' 8 aprile 1980 500 I i re ILLEVIATANO Direttore rl"Sponsahilc: GIUUO SAVI-I11 ------ . IDl'lllmi· ,r::::::::::::::~ 13
EDITORIALE Divisi dal potere dc Ù VICENDA DEU'ULTIMA CRISI DI GQ. vemo dimostra quanto sia urgente una iniziativa politica che ponga le premesse per una ristrutturazione radicale delle forze dell'area laico-socialista. Questa area, che complessivamente raccoglie il consenso di circa un venti per cento dell'opinione pubblica, si presenta lacerata da una profonda divisione tra chi nulla crede si possa fare senza il preventivo recupero delle forze che nel PCI si muovono, con un processo revisionistico, verso la rottura con il blocco sovietico e l'adesione ai valori della democrazia occidentale; e chi ritiene invece che, proprio per accelerare questo recupero, occorra che le forze riformiste dimostrino di volere e di sapere condizionare la OC, del tutto autonomamente dal PCI, nel senso di ripristinare le condizioni di quel «buon governo» di cui il Paese ha così pressante bisogno. Ma questo stato di divisione all'interno dell'area laico-socialista ha un effetto paralizzante, sicché, senza un cambiamento di rotta, è facile prevedere che le sorti della vita pubblica seguiteranno a giocarsi tra OC e PCI, e che né l'una né l'altra delle strategie dell'area laicosocialista avrà la capacità di incidere sul corso degli eventi. Da sola infatti a poco può servire la denuncia, che pure va fatta instancabilmente, del malgoverno democristiano e della perdurante ambiguità e pericolosità dei comunisti. Non è qui il caso di stare a ripetere le ragioni della non affidabilità del PCI. Del resto, se si ritenesse davvero di poter fare affidamento sul PCI, immediatamente o a brevissimo termine, per correggere i mali di cui soffre la democrazia in Italia, ne seguirebbe in buona logica che l'esistenza di un'area laico-socialista sarebbe destinata a diventare contemporaneamente del tutto inutile, perché le esigenze che essa rappresenta sarebbero ormai fatte proprie dal PCI, al :ui successo quindi tutti i cittadini di orientamento riformista potrebbero e dovrebbero sforrarsi di dare il massimo contributo. Un'area laico-socialista politicamente autonoma, sia dal PCI che dalla OC, in tanto si giustifica in quanto né il PCI è in grado di arrecare allo Stato il consenso delle masse che in esso si riconoscono senza far correre un rischio gravissimo alla democrazia, né la OC è capace di attuare al suo interno, e quindi nello Stato, quelle p~ofonde riforme di comportamento senza le quali anche 2 la sopravvivenza delle istituzioni IÌbere, che finora la OC ha pur garantito, rischia alla lunga di venire compromessa irrimediabilmente. Ostinarsi a porre sul tappeto la questione dell'ingresso del PCI nel governo a breve scadenza come assolutamente pregiudiziale per assicurare un rinnovamento profondo, oggi poi che a questo obiettivo la situazione internazionale oppone ostacoli insormontabili, significa lavorare di fatto per la cristillizzazione a tempo indeterminato dell'ormai più chè trentennale egemonia democristiana, e quindi favorire l'ulteriore degenerazione e degradazione della vita pubblica, invece del suo risanamento. Un gioco delle parti tra correnti favorevoli e contrarie · all'ingresso del PCI nel governo è del tutto comprensibile all'interno della OC, in quanto serve a questo partito per perpetuarsi al centro del potere: è incomprensibile tra i partiti della area laico-socialista, in quanto serve solo a mantenerli in una posizione subordinata. SJ)O" stando a volta a volta le proprie alleanze dai fautori dell'una a quelli dell'altra ipotesi, la OC riesce infatti a non lasciarsi mai ingabbiare nella logica di nessuna delle due strategie; al termine di ognuna delle quali potrebbe profilarsi il superamento della sua egemonia a vantaggio dell'alleato che con quella strategia totalmente si identifica. Lasciando balenare la possibilità di un successivo ingresso del PCI nel governo, la OC ha così ottenuto l'appoggio di questo partito contro l'ala craxiana del PSI all'epoca dell'ultimo governo Andreotti, poi quello del PSI contro il PCI con il primo governo Cossiga; oggi punta esplicitamente a inasprire le differenziazioni e le polemiche tra PSI e PRI da una parte e PSDI e PLI dall'altra, facendoli apparire divisi da contrasti insanabili, quando invece a tutti dovrebbe esser chiaro che i valori fondamentali cui tutti questi partiti si richiamano, almeno nelle componenti maggioritarie - la democrazia occidentale, l'europeismo, la solidarietà atlantica in primo luogo - sono comuni. . Poiché il CO!}dizionamentodella OC ad opera d1 un PCI divenuto parte determinante del governo non è _nell'ordine delle cose possibilie qualora lo diventasse precipiterebbe il Paese prima ne~ caos poi nella dittatura -, il potere pressoche assoluto della OC ha buone probabilità di potersi protrarre fin quando tutta l'area laico-socialista, uscendo dal masochistico com8 APRILE /980
plesso di subordinazione nei confronti del PCI, non porrà il partito di maggioranza relativa di fronte all'alternativa rigida o di dividere davvero il potere su basi di dignità e di efficienza con i suoi tradizionali alleati, o di cedere alle lusinghe minacciose del PCI, mettendo a repentaglio, con la propria, la sopravvivenza stessa della democrazia nel nostro Paese. Occorre pertanto che tutte le forze migliori che militano, si riconoscono o semplicemente gravitano intorno a PSI, PSDI, PRI. e PLI evitino di lasciarsi attrarre in una sterile e controproducente polemica intestina sulle responsabilità per la soluzione della crisi di governo, indubbiamente tra le più infelici che si potessero immaginare se non altro per i gravi elementi di divisione che introduce, soluzione che non a caso è nata in casa democristiana, risponde a interessi democristiani e appare del resto destinata a breve durata. È necessario invece che in questa area si apra un serio, approfondito e pubblico confronto ideale e programmatico, dal quale esca finalmente una proposta comune ai quattro partiti per invertire la marcia che sta portando il Paese al disastro. Solo così si può sperare che in futuro la DC si trovi facilitata e costretta insieme ad operare una vera scelta, che valga a far uscire la società italiana dalla paralisi che l'avvilisce e la degrada. LETTERE I Oltre la proporzionale CaroSavelli. il sig. La Scala di Milano, sul n. IO del Leviatano, dimostra una preoccupazione, a mio parere del tullo infondata, per le sorti del sistema proporzionale. E chi, ora come ora, avrebbe interesse a modificare un così ammirevole capolavoro dell'ingegneria istituzionale? Non i piccoli partiti che si definiscono laici, che anche solo da una piccola correzione del sistema (che ad es. stabilisse, sul modello tedesco, che con meno del 5% dei voti non si ollengono seggi in parlamento) sarebbero costretti a rimettere in discussione divisioni storiche a cui tengono più che alla pupilla dei loro occhi, nonché l'abitudine, anch'essa storica, a finaliu.are le loro-manovre