. Nuria mangiava col capo fra le ginocchia, con i capelli in giù. Scostava i gatti e i cani con i gomiti; entrava nel paradiso grasso e piccante del Lazarillo. Lazarillo si sarebbe venduto l'anima per quel boccone, come aveva fatto "e/ Doctor Faust d'Alemanya"; ma - E/s pobres no tenen ànima, - le aveva detto un giorno Dida, dopo che aveva litigato con un ubriacone del suo cortile che aveva lasciato morire la moglie sola in casa. Pedròn aspettava. Avrebbe forse voluto un ringraziamento, un sorriso. Nu112 - Fabrizia Ramondino
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