ni critiche avvengono all'interno di un Paese come l'Ungheria che, dopo aver iniziato una politica di riforme liberalizzanti nell'economia a partire dal '68, e averla poi stemperata negli ultimi anni, ha tuttavia sempre mantenuto una notevole autonomia in questo settore rispetto al modello sovietico e anche rispetto ai Paesi fratelli del blocco orientale. Tutto questo ha trovato puntuale conferma al congresso del partito, a cominciare dal discorso inaugurale di Kadar (da 24 anni alla guida dei comunisti ungheresi e confermatosi leader indiscusso) e proseguendo con tutti gli interventi dei maggiori dirigenti. Il discorso di Kadar è risultato nettamente diviso in due parti. La prima (circa un decimo del tempo), dedicata alla situazione internazionale, è servita al segretario per rassicurare l'alleato sovietico sulla fedeltà del partito ungherese al blocco orientale e agli impegni del Patto di Varsavia. Pur facendo chiaramente intendere l'interesse di Budapest per una ripresa della distensione, Kadar ha voluto in primo luogo rendere omaggio alla tesi sovietiche sulla questione afghana, accreditando in pieno la versione dei fatti data da Mosca. Questo gli ha permesso, come molti osservatori hanno notato, di muoversi con maggiore libertà sul piano della politica interna e delle riforme economiche che il partito e il governo intendono promuovere. Con voce pacata e con il tono di un amministratore delegato che rende conto agli azionisti dello stato dell'azienda, Kadar ha continuato a lungo a elencare le falle del sistema economico e i rimedi che si intendono adottare. Ha attaccato il sistema delle sovvenzioni indiscriminate alle aziende in deficit e che continuano a utilizzare tecnologia obsoleta e mano d•opera con metodi assistenziali e non redditivi. Ha sottolineato la necessità di una revisione ancora più radicale di quella già avviata del sistema dei prezzi, per approdare infine alla coincidenza tra prezzi fissati e prezzi reali. Ha spiegato l'indispensabilità di questi provvedimenti sulla base della situazione dell'economia ungherese e del suo rapporto di stretta dipendenza nei confronti dell'economia mondiale, e di quella capitalistica in particolare. Ha rivendicato al governo il diritto di pro11 cedere a una revisione dei salari che tenga conto delle differenze produttive tra un settore e l'altro; e ha concluso sollecitando una parallela riforma della macchina del partito e dello Stato: una riforma in nome della lotta alla burocrazia, che semplifichi i meccanismi di trasmissione delle decisioni e di controllo, che permetta di seguire con maggiore precisione l'evoluzione delle esigenze della popolazione e di immettere con più facilità nell'apparato dello Stato e del partito forze giovani, tecnicamente preparate, anche se non ancora ideologicamente collaudate. Il discorso di Kadar è stato attentamente seguito dalla platea e lungamente applaudito. La scelta del segretario, che ha evidente,' mente rinunciato a occuparsi di politica estera al di là dell'ossequio iniziale all'Unione Sovietica, non è sembrata pesare all'uditorio ungherese, evidentemente più interessato ai duri problemi della crisi economica che alle tentazioni di un ruolo politico internazionale più autonomo. Questa linea politica ha trovato buona accoglienza da parte del rappresentante sovietico Kirilenko. Come all'intervento non allineato di Gierek un mese fa a Varsavia aveva prontamente replicato il duro richiamo all'obbedienza di Suslov, così all'intervento deferente in politica estera di Kadar è seguito un discorso distensivo e possibilista da parte di Kirilenko. In politica interna Gierek e Kadar sono stati entambi critici nei confronti degli apparati e del sistema, al punto che in Polonia è saltato il primo ministro Jaroszewicz e in Ungheria qualcuno mormora che la stessa fine possa toccare all'attuale primo JANOSKADAR ministro Lazar; ma in politica estera i due leader si sono mossi diversamente: Kadar allineato e ubbidiente, Gierek proteso al dialogo con l'Europa occidentale e al limite dell'eterodossia. Altrettanto diversa la replica sovietica, preoccupata in questo momento prevalentemente della disciplina delle sue truppe: severa e ammonitrice con Gierek, distensiva e accomodante con Kadar. Dopo questo esordio, il congresso è proseguito rapidamente (tre giorni di lavori in tutto) con gli interventi del presidente del consiglio Lazar, autocritico sui ritardi del governo; del segretario dei sindacati Gaspar, che ha sottolineato la necessità che il sindacato sappia essere all'altezza dei problemi di una crescita dell'efficienza economica; del segretario del partito di Budapest, Mehes, che ha sviluppato le critiche di Kadar alle aziende improduttive, del ministro degli esteri Puja, che dopo aver reso omaggio all'URSS ha tuttavia ripreso la proposta polacca per una conferenza sul disarmo da tenere a Varsavia (del resto accolta anche dallo stesso Kirilenko ). Quando Kadar ha ripreso la parola per concludere i lavori, era evidente che la sua riconferma alla guida del partito era il risultato non tanto di una fiducia formale, ma di una coincidenza profonda tra le esigenze poste dal segretario e quelle sentite dall'apparato dello Stato e del partito, ma anche dalla grande maggioranza della opinione pubblica. Così il discorso di chiusura è risultato una riconferma puntuale e forse anche più secca di tutte le critiche che avevano aperto il congresso, rinforzate dall'unanimità dei consensi; al punto che il segretario del partito ungherese si è sentito alla fine abbastanza forte per mettere anch'egli, a sua volta, l'accento sulla necessità di una ripresa della politica della distensione. Confermando la disponibilità ungherese a iniziative in questa direzione (una volta rassicurati i padroni sovietici) Kadar ha voluto rassicurare i suoi partner occidentali dell'interesse di Budapest per il dialogo e la pace, condizioni indispensabili per la stabilità economica e sociale della ancora fragile Ungheria. JobA.Cwls 8 APRILE /980
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