politiche a rubacchiare un po' di voti nell'orto del vicino più prossimo, rinviando a un domani remoto ogni scontro con DC e PCI; che d' a/fronde le• loro dimensioni non consentono. Tanto meno hanno interesse a correggere la proporzionale la DC e il PCI, che dallo spezzellamento del 'area intermedia hanno da guadagnare il proseguimento indisturbato delle pratiche che gli consentono di egemoniu.are l'uno il governo fonnale del Paese, e l'altro l'opposizione; collaborando di fatto, sollo le cortine fumogene dei loro finti scontri, a rovinare il Paese. Quindi ci terremo la proporzionale pura, la nullità operativa dell'area intermedia che essa preserva, e che neutralizza politicamente le elaborazioni culturali degli intelle11ua/i più IL LEVIATANO Altrimenti, l'unico modo di allontanare lo spettro del compromesso storico, ammesso che e fin quando ci si riesca ancora, sarà quello di perpetuare indefinitamente l'egemonia schiacciante della DC, con tutte le magagne che da tempo ormai l'accompagnano, rese sempre più acute dalla mancanza di meditati ma risoluti interventi. qualificati che gravitano intorno alla area. I quali peraltro, quando le cose sembrano mettersi davvero male, si dividono in due grandi schiere: quelli che pregano lddio che sia scongiurato il sorpasso e che poi la DC si laicizzi e si rinnovi, sollo la guida di Toni Bisaglia e di Arnaldo Forlani; e quelli che sperQno che Gerardo Chiaromonte, Giorgio Napolitano, Franco Rodano e Salvatore Sechi conducano a buon fine, in concorde discordia, il processo di democratizzazione del PCI, che notoriamente si sviluppa da lunghissimo tempo e procede di bene in meglio.fra un viaggio di Pajella ad Addis Abeba e uno scalo di lngrao a Mosca. Ma varrebbe poi davvero la pena che i partiti intermedi, per il ghiribizzo di presentarsi uniti su poche, elementari proposte di. risanamento e di ammodernamento, ci privassero di una così ricca dialettica politica, e di guerre d'ingegni così graziose? Luigi Tosi, Firenze Voilà Voltaire Caro direttore, è un momento difficile per le forze dell'area di democrazia laica. La loro frantumazione, la tendenza, che sembra prevalente, ad accentuare le differenze, e a dimenticare le possibilità di convergenza, riducono, al di là del nonnale, il peso politico della parte pilÌ moderna del paese e favoriscono l'immobilismo pressoché totale del nostro sistema politico. Consci di questa difficile situazione politico-culturale, il gruppo di amici, per lo più giovani, che si è radunato attorno a «il Voltaire», un centro culturale di recente nascita, si è posto come obiettivo di favorire la stimolazione e il recupero della dimensione rifonnatrice del migliore pensiero laico. Un lavoro, quindi, di analisi e di dibattito dei problemi italiani, nel solco della concretezza e del pragmatismo proprio della tradizione liberaldemocratica e socialrifonnista. In questa prospettiva le istituzioni rappresentative della democrazia occidentale divengono l'unica garanzia per la libertà degli individui e per l'autonomia della società civile nei confronti dello Stato. Un rapporto, questo tra Stato e società civile, che prevede una economia liberale consapevolmente programmata, ben diversa da quella mescolanza di keynesismo e populismo realizzata dal partito cattolico. Vale a dire la programmazione come necessità. senza la quale si resta vittime di quella logica settoriale e/o corporativa, tipica dei grandi partiti di massa, che sbarra la strada al rifonnismo, aprendo invece quella, che stiamo ancora percorrendo, del capitalismo burocratico ed assistenziale. Il gruppo de •il Voltaire• intende situarsi quindi, nell'area di democrazia laica, liberale e socialista, intendendo il laicismo non solo nel senso della distinzione e separazione di ruoli tra Stato e Chiesa, ma anche nella accezione più vasta, di laicismo come rifiuto di ogni tendenza politico-culturale di tipo confessionale e dogmatico. In occasione dell'inizio della propria attività esterna «il Voltaire• ha inteso dedicare ai problemi di politica internazionale, con particolare riferimento al ruolo dell'Europa, un ciclo di tre incontri-dibattito. Inoltre, al fine di avvicinare la maggiore •audience» possibile, il centro culturale si servirà di una emittente radiofonica che è attualmente in allestimento presso il centro stesso, e della diffusione di autonome pubblicazioni. •Il Voltaire•, Roma J
■a.a ... rlllf9a.a■ _ ■a.a ... rlllf9a.a■ ........... - ...... . SINDACATO Revisione insindacabile DA QUALCHE TEMPO s, Notano segni di disagio nella triplice sindacale. La decennale retorica sul carattere di avanguardia che il sindacato italiano avrebbe rispetto ai sindacati degli altri paesi capitalistici è stata, se non abbandonata, messa in sordina. Spunti di realistica moderazione sono affiorati sporadicamente su questo o quel problema in bocca a questo o quel dirigente. Molti hanno sostenuto che gli aumenti retributivi non possono più essere considerati prioritari. Qualcuno ha mostrato di preoccuparsi del deterioramento delle posizioni italiane nel commercio internazionale; e sembra aver capito che nessuna durevole conquista dei lavoratori può essere edificata sull'arretramento dell'intero paese rispetto ai suoi concorrenti esteri. Tutte queste resipiscenze però non hanno avuto finora praticamente alcun riflesso sulla reale condotta quotidiana dei sindacati. Anzi, per molti aspetti, questa sembra da alcuni mesi particolarrnente disarticolata e caotica, e sempre più divaricata rispetto alla parata dei vertici. Non si intravede ancora che sbocchi potrà avere questa crescente dissociazione. Ne seguiremo gli sviluppi su queste' pagine. Ma come premessa ai commenti futuri sarà utile chiarire brevemente stavolta che nessuno sforzo revisionistico delle dirigenze sindacali può avere concreti risultati positivi se non e finché non affronterà con coraggio chirurgico il problema cruciale del nostro presente e del nostro futuro economico. Che è quello del rapporto fra le condizioni interne della produzione e i mutamenti esterni in atto nell'economia mondiale. Per dieci anni sul fronte imprenditoriale è mancata una vera resistenza, politicamente finalizzata, alla continua inflazione dei costi salariali generata dalla perrnanente pressione sindacale a tutti i livelli. Ed è mancata perché, data la situazione superinflazionistica in cui l'Italia si era abituata a vivere, si contava sempre di poter recuperare in breve sul verso dei prezzi quanto si era ceduto sul verso dei costi. I conti, almeno sul mercato interno, potevano ancora temporaneamente tornare. Era noto, certo, che questa spirale non poteva lasciare immutati i nostri rapporti col resto del mondo. Ma anche su questo fronte l'andamento degli ultimi due anni, precedenti i recenti aumenti del prezzo del petrolio, era sembrato aprire numerose scappatoie. In fondo la nostra bilancia dei pagamenti era tornata largamente in attivo, le nostre esportazioni erano aumentate, persino la nostra quota del commercio mondiale era