omaggioa GeorgesPerec discussione Ci ha sorpreso scoprire, dopo la sua morte, avvenuta nel marzo scorso all'età di 46 anni per cancro al polmone, che Georges Perec era pronipote del Peretz scrittore yiddish di cui Feltrinelli ha ristampato le Novelle -ebraiche. Strani incroci e destini, perché a ben guardare dietro i due Peretz-Perec passano inquietudini simili, metafisiche, cioè concretissimee astrattissime insieme. Il mondo in cui visse Peretz era quello dello shtetl, con la sua miseria e paura, e con la sua ansia di salvezza al di là o qui, in una morale che era quellapietosa e magica dei chassidim. Il mondo in cui è vissuto Perec è quello del benesseree della società industriale, la sua generazione quella concretamente segnata dall' Algeria, dal boom, dal '68 e dal dopo '68, fertile negli anni '60 di proposte politiche o letterarie - tra nouveau roman e nouvelle vague, strutturalismo e semiologia. Di queste tendenze e acquisizioni, Perec seppe profittare come pochi, senza dimenticare, anzi divenendo uno dei suoi principali assertori, la tradizione patafisica, ancora viva inQueneau, o "la scienza dell'uomo·" di un Leiris. Perec ci stette dentro a modo suo, con una originalità che lo spinse a oscillare tra due modi e due ricerche: Le cose (1%5), Un uomo che dorme (1%7), W. ou le souvenir d'enfance (1969-70), da un lato; i "giochi" di Espèces d'espaces (1974), La disparition (1969), Les revenentes (1972), Ulcerations (1974);l"'a parte" di Je me souviens (1978); e infine il tentativo di fondere tutto nell'immane impresa di La vie mode d'emploi (ancora 1978). Quel che infastidisce negli sperimentatori giocolieri (francesi e anche italiani) è forse il fatto che il gioco sia troppo spesso fine a se stesso, che abbia in questo i suoi pregi ma anchei suoi limiti. Nevrosi o frigidità ne sono alla base, più che non vera capacità di "divertirsi" e divertire. Ciò non era vero per Queneau, ma è stato vero per il Perec attorno al '70, nell'immediato post '68; come se una straordinaria capacità sperimentale si trovasse a confronto con un vuoto, e ne sortisse una proposta transitoria, con un po' dell'aridità dei tempi. Preferiamo, di Perec, le prime opere, quelle nelle quali l'inquietudine privata si realizza in discorsi distanziati e conchiusi, ma di risonanze molto generali: l'ossessione consumisticadi Le cose, l'andata-ritorno solipsistica nel mondo dell'indifferenza di Un uomo che dorme, la nùnuta memoria collettiva di Je me souviens. Qui è possibile ritrovare umori e sentori dell'epoca, intendendo per epoca la fase storica che il consumismo degli anni '60 ha aperto e che tutto ha sconvolto; ma anche un'inquietudine più profonda. Certo, maestri dichiarati di Perec sono stati Barthes e poi Queneau. Ma non è un caso che Un uomo che dorme cominci con una splendida citazione kafkiana, e che dentro si possano ritrovare echi di certe allegorie hawthorniane o di certo Melville. La vie mode d'emploi, sterminato romanzo di centinaia di "soggetti" e migliaia di personaggi (tutti gli abitanti di un casamento parigino, nel corso del tempo), unisce alla volontà sperimentatrice e "catalogatrice" dell'autore, l'inquietudine metafisica di fronte ai passaggi del tempo e dell'uomo, alle vite perdute, alle storie e agli oggetti di minima, transeunte traccia. Perec ha parlato di "sociologia della quotidianità" di interesse "per l'infraordinario, il contrario dell'evento" (''esiste oggi una specie di anestesia, non si fa più caso a ciò che ci circonda, a ciò che si ripete ogni giorno; si fa soltanto caso a ciò che ferisce il quotidiano";( ... ) !'"orribile non è lo scoppio del grisù, ma il lavoro nella miniera"); ha detto che lecose "vanno guardate un po' in tralice o di sguincio", che "con l'occhio bisogna stare non al centro, ma da una parte: per vedere il mondo venir fuori un po' in trasversale" in modo da dargli il "rilievo" più vero. Ci è riuscito, ritrovando - mutati i tempi e i luoghi, e forse rendendosene più conto di quanto non sembri - la stessa inquietudine dei grandi scrittori yiddish·, dell'antenato Peretz: ma senza consolazioni religiose, con laica e contemporanea angoscia, appena mascherata dalla tentazione e dalla maestria del gioco. (G.F.) Goffredo Fofi - 105
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