Linea d'ombra - anno I - n. 1 - marzo 1983

discussione po, il migliore. Sarebbe in realtà da dimostrare, attraverso un confronto e un'analisi che qualcuno dovrebbe pur fare; ma facciamo finta che sia vero, e consideriamo per ora con l'attenzione che meritano i "pezzi" del suo ultimo libro. Perché di insegnamenti esso ne ha da offrire davvero molti, più di qualsiasi altro suo libro. I ritratti di personaggi famosi (primo fra tutti quello di Marlon Brando, Il duca nel suo dominio), il reportage sulla tournée di artisti americani in URSS alle prime awisaglie del "disgelo" (Si sentono le Muse), e i luoghi di Colore Locale, tutti testi raccolti più tardi in / cani abbaiano, oscillano ancora tra l'ottimo giornalismo americano tipo "New Yorker" o "New York Review of Books" e la prosa d'arte. Non presentano particolari innovazioni rispetto a illustri prototipi se non per le singolari virtù d'intuizione e di scrittura di Capote. Il salto avviene attraverso A sangue freddo, minuziosa ricostruzione di un omicidio multiplo nella provincia americana. Sembrò allora sbalorditivo che uno scrittore, in fin dei conti vanesio quanto raffinato, snob quanto intelligente e dotato, dedicasse sei anni della sua vita a quest'impresa, "vagando per le pianure del Kansas". Ma ne sortì uno dei più agghiaccianti e rilevatori ritratti dell' America: una "spiegazione" della violenza americana originale e convincente. Nelle farse napoletane la parola fama viene regolarmente confusa con fame. Nella realtà americana, e Capote è stato uno dei primi a capirlo e spiegarlo, alla violenza determinata dalla fame, cioè con precise motivazioni economiche (il primo gangsterismo come Bonnie and Clyde e la delinquenza giovanile fino agli anni Quaranta e oltre) si era sovrapposta, fin quasi a sostituirla, la violenza determinata dalla ricerca della fama. L'atto gratuito ma spettacolare, l'ansia di celebrità a qualsiasi costo quando le altre strade per raggiungerla fossero precluse. Mi sembra legittimo ipotizzare che alla radice della volontà capotiana di ricostruire un fatto di sangue particolarmente "in102 - Goffredo Foji spiegabile'', stesse non soltanto una scommessa tematica (dimostrare di saper raccontare altro che se stesso o le celebrità conosciute) e di conseguenza di scrittura (abolire la prima persona, scegliere l'oggettività della cronaca e dell'inchiesta), ma anche il collegamento possibile tra diversi tipi di fama: raccontare, dopo i "divi" della cultura e dello spettacolo, un altro tipo di divismo, altrettanto fondamentale nell'assetto sociale americano, quello dei transitori eroi criminali della cronaca, presenti nell'immaginario collettivo alla pari dei "divi" e loro rivali nel richiamo e nel "successo". In fondo, questo è ancora un atteggiamento "snobistico", ma Capote capì, e fu conseguente sino all'estremo, che i modi di "narrarlo" dovevano essere diversi. Scrittore serio che non s'accontenta del successo anche se il successo gli piace e che non aveva un "suo mondo" artistico pressante e ossessivo da affermare oltre i primi romanzi, scrittore "sociale", Capote somiglia in qualcosa al Bogart di cui narra in / cani abbaiano, che divideva le persone in due categorie, i "cialtroni" e i "professionisti". È un "professionista", e sa che alla lunga solo il professionismo paga, nel sistema delle lettere americano, a tutti i livelli. Non si è accontentato, quindi, dei risultati di A sangue freddo, e ha continuato a cercare. "Il problema era: come può uno scrittore riunire felicemente in una sola forma - diciamo il racconto - tutto ciò che sa di ogni altra forma di scrittura? (... ) Il voltaggio c'era ma, lasciandomi limitare dalla forrna, quale che fosse, in cui scrivevo, non mettevo in atto tutto ciò che sapevo dello scrivere, tutto ciò che avevo imparato da copioni, opere teatrali, reportage, poesia, racconto, romanzo breve, romanzo. Uno scrittore dovrebbe avere tutti i suoi colori, tutte le sue capacità a disposizione sulla medesima tavolozza per poterli mescolare (e nei casi opportuni applicarli simultaneamente)". Il tentativo di Answered Prayers, interrotto per la convinzione di non "aver fatto erompere tutta l'energia e il godimento estetico insiti

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