Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

racconti italiani circondava la poveretta. A lungo Nuria si era dondolata al suono della macchina per cucire o aveva giocato alla guerra, accompagnata dal minaccioso ticchettio delle forbici o si era raccontata fiabe suscitate dal picchiettio regolare dell'ago sul ditale. - Vineaqui, que t'ensenyaréa cosir- invitava Nuria, quando si accorgeva di lei, e le tagliava un pezzo di panno in forma di giacchetta da bambola e gliela imbastiva; le indicava poi come ficcare l'ago e fare dei punti stretti; e le dava un filo colorato, giallo o celeste, affinché vedessemeglio i punti. Un giorno le regalò un piccolo ditale. Nuria amava quel ditale, lo teneva sempre in tasca, se lo ficcava al dito perché le tenesse compagnia; quando era in giardino ci versava un po' d'acqua e ne beveva; e le pareva di bere un elisir dolcissimo. O picchiettava col ditale sul tavolo; e quel rumore le pareva evocare un destino di solerzia e saggezza e, quasi avesse saltato tutte le tappe della sua esistenza, immaginava di essere una nonna fiabesca. I puntini del ditale le evocavano ricami e le pareva di saperli già fare, immaginando di spingere e tirare aghi e fili colorati sulla stoffa. Oppure lo poggiava sulle labbra e succhiava l'aria; il ditale aderiva forte e non cadeva. "Finché il ditale rimane così" pensava "non può accadere niente di male". Ristagnava nella soffitta un odore di panno bruciato, - Maria dimenticava spesso il ferro sul telo bianco che ricopriva la tavola da stiro. Quell'odore piaceva a Nuria; quando fuori pioveva, diventava più intenso. Più che le pareti, quell'odore pareva proteggerla dal maltempo, come un tanfo di case millenarie, acre e soffocato nello stesso tempo, che tutto impregnava impercettibilmente, dalle ragnatele al legno tarlato, ai vetri giallognoli e polverosi. Un giorno, mentre Maria dimentica di tutto cuciva, Nuria prese dalla sua tasca il fazzolettino ancora piegato in quattro, come ve lo aveva ficcato Dida, lo stese sulla tavola da stiro e vi poggiò il ferro bollente; il marchio del ferro pareva la prora di una nave che affonda. Maria cantava piano una ninna nanna. "È una nave da guerra", pensò Nuria. Dida le aveva detto un giorno che quando era ancora in fasce era arrivata nell'isola con una nave da guerra. Nuria appallottolò il fazzoletto e lo nascose sotto i ritagli di panno. "La nave è affondata" pensò, si stese a terra e fece il morto, sforzandosi di trattenere il respiro; ma il gioco riusciva meglio quando si chiudeva nella cassapanca e giocava al "Sepolto vivo". Fu attratta poi dai fori della presa elettrica di porcellana. Vi ficcò le dita, prese la scossa. Si mise a strillare. Maria levò il capo dal lavoro. Nuria tornò a giocare per terra, di nuovo si mise a fare il morto. Dopo un po' dietro i panni si levò fievole e dolcissima la voce di Maria: - Si et claves/esestisores,no et faràs res. - Nuria ficcò le punte delle grandi forbici nere nella presa. Strillò di nuovo. - Mentidera! - le urlò piangendo. Maria dietro i panni rideva piano piano, Nuria vedeva le pieghe di stoffa sussultare. Non lo disse a nessuno, ma da allora non tornò più nella soffitta. E gettò nel pozzo il ditale che Maria le aveva dato. Dida, la regina di tutti, servi e padroni, piante e animali, stanze e patii, stelle e pianeti era grossa e possente. La signora Dominica, accanto a lei pareva una bambina. Aveva capelli lunghi e pesanti, biondi e canuti mescolati, intrecciati fitti fitti e annodati in una crocchia al sommo del capo; un pettine alto ornato di finti piccoli diamanti era confitto al suo centro. Si strofinava i capelli col limone per asciugare la forfora e il grasso. Una signora aveva detto una volta a Nuria: - Tens uns cabellsque semblen de seda. - E Nuria disse a Dida: -E/s teus cabel/sno s6n de seda sin6 de vellut. - Aveva un filo di oro al collo e orecchini in forma di mezzaluna. Qualcosa di celeste nel bianco degli occhi ricordava il I IO - FabriziaRamondino

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