in ascesa. Si trattava di sapere se tutto questo era avvenuto perché l'intraprendenza e l'inventiva molecolare dei nostri imprenditori avevano saputo occupare una maggiore quantità di spazi residuali e interstiziali lasciati da altri presso i clienti esteri più facoltosi. Ovvero perché tutto il nostro organismo economico si stava alt rezzando per adattarsi ai mutamenti epocali delle condizioni politiche entro cui si svolgono gli scambi internazionali. Mutamenti che sono. in sintesi, i seguenti: ■a.a ... rlllf9a.a■ - ....... I) Allo stato dei fatti non vi è un limite prevedibile all'aumento dei prezzi del petrolio 2) I paesi produttori sia di questa che di altre materie prime tendono sempre più a trasforrnarle in prodotti a più alto valore aggiunto; 3) Tutti i paesi emergenti vogliono industrializzarsi, e cercano di sostituire con prodotti nazionali le importazioni dagli industrializzati, cominciando da quelle di tecnologie più facili; 4) Un numero crescente di essi è in grado di vendere a prezzi concorrenziali una gamma crescente di manufatti sui mercati degli stessi paesi più avanzati. Gli ultimi dati sull'andamento del nostro commercio estero. la grave perdita di concorrenzialità di molte nostre importanti industrie fanno pensare che tanti nodi stiano LUCIANO LAMA finalmente arrivando al pettine, e suscitano fondati dubbi sul nostro sforzo di adattamento. Non si può dubitare che in Italia esistano le potenzialità tecnologiche, culturali e imprenditoriali per adattarsi evolutivamente ai detti mutamenti. Il problema è se le strutture sociali e i rapporti di forza politici perrnetteranno a tali potenzialità di attuarsi e di funzionare. Così come nel Cinquecento a Venezia se la Repubblica f?s.se voluta entrare nella compet121oneatlantica, il problema non era riuscire a farsi i velieri d'alto 8 APRILE 1980
■a.a.-r.-a.a■ _ ■a.a.-r.-a.a■ ... ■ ....... - ... ■ ....... - bordo; era di recuperare la flessibilità sociale ed economica interna necessaria per mettersi nella impresa. L'adattamento di cui ho detto richiede, nello stesso tempo anche se non sempre necessariamente negli stessi rami, investimenti più massicci, ma soprattutto scelta più accorta e lungimirante dei settori a cui applicarli, manodopera più duttile e preparata, più elevate attitudini culturali e intellettuali liberamente applicate alla produzione e atteggiamenti istituzionali e sociali favorevoli all'innovazione. Non è la stessa cosa fare, secondo metodi collaudati, scarpe, tessuti, benzina, automobili, o invece progettare in proprio e fare calcolatori, aerei, impianti nucleari, sistemi elettronici, macchine utensili, etc. Passerà un bel po' di tempo prima che gli emergenti riescano a fare queste ultime cose. Non è dunque solo questione di investimenti. Se è per questo la SIR ne ha fatto di mastodontici. Ciò che sta diventando cruciale è invece l'avanzatezza delle tecnologie e, dietro di esse. la flessibilità dell'organizzazione sociale del lavoro e il dinamismo delle strutture culturali da cui sono generate. Un buon sistema scolastico fornisce non solo il personale indispensabile alle trasformazioni economiche a cui ho accennato, ma anche servizi culturali esportabili a tutto vantaggio della nazione che li produce. Il difetto di una cultura industriale (che è poi in sostanza predominio delle ideologie e incapacità di misurare realisticamente le compatibilità e incompatibilità economiche) è diventato il fattore preminente di arretramento politico ed economico di un paese fra i grandi mutamenti che sono in atto. È sullo sfondo di questa realtà che può apparire in piena luce il carattere fallimentare (per il paese) di molte vittorie dei sindacati italiani. Investire di più, usare più intelligentemente le risorse disponibili, avere manodopera più qualificata. introdurre più rapidamente le innovazioni, insomma adattarsi evolutivamente alle dette trasformazioni. è possibile solo se in un paese non si crea e si mantiene con la pressione politica un sistema di convenienze artificiali. È possibile solo se le relazioni economiche sono dominate dalla IL LEVIATANO verità, ossia dai prezzi reali. Il sistema delle retribuzioni interne non può attribuire al lavoro italiano un valore che invece va sempre più riducendosi in rapporto ai beni che dobbiamo importare. É in questo confronto che si possono valutare gli aspetti truffaldini, alla lunga per gli stessi lavoratori, dell'assoluta indicizzazione salariale rispetto all'andamento dei prezzi anche internazionali. Non solo nel tempo storico, ma anche nel medio periodo l'indicizzazione dei salari risulta non autolesionistica per l'efficienza economica e per l'utilizzazione ottimale delle risorse nel paese che la pratica, solo se con la stessa quantità di lavoro e capitali incorporati nelle esportazioni si può continuare a importare quanto si importava prima. Altrimenti è, finché può durare, un'estorsione a danno di altri connazionali, o presenti o futuri. Al di là dalla retorica da piazza nella politica reale dei sindacati italiani non sembra operare finora alcuna comprensione degli imperativi e dei dilemmi drammatici che le trasformazioni in corso nell'economia mondiale pongono al nostro paese. È vero che una revisione radicale di tutti gli assunti sbagliati su cui la triplice ha basato per dieci anni la propria strategia sarebbe sconvolgente per i suoi assetti interni, per i legami che ha stabilito con la sua base. etc. Ma è anche vero che ritardare un tale momento della verità potrebbe sèatenare frane subitanee, ancora più pericolose per la legittimità democratica del sindacato. La spirale delle scappatoie, inganni e illusioni non può durare indefinitamente. Giuseppe Are Il nuovo indirizzo del Leviatano è in via Cicerone 44 00193 Roma telefono 38.41.SS ABORTO Una legge da modificare La posizione di fondo dei radicali sull'aborto è sempre stata quella della depenalizzazioneentro le 12settimane e non dalla sua regolamentazione da parte dello Stato. Sostiene inoltre il Partito radicale dae l'assistenza gratuita per la donna ne deve derivare come logico corollario. Il referendum s'impone quindi per abolire •il carattere odioso delle procedure e quello aberrante di uno Stato che si attribuisce il monopolio teorico delle interruziooi di gravidanza con una -18 di casistica generalizzata•. AivcHE NEL CASO DELl'aborto il referendum appare lo strumento meno adeguato per ottenere un miglioramento della legge, che pure non è priva di difetti: il principale dei quali è appunto quello sottolineato dal Partito radicale e cioè il fatto che - unico caso in tutti i campi della chirurgia e della medicina - l'aborto non può essere praticato privatamente, presso un qualunque medico o una qualunque clinica, ma deve avvenire solo e unicamente nelle strutture sanitarie pubbliche o assimilate. e per forza gratuitamente. La logica di questa norma è del tutto stravagante: perché. per un verso, la certificazione dello stato di gravidanza e dell'esistenza delle condizioni previste dalla legge perché l'aborto possa operarsi avviene anche attraverso il medico di fiducia: per altro verso la materiale effettuazione dell'intervento deve avvenire, come si è detto. in ospedale. La pura demagogia dei partiti della sinistra ha quindi di fatto ostacolato l'applicazione della legge, anche per il concorrere dell'obiezione di coscienza che doverosamente è riconosciuta ai medici che per motivi ideali o religiosi non vogliono prestarsi a questi interventi. indebolendo la ragione fondamentale per la quale la legge doveva essere approvata: la constatazione cioè della diffusione degli abo11i apclandestini, che era diventata e che in larga parte rimane una vera piaga sociale. 5
