Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

raccontiitaliani mantello della Vergine, da lei sempre invocata. Aveva denti bianchissimi e regolari; questo particolare, unito a quest'altro, che le sue mani tonde e rosse parevano due mele, faceva pensare a Nuria che Dida fosse tutta commestibile e saporita, tanto che persino a se stessa dovesse dare appetito; sicché si spiegava le ire di Dida col fatto che dovesse difendersi da tutti per non essere mangiata. La maglia di lana stinta, che forse era stata azzurra, indurita e ristretta da frequenti lavaggi, le modellava i gomiti, il petto e le spalle e un tepore maggiore emanava da queste zone rotonde che Nuria amava racchiudere fra le mani, come quei grassi piccioni che ogni tanto nel suo cortile Dida le deponeva in grembo. Stretti in pugno, annodati nel fazzoletto, nascosti nella fascia del seno o nella manica di lana, Dida aveva sempre cartocci di varia misura di soldi; quei soldi sgualciti, caldi del suo corpo, in forma di cilindro, furono per Nuria la prima immagine concreta, quasi commestibile del denaro; parevano infatti cartocci di castagne, di fichi secchi, di nocciole. I soldi invece che vedeva accuratamente piegati o spiegati nel portafoglio di suo padre o degli altri signori le parevano carte senza importanza. A Dida, quando accartocciava o scartocciava i soldi, lucevano gli occhi; con gesto franco li offriva a qualcuno sul palmo aperto, come porgeva a Nuria la zuppa di fagioli quando andava a farle visita nel suo cortile; i signori invece parevano dare i soldi come di nascosto, quasi si vergognassero. Dida poi con tranquillo possesso se li rificcava in seno; i signori invece con noncuranza, quasi si trattasse di inezie, facevano scivolare il portafogli nella tasca interna delle loro rigide giacche. Appena Dida li tirava fuori dalla maglia, Nuria se li faceva mettere in mano: erano caldi, fragranti come caldarroste. Poggiati sul tavolo si srotolavano piano da soli, come leggermente ansanti, quasi si fosse trasferito in essi il continuo affanno che accompagnava il respiro di Dida a causa della sua corpulenza e di una sua strana anemia. - Tene la sang blava - scherzava Dida; e di nuovo Nuria vedeva attorno a lei il manto della Vergine e le baciava con reverenza la punta delle dita. "Se non avesse avuto il sangue celeste - pensava Nuria - non avrebbe per me tanta tenerezza". Solo Nuria sapeva che Dida era fragile, tenera, celeste; e siccome era sempre poggiata su di lei, solo Nuria conosceva il suo affanno leggero. - Emfafalta /'a/è- le diceva Dida. E Nuria le soffiava in bocca per darle fiato. Il camice di picché bianco, che doveva indossare appena entrava in casa, derubava Nuria di tutti quei tepori di carne e di lana. Le manine tonde e rosse di Dida, sproporzionatamente piccole, parevano poggiare su tutto quel bianco come su di un piatto - le due meline erano state appena spiccate dall'albero. Dietro la schiena i grandi bottoni bianchi parevano a Nuria il segno dei decilitri della bottiglia di latte che la sua sorellina Angels stava succhiando; tutta Dida era un grande biberon. Le tre spille da balia che portava sempre appunte sul petto s'ingigantivano anche esse agli occhi di Nuria man mano che le fissava e diventavano le armi strane di una potente guerriera o chirurga. Quando il biberon sfuggiva di bocca a Angels, Angels urlava. - Dida - diceva Nuria - Cosi-li la boca amb l'agulla. - Quina nino més dolenta! - diceva Dida. A quel - 'dolenta'. Nuria si sentiva sciogliere, succhiava dolcezze e ne era succhiata. Quando invece la signora Dominica in lingua italiana le diceva "cattiva" a Nuria non veniva voglia di mescolarsi, ma di distinguersi, e quindi di essere ancora più malvagia. Mentre Angels continuava a succhiare, Nuria si metteva dietro la schiena di Dida e cercava di sbottonarle gli ultimi bottoni; la stoffa attorno all'asola era così tesa che faceva fatica. - Ara et descord - diceva Nuria. - Deixa'm - diceva Dida - Deixa'm, que em fas pessigolles! - Poi aggiungeva ridendo: - Aquests Fabrizia Ramondino - 111

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