racconti italiani ne le pareva ben peggiore di come immaginava un chiodo vero, sulle mani e sui piedi del Cristo ad esempio, o di come aveva sperimentato talora punture profonde di spilli, di spine, di istrici e ricci marini; la sua natura non minerale né ignea infatti, il suo penetrare in una cavità per così dire apposita, lo stesso intento umano che lo muoveva, parevano esigere una complicità e una risposta; così da qual giorno tutte le sensazioni provate in quella occasione da Nuria si precisarono nella parola "tortura", che spesso udiva in vari racconti - a questa parola sua nonna ne preferiva un'altra, "tormenti" -, o la storia di San Lorenzo sulla graticola, o quella di San Sebastiano ucciso da frecce, o quelle delle vergini martiri cristiane e delle suore di Barcellona; e l'abiura, richiesta a quei nobili santi nel corso dei tormenti inflitti loro, era del tutto simile a quella complicità sordida e totale, fin nel più intimo della carne, a cui la si era voluta piegare. - Deixa-la estar! Deixa-la estar! - urlò Antonia sconvolta. Un rosso febbrile le era salito alle guance, le Iucevano gli occhi quasi di pianto. L'uomo lasciò la bambina. Antonia le rassettò gli abiti. - Fora d'aqui! - ordinò l'uomo. - lo no ho diguis a ningu, sin6 t'hofaré una altra vegada! - La povera Antonia condusse Nuria fuori della porta, le mise in mano una manciata di caramelle; l'uomo intanto la richiamava tirandola per la veste con impazienza; Antonia sparì chiudendo la porta con un sorriso timido e ardente. Nuria aspettò un po' lì fuori che la chiamassero. Non lo fecero. Andò in cucina. I lampi sferzavano i vetri, aprì la porta per avere compagni gli odori del patio; raffiche di pioggia bagnavano il pavimento, arrivavano quasi al tavolo. Si fermò sulla soglia, le piaceva sentirsi bagnata. Il vento cessò, la pioggia non era più sferzante, scendeva quieta e leggera. Quel fruscio era simile a quello che pareva provenire dalla pasta messa a crescere sul tavolo, coperta àa un panno, che aveva scostato per vederne i crateri; e le pareva che assieme a lei dovessero udirlo esseri misteriosi e strani acquattali nelle pentole di rame o nel fondo dei mestoli. Stretti tra l'orgoglio furente e il timore, costretti all'impotenza, come in una cella, i pensieri di Nuria, come il cielo gonfio e la pasta del pane, cominciarono a fermentare in un tranquillo rovello. Che si concluse con questa frase, pronunciata a voce ben alta e distinta: - Mala gent. Oltre Pedròn, Dida, Antonia nella casa vivevano due ombre, Ines, la cameriera nana e Francesca la cuoca. Come fossero parenti di PedròJ1, dove vivessero, quali colori e forme rivestissero nel mondo, Nuria non lo sapeva. Ines la nana era così minuta, magra, umile e silenziosa che pareva confusa agli oggetti che puliva; acquattata sul pavimento lucido d'acqua si confondeva con il riflesso del lampadario o con la chiazza del panno; intenta a spolverare una seggiola pareva l'ombra di essa nella stanza invasa dal sole; accanto alla vergine del Toro, turrita e truculenta, di cui lavava il vetro che la proteggeva con giornali appallottolati umidi di acqua e aceto, pareva uno di quegli angioli servizievoli che scostano le tende o reggono il manto alle Madonne e che si notano soltanto dopo che si è sazi di indagare l'inquietante mistero centrale; come per certe lucertole o per i ramarri che si confondono con pietre e cortecce o con l'erba o come per figure di amanti avvinti celate nelle decorazioni floreali scolpite su pulpiti e portali, solo il caso o un'attenta osservazione avrebbero consentito di accorgersi di lei. Il caso venne a Nuria in soccorso. Un giorno giocava al "Mondo Rovesciato", tenendo il capo in giù fra le gambe divaricate e guardando di sotto in su. Ines spolverava i ninnoli sulla cassapanca davanti allo specchio e riflesso in esso Nuria poté vedere il suo sorriso. Come la piega del ventre incisa su alcuni putti di cera o come la espressione incerta di una madre bambina; o la meraviFabrizia Ramondino - 107
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