■.a ... rlllf9.a■ _ ■.a ... rlllf9.a■ ... ■ ....... - ... ■ ....... - La legge che ha introdotto lo aborto avrebbe dovuto, puramente e semplicemente, depenalizzarlo previo accertamento del limite dei tre mesi dall'inizio della gravidanza, lasciando semmai al normale sistema mutualistico la soluzione dei problemi di assistenza per i lavoratori assicurati. Si è invece introdotto un meccanismo che di fatto consiglia alle donne di continuare ad abortire privatamente e clandestinamente, a prezzi esorbitanti, che derivano dalla illegalità dell'intervento, mentre in larga parte le istituzioni pubbliche delegate allo scopo restano inutilizzate. I radicali propongono tuttavia• di abolire altri articoli della legge sull'aborto che appaiono invece condivisibili: e in particolare l'articolo primo che afferma che la procreazione cosciente e responsabile è un diritto garantito dallo Stato e che l'interruzione della gravidanza non è un mezzo di controllo delle nascite. Intende abrogare anche le cautele di legge per quanto riguarda le minorenni, che sembrano invece dover essere ragionevolmente mantenute, così come esistono per le altre forme di intervento sanitario. E infine, contraddittoriamente con l'assunto principale, intende rafforzare il principio di gratuità, apertamente contrastante con il principio di liberalizzazione. Anche in questo caso il referendum, come si è detto, appare un strumento inadeguato a risolvere i problemi che pure esistono: perché non battersi semplicemente per modificare la legge secndo le esigenze e le aspettative delle donne? PORTO D'ARMI Unfavore a chi spara La battaglia per l'abolizione del porto d'armi è per i radicali un nodo centrale dei principi fondamentali della convivenza civile. Abolire il porto d'armi, scrivono, non è disarmare l'appara• lo militare, né quello delle forze di polizia, ma bensì vietare le cosiddette seconde armi. Ne risulterebbe un disar6 mo delle polizie private,~ per I radicall in quanto è «veramente indispensabile cbe l'ordine pubblico sia interamente gestito sotto la responsabilità integrale e completa di autorità cbe rispondono politicamente al parlamento e agli elettori•. UN AMICO, PREOCCUPATO per la mia sicurezza, nei primi anni '70 mi regalò una pistola. Fu allora che chiesi e ottenni il porto d'armi. Ma da tempo, oramai, ho lasciato scadere questo documento. Tengo la pistola in casa, dove forse mi potrebbe servire. Indosso non l'ho mai portata perché sono convinto che, prima di poterla impugnare contro un aggressore, crollerei io sotto una raffica di colpi. Non sarebbe una garanzia, ma un pericolo. Non ragiono da pacifista perché non lo sono. Cerco, semplicemente, di vedere le cose con lucidità. E mi affido a quel fatalismo che è, se non una forma, almeno un surrogato del coraggio. Sfoglio, dunque, con curiosità· le paginette con le quali il partito radicale spiega i motivi del suo referendum numero 5: abrogazione della norma che autorizza la pubblica sicurezza a concedere il porto d'armi. Posso contraddire un partito che propone di rendere generale un'abrogazione da me spontaneamente adottata per me stesso? Nello squallore, nella noia plumbea che schiaccia la politica italiana i radicali portano un motivo di sollievo, e perfino di divertimento. Siamo riconoscenti se, qualche volta, per merito loro, il sorriso fiorisce sulle nostre labbra, già contorte dallo sbadiglio che invariabilmente viene provo- ■.a ... rlllf9.a■ ......... calo da una dichiarazione di Piccoli, De Martino o Chiaromonte. Ma ora i radicali esagerano nel farci divertire. Non vorranno costringerci a preferire la noia diffusa da Piccoli e dagli altri? Il disarmo imposto a guardiani notturni e diurni, a onesti cittadini, a guardie del corpo di gente minacciata ogni giorno di sequestro è una trovata divertente, non per noi, ma per tutti quelli che, referendum o no, fanno a meno del porto d'armi. Domenico Bartoli TERRORISMO Intanto, reprimere È la legge contro la cui approvaziòne il gruppo radicale ha di recente Inutilmente usato l'ostruzionismo alla camera. Col referendum se ne chiede l'abolizione tout--court, sostenendo cbe si tratta di una congeria di norme mal formulate sulla scia deUa legge Reale, misure che non serviranno ad interrompere lo slittamento di fasce di protesta verso l'area più propriamente terroristica. IL REFERENDUM PER lA abrogazione della recente legge in materia di antiterrorismo si inserisce nella stessa logica in virtù della quale i radicali chiesero (e fecero votare) per l'abrogazione della Legge Reale: l'idea per cui le misure «repressive» sono inefficaci per combattere la violenza. Le misure giudiziarie e di polizia, sostengono i radicali d'accordo con esponenti di altre formazioni della «nuova sinistra» e con intellettuali ipergarantisti, non servono a combattere il terrorismo, la cui matrice è politica e che quindi va affrontato politicamente. Che cosa ciò effettivamente possa significare nessuno l'ha mai spiegato in termini realistici e razionali. Se infatti si intende che il terrorismo nasce dall'acutezza dei contrasti sociali e politici, si dice senz'altro una verità: ma per un verso non si capisce come questi coni rasti possano essere sanati del tutto o comunque avviati a decisive soluzioni in tempi brevi; 8 APRILE /980
