Il Leviatano - anno II - n. 9 - 11 marzo 1980

~mperialismo -e la guerra-, flagelli sui quali prosperano semmai le classi parassitarie, che si dicano conservatrici o rivoluzionarie poco importa. Questa convergenza, una volta che sia stata capita dalle due classi protagoniste - ed a questo era rivolto lo sforzo di Hobson - le porta ad allearsi intorno ad una prospettiva riformista, costituendo così un blocco -::... r . ., :, . • •·1. •, 'y .. KAREKAUTSKY contro il quale gli sforzi delle classi parassitarie verso l'espansione coloniale e imperiale o verso la rivoluzione sono destinati ad infrangersi. Per piegare la teoria di Hobson ai fini del sovversivismo anticapitalista, i marxisti debbono perciò interpretare il nesso tra il bisogno di nuovi mercati e l'espansionismo coloniale come una necessità ferrea, a cui sia materialmente impossibile cioè sfuggire col riformismo, perché, anche volendolo, il riformismo la classe capitalistica non potrebbe permetterselo. L'argomentazione parte insomma dalla antitesi tra salario e profitto che secondo i marxisti sarebbe insuperabile e progressiva, tale _cioè da diventare sempre meno componibile via via che si acç_elera lo sviluppo tecnologico e produttivo. Per dirla con Marx: •Il profitto diminuisce perché la produttività del lavoro aumenta». Come dire che più aumenta la torta, più si è costretti a diminuire una delle due parti in cui la suddividiamo, se vogliamo accrescere l'altra. Si tratta di una assurdità manifesta - «Il profitto diminuisce (proprio) percné la produttività I ·:1 lavoro aumenta» (Marx)-am-- ~essa la qµale il marxismo ci u porta però con rigorosa consequenzialità alle conclusioni da esso volute: che il progresso economico è destinato ad inasprire inevitabilmente sia la lotta di classe sia la sproporzione tra produzione e mercati - «mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica, l'estensione dei mercati progredisce nel migliore dei _gsj in proporzione aritmetica» (Engels). Volendo infierire si potrebbe semmai osservare che non si vede tuttavia perché i mercati esterni dovrebbero riuscire ad assorbire quel surplus della produzione_ rimasto invenduto su quegli interni per insufficienza della capacità d'acquisto delle masse. Perché così avvenisse, occorrerebbe che i capitalisti regalassero ai popoli coloniali quello che invece si fanno pagare dai popoli delle metropoli. Siccome nella realtà se lo fanno pagare, e mezzo internazionale di pagamento non è la moneta, ma sono le merci, alla fine dello scambio il surplus invendibile non sarebbe scomparso. ma avrebbe semplicemente cambiato forma. E non ci sarebbe nessuna ragione per cui gli operai, che prima non avevano i mezzi per comprare le merci nazionali, li abbiano poi per quelle d'importazione. Inutile insistere però sul groviglio di queste contraddizioni, visto che la ragione della fortuna di questa teoria evidentemente non risiede nelle sue virtù esplicative. Quando è nata, essa doveva infatti servire a parare il colpo mortale inferto al marxismo dai due fenomeni congiunti della sopravvivenza del capitalismo e dell'afflosciarsi della volontà eversiva delle classi lavoratrici. Laddove correttamente interpretati, questi fenomeni suonavano infatti clamorosa sconfitta delle profezie rivoluzionarie di Marx; filtrati invece attraverso la lanterna magica della teoria dell'imperialismo, essi si trasformavano addirittura in segni premonitori di una rivoluzione mondiale ancora più globale ed inevitabile. Quella che sarebbe scoppiata quando, divenuto tutto il mondo capitalista a seguito dell'esportazione di capitali dall'Occidente, e non esistendo perciò più alcun angolo non industrializzato dove smerciare il surplus, una mostruosa guerra mondiale per l'accapparramento dei soli mercati esistenti avrebbe segnato il crollo del sistema a livello planetario. Domenico Settembrini MEDVEDEV Un solista del dissenso I LE RECENTI DICHIARAZIONI del dissidente russo Roy Medvedev, che ha giustificato l'intervento sovietico in Afghanistan (ANSA. 11 gennaio 1980) e ha criticato il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca (•Corriere della Sera», 4 febbraio 1980), divergono notevolmente da quelle rilasciate in proposito da altri dissidenti (ad es_ da Vladimir Bukovskij; cfr. li Leviatano, 12 febbraio '80). È vero che Medvedev - a differenza di Bukovskij - vive e lavora a Mosca, e non può esprimersi altrettanto liberamente. Ma, a parte questa circostanza, la questione di fondo è che Roy Medvedev occupa, tra gli esponenti del dissenso, un posto molto particolar~i I Sebbene sia stato espulso daJ 11MARZO 1980

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