Il Leviatano - anno II - n. 11 - 25 marzo 1980

r:nando •tutto il potere ai soviet•, assegna in realtà il potere a una minoranza, che solo in virtù di una rappresentazione ideologica della realtà, non dissimile da quella adottata dalla borghesia, può pretendere di rappresentare l'intera società, o perlomeno la società del futuro. Bisogna dire subito che le obiezioni di Adler sono fiacche e contraddittorie, finendo così per confermare l'esattezza delle vedute di Kelsen. Un esempio di questo modo di procedere è la replica a Kelsen sul tema della contraddizione tra teoria economica e teoria politica marxista. Dapprima Adler afferma che il rilievo di Kelsen è frutto di un •fraintendimento» (p. 184)e che la contraddizione è inesistente. Poi, però, veniamo a sapere che «la negazione dello Stato (... ) ha rappresentato fin dall'inizio una componente essenziale di ogni sistema socialista» (p. 207). Infine, leggiamo che «il concetto di anarchia viene difeso da Marx (corsivo di Adler)» contro gli stessi anarchici, che sono inconseguenti rispetti ai principi (p. 211), e che non si può non sottolineare che «l'obiettivo dell'anarchismo è lo stesso di quello del socialismo marxista» (p. 213). La contraddizione, come sempre, può essere evitata solo ipotizzando un «mondo nuovo» che «scaturirà dalla volontà comune degli interessi» (p. 243). Non diversamente vanno le cose per quanto riguarda il tema della democrazia. Dapprima Adler ammette che l'esperienza bolscevica ha stravolto il significato del termine democrazia (pp. 88-9). Poi, però, come aveva già fatto in Democrazia e consigli operai (1919), Adler distingue tra democrazia politica e democrazia sociale. «li principio della maggioranza - dice Adler - non è affatto, come tanti credono. il principio essenziale della democrazia». La semplice superiorità numerica dei voti è qualcosa di •grossolano», di «brutale», e caratterizza la mera democrazia politica. li «presupposto fondamentale» della «vera» democrazia, cioè della democrazia sociale, è piuttosto «l'unità del popolo» (p. l03). E poiché la dittatura del proletariato, che si realizza attraverso il sistema dei soviet, ha in realtà lo scopo di creare una società senza classi, omogenea, essa non è affatto inconciliabile con la democrazia, pur esprimendo, nei fatti, il predominio di una minoranza. «In una società- dice Adler in Democrazia e consigli operai (De Donato, Bari 1970) - il potere fondato sulla semplice maggioranza parlamentare non riflette necessariamente il grado reale dello sviluppo sociale e culturale, il quale può essere espresso meglio da una classe numericamente ancora un po' (corsivo nostro, L.S .. e si noti l'eufemismo) al di sotto della maggioranza». Le maggioranze parlamentari, infatti, sono «fatti meramente aritmetici» (p. 25). Nulla di strano, a questo punto, che Adler, per stabilire la compatibilità tra democrazia e dittatura faccia appello, contro il democratico Kelsen, al nazista Cari Schmitt, (La concezione dello Stato nel marxismo, pp. 164 sgg.) - operazione ripetuta, sia detto per inciso, da Roberto Racinaro nell'introduzione al libro di Kelsen. Questa circostanza, che fa venire in mente l'unità d'azione stabilita in certi momenti, a Weimar, tra comunisti e nazisti, può far capire quanto di torbido si nasconda dietro le acrobazie «dialettiche» di Adler. Luca Serpieri Abbonatevi al «Leviatano» Abbonamento annuo: L. 20.000 Abbonamento semestrale: L. 11.000 Conto corrente postale n. 58761008 intestato a «Il Leviatano» via dell'Arco di Panna 13- 00186 Roma l!:-----------' IL LEVIATANO POLEMICHE Il teorema Pellicani NEL 1941, IN UN FAMOSO saggio dal titolo Principio ideale e teoria della libertà, Benedetto Croce scriveva che anche Montesquieu, che pure si era assai travagliato intorno ai problemi della libertà, e che a garanzia di essa aveva formulato la celebre teoria dei tre poteri, non era tuttavia «in grado di sostenere che con questo meccanismo istituzionale si generasse e mantenesse libertà e si impedisse servitù, perché se manca l'animo libero nessuna istituzione serve, e se quell'animo c'è, le più varie istituzioni possono secondo tempi e luoghi rendere buon servigio». Questa considerazione rappresenta uno dei momenti più significativi della querelle liberale nei confronti delle istituzioni; ed essa trova rispondenza in una tipica espressione del più grande pensatore liberale vivente, Karl R. Popper, quando scrive che «le istituzioni son come le fortezze: raggiungono lo scopo solo se è buona la guarnigione, cioè l'elemento umano». A prescindere dalla facile obiezione che se la fortezza è cadente, ben poco può fare una guarnigione anche se valorosa, le considerazioni di Croce e di Popper costituiscono il punto di partenza di un dibattito di grande momento, quello cioè se la libertà può aversi indipendentemente dal contesto istituzionale. Forse si ricorderà che questo dibattito si è sviluppato, a partire dagli anni trenta, proprio in Italia, avendo come protagonisti lo stesso Croce da una parte e Luigi Einaudi, a cui si aggiunse più tardi Wilhelm Ròpke, dall'altra. E a costoro, che sostenevano la incompatibilità della democrazia politica liberale con un sistema economico non liberista (non fondato, cioè, sul libero mercato), Croce replicava «che la libertà come moralità non può avere altra base che se stessa, e moral: 15

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==