...... ~ ... _ ...... ~ ..... ... ii .... .. - .. ■ .. .. per un altro verso si trascura il fatto che contrasti sociali e politici esistono in altri Paesi, senza che necessariamente abbiano prodotto fenomeni terroristici; e ancora che, a riprova contraria, laddove i contrasti appaiono meno acuti, a volte fenomeni terroristici si manifestano (per esempio nella Germania occidentale). In altre parole, il discorso sulle cause di fondo della violenza nella società moderna non risponde al quesito che si impone nell'oggi: che cosa fare per arginare e battere il terrorismo che colpisce in questo momento? A questa domanda l'unica risposta è quella di una maggiore efficienza tecnica della polizia e della magistratura, il che - non serve l'ipocrisia - significa sostanzialmente più repressione. Per questo motivo la recente legge contro il terrorismo non può che essere condivisa, nella sua filosofia generale, e semmai può essere criticata solo per essere stata tardiva e per essere ancora inefficace. Ciò non toglie che alcune specifiche norme della legge possano non essere condivisibili. In particolare a noi sembra che, anziché allungare al di là del ragionevole i tempi della carcerazione preventiva (che con la nuova legge, nei casi più gravi, possono arrivare oltre i dieci anni), occorrerebbe operare perché i giudizi definitivi della magistratura vengano espressi in tempi rapidi: a questo proposito l'idea di costituire tribunali che si occupino esclusivamente degli atti di violenza terroristica, auspicati anche da molti magistrati, sembra possa servire allo scopo. In ogni caso il referendum radicale, destinato, come già quello sulla Legge Reale, a sicura sconfitta, avrebbe l'effetto secondario negativo di consolidare anche le norme che, all'interno di una legge sostanzialmente giusta, appaiono sbagliate. Una ragione di più non solo per dire «no» nel caso in cui per questo referendum si arrivi a votare, ma soprattutto per evitare che il referendum stesso abbia effettivamente luogo. «Il Leviatano• per la Pasqua sospende le pubblicazioni per una settimana IL LEVIATANO CACCIA Uno sport senza,stragi La fonnulazione strettamente giuridica del rererendum per l'abolizione della caccia è questione complicatissima, risentendo la materia della antica quanto rafforzata legislazione che varie epoche (alcuni concetti di fondo dell'attuale legge risalgono al ventennio) hanno prodotto e sovrapposto. C'è di mezzo inoltre una sottile questione d'ordine costituzionale, che finora gli addetti,.ai lavori sembra non aver rilevato: quan• tocioè sia pos.sibile un rererendum suuna· materia che oggi per la gran parte è amministrata con diversità legislative da regione a regione. Comw,que la sostanza è chiara egualmente. Per i radicali ,è dimensione essenziale per una società democratica la difesa del patrimonio ambientale contro le smanie consunu,tiche, alimentate da un giro d'affari di miliardi e da una politica che non disdegna l'enfasi degli illusori svaghi disimpegnati come mezzo per mascherare agli occhi delle l11&'ISe il disegno autoritario In atto•. UNo DEI GUAI nù GRoss1 della mia vita politica fu quando nel 1965 circa, l'allora ministro dell'Agricoltura Ferrari Aggradi, mi affidò il nuovo progetto di legge sulla caccia. Rischiammo di rovinare un'amicizia e non cavammo un ragno dal buco, o, dato l'argomento, una volpe dalla tana. Quella dei cacciatori è una delle più malefiche corporazioni che esistano al mondo. E potentissima sul piano associativo e degli interessi economici e pur essendo in infima minoranza rispetto al resto della popolazione, riesce ad imporsi agevolmente, con l'appoggio dei sindacati, degli industriali armieri e dei partiti. La questione, che già era tragica al tempo in cui la materia era sotto tutela del Ministero della Agricoltura, è diventata farsesca da quando è affidata alle Regioni. Della caccia in genere si vedono gli aspetti negativi sul piano ecologico, sul piano morale e per la falcidie che provoca tra le specie animali che hanno la sfortuna di popolare questa contrada; non solo •stanzialmente», ma anche cercando di appoggiarvi le zampe, come le quaglie che vengono dal- ■.a..-r .. .-■ - ......... l'Africa o i trampolieri che scendono dal Nord. Ma questa volta mi soffermerò brevemente su un aspetto sempre trascurato, e invece assai importante. Si tratta del danno economico che comporta la caccia, senza alcuna possibilità pratica di rivalsa o di difesa degli agricoltori. I guai della caccia, in Italia, derivano da due problemi che non sono mai stati risolti e che non trovano riscontro nella legislazione venatoria di nessun altro paese al mondo. Il primo, sta nel fatto di considerare la selvaggina «res nullius». È cioè diritto di chiunque ammazzarla e appropriarsene senza pagare nulla. Negli altri paesi essa è considerata proprietà o del contadino sul fondo del quale si è nutrita e viene uccisa, o dello Stato (o del Comune), ai quali deve essere pagata. In Italia si ha la curiosa idea che sia logico pagare 20 mila lire per vedere una partita di calcio, e che invece una lepre o un fagiano non debbano costare nulla. Il secondo sta nel principio, stabilito in periodo fascista, che l'agricoltore non può impedire l'accesso e la sparatoria sul proprio terreno, a meno di recinzioni e permessi costosissimi e pressoché impossibili. li contadino deve quindi assistere in silenzio al passaggio di turbe di armati e di cani sul suo territorio e non può esprimersi nemmeno con gesti osceni a rischio di una fucilata. Sono questi i due punti chiave, che se risolti potrebbero fare della caccia una cosa discutibile, ma accettabile. Però nessuna autorità politica ha avuto finora la forza di affrontarli. Ecco perché si rende necessario il referendum abrogativo: per fare punto e ricominciare da capo con una legislazione a livello dei paesi civili o almeno dei paesi ordinati. · Successivamente il modo per risolvere il problema a mio avviso ci sarebbe. Esso consisterebbe nella creazione di alcune grandi riserve, due o tre per ogni Regione situate nei territori più adatti e meno popolati. In esse i cacciatori potrebbero liberamente sparacchiare tra di loro e, tassandosi congruamente, ripopolare quei territori con la selvaggina che quasi dovunque non esiste più. Venerio Calllmi 7
Infla,zione, disoccupazi,one, crisi economica• nella corsa alla nomination Che cosa proponeper ridurre U tasso d'lnDulone? È favorevole ad un rigido controllo federaledel salari e del prez• zl? Prevede la pos.,lbllltà di uno sgravio fiscale? In che modo? · È favorevole al contenimento dell'Imposta per la sicurezza socia• le magari coprendo parte del costi con le entrute genernll? In quali settori, se cl sono, favorirebbeun taglio del bilanciofederale? Qual'è la suapoliticaper raffor• zare Il dollaro e favorireunamaggiorecompetitivitàdegli Imprenditori americani? ' JIMMY CARTER La continuità deÙ'amministrazione politica, norme per l'impresa affiancate da un controllo dei prezzi. e restrizioni nelle spese di bilancio. N·on è necessario e tantomeno funzionerebbe. Escludendo qualsiasi situazione d'emergenza, la amministrazione non ha l'intenzione di adoperare questi strumenti, né autorizzare qualcuno a farlo. Solo se l'economia entrerà in una fase recessiva, si potrà pensare ad un alleggerimento fiscale. Comunque il taglio fiscale dovrebbe essere al contempo antirecessivo e antinflazionistico. · L'amministrazione propose una riforma della legge sulla sicurezza sociale che prevedeva l'uso limitato delle entrate generali ma il Congresso la bloccò. Il programma sociale rimane tuttora un capitolo aperto. li nuovo budget dell'amministrazione è l'ultimo di una serie di sforzi per •eliminare sprechi. programmi inefficaci e non necessari. insieme con una gestione più attenta dell'intera macchina federale». La chiave di tutto è il controllo dell'inflazione unito alla riduzione delle importazioni di petrolio. Ogni volta che gli Usa importano un barile di petrolio, importano un barile d'inflazione. EDWARDKENNEDY Imporrei immediatamente sei .mesi di congelamento dei salari, prezzi, profitti, tassi d'interesse, dividendi e rendite, seguiti da un controllo obbligatorio per tutto il tempo che sarà necessario. Si, perché la stessa amministrazione ammette che l'auto-controllo ha ormai giocato le proprie carte ed ha perduto. No. li problema è l'inflazione. Se invece, avremo una fase recessiva. l'imposta per la sicurezza sociale potrebbe essere ritoccata per prima. Sì. Aspetterei a decidere un taglio fiscale finché è necessario fronteggiare la recessione, a meno che si presenti una via alternativa per finanziare il programma sociale - come la tassa sui •profitti straordinari» delle corporation petrolifere-. Limitare la crescita del bilancio in una economia inflattiva è basilare. Qualche taglio di spese è giustificato, specialmente per eliminare sprechi e errori ammini- _strativi. Una azione politica çonseguente è necessaria per incrementare le esportazioni. Inoltre si deve stim_olarela produttività e la creazione di una nuova industria. più rivolta al mercato estero. 8 APRILE /98()
RONALD REAGAN Stimolare una reale crescita economica registringendo il bilancio federale e investendo l'economizzato in modo da incrementare la produzione di beni e servizi. I controlli fanno più danno che bene. La politica economica dovrebbe essere coerente e sicura, evitando cedimenti improvvisi così come il blocco dei salari e dei prezzi._ Ci dovrebbe essere un serio programma per tagliare l'aumento progressivo delle imposte altra• verso gli anni. Ora l'inflazione unita all'incremento delle imposte ci spoglia due volte. Le riforme sono necessarie per garantire protezione, e le spese devono tenere il passo col costo della vita, ma nessun aumento è necessario per finanziare il sistema. Lo sviluppo deve essere controllato: spese, investimenti e nuovi programmi. Frodi e sperperi costano cinquanta miliardi di dollari ogni anno. Ridare salutare e vitalità al sistema economico, incoraggiando la fiducia nella stabilità del siste• ma economico nazionale. IL LEVIATANO GEORGEBUSH Un budget bilanciato è di certo prioritario. Limitare l'incremento delle imposte ed indicizzare il sistema contro l'inflazione futura. Poi tagliare la jungla dei regolamenti contraddittori e sovrabbon• danti. Non credo nel controllo dei prezzi e dei salari. Bisogna lasciare al libero mercato di stabilire prezzi e guadagni. Le tasse dovrebbero diminuire e il risparmio incoraggiato. Bisogna eliminare qualsiasi imposta sul risparmio, ridurre le imposte indirette e indicizzare i tassi d'interesse tenendo conto dell 'inflazione. Una diminuzione dell'imposta si dovrebbe operare per i lavoratori, per i datori di lavoro e per chi lavora in proprio. I gettiti di alcune imposte si potrebbero dirottare ad altri fini, prelevando poi quanto occorre dalle entrate generali. Il tasso di crescita del bilancio federale dovrebbe limitarsi all'ot-· to per cento. Si può risparmiare cancellando i programmi meno prioritari e tagliando quelli improduttivi. Non ci deve essere nessun nuovo programma fino alla parità di bilancio. Il libero commercio è un buon commercio. La stabilità fiscale e monetaria rafforzeranno la competitività dei prodotti americani all'estero. ~~-- lliiiii ~ • lliiiilinl. ii JOHN ANDERSON Equilibrare il bilancio. Poi fare qualcosa per stimolare la stagnante produttività attraverso una riduzione selettiva delle tasse per favorire il risparmio e gli investimenti.· I controlli creano burocrazia e dispersione delle risorse, e il loro aumentare ridà fiato all'inflazione. Indicizzare l'inflazione è preferibile ad un drastico taglio d'imposte. Per stimolare la formazione di capitali è da ridurre il prelievo fiscale sul reddito da investimento e sul risparmio. No. Sarebbe solo un sostegno all'aggravarsi del deficit del bilancio. Con un aumento del 50% dell'imposta sulla benzina si potrebbe alleggerire il prelievo dalla busta paga. Sarebbe da rivedere il sistema di assistenza federale agli enti locali. Ai contribuenti non piace vede· re investire i loro soldi nell'ammodernamento delle autostrade o nell'amministrazione di un Programma di assistenza per il rafforzamento della legge. Rallentare l'inflazione e accrescere la produttività sono le chiavi per risolvere il problema del dollaro. Per equilibrare la bilancia dei pagamenti, l'unica scelta è ridurre la dipendenza americana dal petrolio estero.
DISTENSIONE L'euroopportunismo NEGU ANNI '70 NEI PAESI della Comunità europea eran sorte grandi speranze sulla prospettiva che l'Europa potesse riavere un ruolo importante nella politica internazionale, e che bastasse coordinare con coerenza le iniziative dei ministeri nazionali per poter dar vita ad una politica estera unitaria dell'Europa. Era l'epoca felice in cui, negli incontri al vertice dei governanti dei paesi della CEE, si amava ripetere che l'Europa avrebbe dovuto parlare al mondo «con una voce sola». A testimonianza di tale speranza si citava l'atteggiamento unitario mantenuto dai Paesi della CEE nel corso dei dibattiti e delle trattative nella conferenza per la sicurezza europea. Mentre i più fiduciosi europeisti arrivarono a formulare la teoria secondo la quale l'iniziativa europea avrebbe limitato automaticamente il potere delle due superpotenze e che, al limite, entrambe non avrebbero potuto non seguire le sue proposte e la sua politica specialmente nei confronti dei Paesi del terzo mondo. Cinque mesi di grave e profonda crisi dei rapporti internazionali costituiscono un arco di tempo sufficiente per cercare di capire se l'Europa ha assolto e continua ad assolvere un suo ruolo nella scena internazionale e se ha mostrato di avere una sua politica estera. Per una analisi del genere basta gettare un rapido sguardo ai principali avvenimenti che hanno contribuito a creare la crisi dei nostri giorni per vedere qual' è stata la politica dell'Europa per fronteggiarla o comunque per dare ad essa una risposta. Tralasciando le vicende del sud-est asiatico (aggressione vietnamita alla Cambogia, attacco cinese al Vietnam, genocidio del popolo cambogiano) e l'avvicinamento della Cina ajl'Occidente, il primo avvenimento importante è la vicenda degli ostaggi americani dell'ambasciata di Teheran; il secondo è la questione del con10 ~~.,,.~~- lliiiiia#I ■ lliiiii.. ■ trobilanciamento della superiorità missilistica dell'URSS in Europa; il terzo, infine, l'aggressione sovietica ali' Afghanistan. Dinanzi al barbarico sequestro dei 50 diplomatici americani l'atteggiamento dei Paesi europei è stato di una abulia senza confronti, come se quel gesto inaudito fosse una questione bilaterale irano-americana e non, invece, quel che in effetti è stato. Cioè un colpo mortale a millenni di cultura europea che, nel procedere verso una superiore civiltà, aveva creato quelle regole giuridico-morali violate dagli iraniani, e il cui valore universale dava un senso alla convivenza civile tra i popoli e gli Stati. L'immagine dell'Europa genuflessa dinanzi gli ayatollah e rispecchiata dalla risposta data dal presidente francese, Giscard d'Estaing, nella conferenza stampa del 29 gennaio scorso ad un giornalista il quale, dopo aver fatto osservare la scarsa solidarietà della Francia agli USA, gli chiese se egli non si fosse rammaricato in «qualche maniera dell'accoglienza riservata a suo tempo all'ayatollah Khomeini». - «Guardi la realtà- ha risposto quel cortesissimo gentiluomo di campagna-. Se la Francia lo scorso anno avesse compiuto un gesto brutale nei confronti di Khomeini, avrebbe SCHMIDT, THATCHER, GISCARD causato essa stessa l'esplosione (... ). Se contro l'ayatollah fosse stato compiuto un gesto violento o scortese, proprio noi oggi saremmo in scena (... ) nell'attuale situazione ci saremmo proprio nOÌ>t. Se la risposta del presidente francese meritasse la dignità di un commento, non potrebbe essere definita nulla di più che cinica, stupida e vile. Ma purtroppo non è la sola. Cosa, infatti, al di là dei rimbrotti morali, hanno fatto di più tutti gli altri Paesi europei se non lodare l'inettitudine elettoralistica del presidente americano definendola prova di saldezza di nervi e di superiore saggezza? Sul secondo avvenimento le proposte di dissolvenze, di rinvii dell'installazione degli euromissili e le implorazioni di intavolare trattative preventive con l'URSS hanno coinvolto quasi tutti i Paesi europei e moltissime delle sue forze politiche. Fino a subire lo sprezzante diniego dell'URSS di accettare una qualsiasi trattativa sol che i Paesi della NATO avessero dato il consenso di procedere alla fabbricazione dei Cruise e dei Pershing 2. L'unico sussulto di dignità europea ci pare essere stato il richiamo del ministro degli esteri tedesco, Genscher, al suo collega sovietico, Gromiko, che 8 APRILE /980
~~ ... ~--- ..... ii --~. aveva illustrato addirittura alla TV tedesca lo sprezzante ricatto dell'URSS. Anche se è vero che, alla fine, i Paesi europei della NATO hanno preso la decisione di ammodernare la difesa nucleare dell'Europa, è però altrettanto vero che ad essa sono giunti con smagliature che giustificano il sospetto che solo il lungo tempo occorrente per l'installazione del nuovo dispositivo missilistico ha acquietato le paure dei governi europei. Sul terzo avvenimento l'indignazione verbale, le sommesse proteste, le superflue dichiarazioni di fedeltà all'alleanza atlantica, le definizioni di «inaccettabilità» dell'aggressione sovietica ali' Afghanistan e via discorrendo hanno avuto il loro vero punto di sintesi nella dichiarazione francotedesca del 5 febbraio in cui testualmente si legge che Francia e RFT «dichiarano che la distensione non resisterebbe ad un altro colpo di questo tipo». Come se l'attuale crisi non mettesse in discussione la distensione, ed essa fosse divisibile e non un tutt'uno inscindibile e· non dipendesse da una o da entrambe le superpotenze, nelle cui mani è rimessa la pace nel mondo. Questo stesso comunicato e la proposta «concreta• del ministro degli esteri inglese, Carrington (nella latitanza del nostro fatiscente ministro degli esteri, presidente di turno del Consiglio dei ministri della CEE), di offrire la «garanzia» dei Paesi europei alla neutralizzazione dell'Afghanistan in cambio del ritiro delle truppe sovietiche, danno la misura dello smarrimento e dell'incapacità dei governi europei non soltanto di avere una politica estera unitaria ma anche semplicemente di dare una qualsiasi risposta dignitosa alla crisi. Fortunatamente tale comportamento riguarda soltanto i governi di fronte all'ignavia dei quali sta il solenne voto dell'unico organismo rappresentativo dei popoli europei, il parlamento europeo, che non ha esitato a condannare duramente l'aggressione ali' Afghanistan invitando - senza curarsi dei cincischiamenti ufficiali - gli europei a non partecipare alle Olimpiadi di Mosca. Si potrà discettare a lungo sulla «ideologia della distensione» quale essenzialità della politica europea. Ma ciò non sposta di un IL LEVIATANO millimetro né giustifica il velleitarismo e l'incapacità dei governi europei di formulare una politica estera unitaria. Né può nascondere l'infragilimento di tutte le condizioni che, pezzo dietro pezzo, avevano costruito la speranza che l'Europa potesse riconquistare un ruolo adeguato all'importanza del peso economico che ha e di quello politico che potrebbe ancora avere nel mondo. Ormai è chiaro che la distensione non dipende più dai Paesi europei, dato che essi hanno di fatto accettato che l'iniziativa restasse ancora nelle mani degli Stati Uniti e dell'URSS. E quel multipolarismo, su cui si è favoleggiato in Europa in questi ultimi anni, si è dimostrato solo un'inconsistente esercitazione polemologica atta a nascondere l'insussistenza della politica estera dei Paesi europei, la cui più autentica realtà sembra essere una sostanziale vocazione alla finlandizzazione di fronte alle due superpotenze. Gianni Finocchiaro UNGHERIA Il vaso di coccio L CONTRADDIZIONIDELLA realtà ungherese si possono forse sintetizzare in questa constatazione: un Paese privo di materie prime, che dipende dai Paesi occidentali per la tecnologia e dalla Unione Sovietica per le materie prime e, in primo luogo, per le fonti di energia. Un Paese inoltre che intrattiene con l'URSS oltre il 60% dei suoi scambi commerciali, ma che è legato in modo essenziale ai mercati occidentali, al punto che il suo deficit nei confronti di questi ultimi ammonta oggi a circa 5 miliardi di dollari. Questo spiega come per l'Ungheria sia indispensabile il proseguimento della politica della distensione per poter continuare a sviluppare· il doppio binario della sua linea di sviluppo economico; ma questo spiega anche come per l'Ungheria sia altrettanto indispensabile mettere la propria economia in condizioni ~~..- ..... • lliiii ~ ii di affrontare i mercati occidentali, se non in una situazione di pari efficienza produttiva, almeno riducendo considerevolmente lo enorme divario attualmente esistente. Sono state appunto queste coordinate che hanno rappresentato i punti di riferimento del dodicesimo congresso del Partito socialista operaio ungherese (comunista), svoltosi a Budapest tra il 24 e il 26 marzo, a quasi un mese di distanza dal congresso del Partito comunista polacco. Quali sarebbero stati i punti centrali della discussione congressuale era già sufficientemente chiaro nei giorni che hanno preceduto la apertura dei lavori. Conversando con i funzionari statali e di partito, con gli intellettuali e con i tecnici della pianificazione, i giornalisti occidentali presenti a Budapest raccoglievano voci assolutamente concordi nel prospettare la necessità di una profonda revisione della politica economica che permettesse al Paese di tagliare i rami secchi dell'economia. Altrettanto concordi le voci sull'opportunità di rivedere il sistema dei salari, in modo da privilegiare l'efficienza e il lavoro qualificato modificando· l'egualitarismo e l'appiattimento finora prevalenti. «Lo Stato non può continuare a dissanguarsi sovvenzionando le imprese in perdita - confidava un funzionario incaricato della redazione del prossimo piano quinquennale per gli anni 1981-85-cosìcomenonpuò continuare a pagare tutti gli operai allo stesso modo, a prescindere dal loro rendimento. La sicurezza del posto di lavoro e l'egualitarismo assoluto non possono mai rappresentare degli obiettivi prioritari». «Se gli imperativi etici e gli incentivi morali si rivelano insufficienti per assicurare una produzione elevata e un rifornimento regolare dei diversi settori produttivi, è chiaro che occorre modificare profondamente il sistema». «Non si tratta di rinnegare i principi della pianificazione e del socialismo-concludeva il suddetto funzionario-ma di integrarli con quelli ·del calcolo economico e della produttività». Quello che veniva detto con maggiore precisione dall'economista di Stato trovava conferma nei discorsi registrati a tutti i livelli; e acquista maggiore interesse se si pensa che queste osservazio11
ni critiche avvengono all'interno di un Paese come l'Ungheria che, dopo aver iniziato una politica di riforme liberalizzanti nell'economia a partire dal '68, e averla poi stemperata negli ultimi anni, ha tuttavia sempre mantenuto una notevole autonomia in questo settore rispetto al modello sovietico e anche rispetto ai Paesi fratelli del blocco orientale. Tutto questo ha trovato puntuale conferma al congresso del partito, a cominciare dal discorso inaugurale di Kadar (da 24 anni alla guida dei comunisti ungheresi e confermatosi leader indiscusso) e proseguendo con tutti gli interventi dei maggiori dirigenti. Il discorso di Kadar è risultato nettamente diviso in due parti. La prima (circa un decimo del tempo), dedicata alla situazione internazionale, è servita al segretario per rassicurare l'alleato sovietico sulla fedeltà del partito ungherese al blocco orientale e agli impegni del Patto di Varsavia. Pur facendo chiaramente intendere l'interesse di Budapest per una ripresa della distensione, Kadar ha voluto in primo luogo rendere omaggio alla tesi sovietiche sulla questione afghana, accreditando in pieno la versione dei fatti data da Mosca. Questo gli ha permesso, come molti osservatori hanno notato, di muoversi con maggiore libertà sul piano della politica interna e delle riforme economiche che il partito e il governo intendono promuovere. Con voce pacata e con il tono di un amministratore delegato che rende conto agli azionisti dello stato dell'azienda, Kadar ha continuato a lungo a elencare le falle del sistema economico e i rimedi che si intendono adottare. Ha attaccato il sistema delle sovvenzioni indiscriminate alle aziende in deficit e che continuano a utilizzare tecnologia obsoleta e mano d•opera con metodi assistenziali e non redditivi. Ha sottolineato la necessità di una revisione ancora più radicale di quella già avviata del sistema dei prezzi, per approdare infine alla coincidenza tra prezzi fissati e prezzi reali. Ha spiegato l'indispensabilità di questi provvedimenti sulla base della situazione dell'economia ungherese e del suo rapporto di stretta dipendenza nei confronti dell'economia mondiale, e di quella capitalistica in particolare. Ha rivendicato al governo il diritto di pro11 cedere a una revisione dei salari che tenga conto delle differenze produttive tra un settore e l'altro; e ha concluso sollecitando una parallela riforma della macchina del partito e dello Stato: una riforma in nome della lotta alla burocrazia, che semplifichi i meccanismi di trasmissione delle decisioni e di controllo, che permetta di seguire con maggiore precisione l'evoluzione delle esigenze della popolazione e di immettere con più facilità nell'apparato dello Stato e del partito forze giovani, tecnicamente preparate, anche se non ancora ideologicamente collaudate. Il discorso di Kadar è stato attentamente seguito dalla platea e lungamente applaudito. La scelta del segretario, che ha evidente,' mente rinunciato a occuparsi di politica estera al di là dell'ossequio iniziale all'Unione Sovietica, non è sembrata pesare all'uditorio ungherese, evidentemente più interessato ai duri problemi della crisi economica che alle tentazioni di un ruolo politico internazionale più autonomo. Questa linea politica ha trovato buona accoglienza da parte del rappresentante sovietico Kirilenko. Come all'intervento non allineato di Gierek un mese fa a Varsavia aveva prontamente replicato il duro richiamo all'obbedienza di Suslov, così all'intervento deferente in politica estera di Kadar è seguito un discorso distensivo e possibilista da parte di Kirilenko. In politica interna Gierek e Kadar sono stati entambi critici nei confronti degli apparati e del sistema, al punto che in Polonia è saltato il primo ministro Jaroszewicz e in Ungheria qualcuno mormora che la stessa fine possa toccare all'attuale primo JANOSKADAR ministro Lazar; ma in politica estera i due leader si sono mossi diversamente: Kadar allineato e ubbidiente, Gierek proteso al dialogo con l'Europa occidentale e al limite dell'eterodossia. Altrettanto diversa la replica sovietica, preoccupata in questo momento prevalentemente della disciplina delle sue truppe: severa e ammonitrice con Gierek, distensiva e accomodante con Kadar. Dopo questo esordio, il congresso è proseguito rapidamente (tre giorni di lavori in tutto) con gli interventi del presidente del consiglio Lazar, autocritico sui ritardi del governo; del segretario dei sindacati Gaspar, che ha sottolineato la necessità che il sindacato sappia essere all'altezza dei problemi di una crescita dell'efficienza economica; del segretario del partito di Budapest, Mehes, che ha sviluppato le critiche di Kadar alle aziende improduttive, del ministro degli esteri Puja, che dopo aver reso omaggio all'URSS ha tuttavia ripreso la proposta polacca per una conferenza sul disarmo da tenere a Varsavia (del resto accolta anche dallo stesso Kirilenko ). Quando Kadar ha ripreso la parola per concludere i lavori, era evidente che la sua riconferma alla guida del partito era il risultato non tanto di una fiducia formale, ma di una coincidenza profonda tra le esigenze poste dal segretario e quelle sentite dall'apparato dello Stato e del partito, ma anche dalla grande maggioranza della opinione pubblica. Così il discorso di chiusura è risultato una riconferma puntuale e forse anche più secca di tutte le critiche che avevano aperto il congresso, rinforzate dall'unanimità dei consensi; al punto che il segretario del partito ungherese si è sentito alla fine abbastanza forte per mettere anch'egli, a sua volta, l'accento sulla necessità di una ripresa della politica della distensione. Confermando la disponibilità ungherese a iniziative in questa direzione (una volta rassicurati i padroni sovietici) Kadar ha voluto rassicurare i suoi partner occidentali dell'interesse di Budapest per il dialogo e la pace, condizioni indispensabili per la stabilità economica e sociale della ancora fragile Ungheria. JobA.Cwls 8 APRILE /980
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