r IMPERIALISMO I ·Hobson e Marx Gu AVVENIMENTI IN CAMbogia e in Afghanistan hanno travolto definitivamente, anche presso il pubblico culturalmente più sprovveduto la pretesa scientificità dell'interpretazione marxista dell'imperialismo e della guerra. Come strumento per tenere in vita il marxismo ben oltre la sua morte scientifica, avvenuta alla fine del secolo scorso, questa teoria ha finora funzionato invece egregiamente anche se i popoli dei Paesi arretrati, che essa è servita a evangelizzare e mobilitare contro l'Occidente, oggi cominciano anche essi ad accorgersi della sua nocività. In odio all'Occidente il mito antimperialista li obbliga infatti a rifiutarne radicalmente il modello di sviluppo, il solo che ovunque applicato abbia dato risultati eccellenti; mentre il collettivismo marxista, che non è stato in grado di portare alla maturità industriale nessun Paese. invece del promesso superamento delle rivalità nazionali le ha tutte tragicamente esasperate. Si salva dalla rovina solo il nocciolo riformista della teoria, che non è però di origine marxista. essendo stato elaborato tra l'Ottocento e il Novecento da teorici anglosassoni di orientamento liberale. Secondo John Atkinson Hobson, il più famoso di questi teorici anche per il fatto che venne utilizzato da Lenin, la spinta capitalistica alla conquista di sempre nuovi mercati esterni proveniva dal ritardo progressivo con cui l'accrescimento della capacità di acquisto interna teneva dietro all'aumento della produzione. Questo fenomeno a sua volta derivava, secondo Hobson, dal fatto che la superiorità contrattuale della classe capitalistica le consentiva di farsi nella divisione della torta la parte del leone rispetto alla classe proletaria. In previsione dell'insufficienza del monte salari ad assorbire la maggiore produzione che sarebbe scaturita dai l:aggiori investimenti, consentiti IL LEVIATANO CULTURA I dai maggiori profitti, la classe capitalistica di ogni Paese era costretta perciò a ricercare ali' estero in esclusiva nuovi mercati e nuove possibilità ·di investimenti. Di qui il colonialismo, la rivalità tra le persone per strapparsi a vicenda le colonie, l'imperialismo e il rischio permanente di guerra. Piacque ai marxisti il nesso che questa teoria istituiva tra il bisogno di nuovi mercati e l'espansione coloniale, tra rivalità economica e rivalità politico-militare. Spiacque invece l'interpretazione che ne dava Hobson, secondo il quale il nesso non era né fatale, ne tanto meno destinato a pesare sempre più drasticamente sul comportamento della classe capitalistica. Bastava infatti che questa comprendesse come fosse nel suo stesso interesse promuovere o comunque accettare l'intervento dello Stato a favore della forza contrattuale dei lavoratori. Proporzionata così la crescita della ·capacità d'acquisto popolare a quella della produzione, i nuovi investimenti, ridotti di dimensioni per il ridursi dei profitti, avrebbero trovato in patria un impiego redditizio. Hobson proponeva insomma di spezzare la molla dell' imperialismo col riformismo, argomentando che nel cambio entrambe le classi protagoniste della contesa sociale ci avrebbero guadagnato. I lavoratori, perché avrebbero migliorato le proprie condizioni di vita ben più concretamente e rapidamente di quanto non avrebbero potuto mai fare sottomettendo e predando altri popoli, come cer- , cava di indurli a credere la propaganda degli imperialisti, i capitalisti, perché avrebbero in questo modo vinto la riottosità dei lavoratori, rifacendosi inoltre del costo del riformismo col risparmio nelle spese necessarie a tenere in piedi un apparato burocratico militare a fini imperiali, dispendiosissimo e del tutto improduttivo. Ma chi dunque avrebbe dovuto pagare il costo della trasformazione dell'imperialismo in riformismo? Ebbene. rispondeva Hobson, i ceti aristocratici e borghesi parassitari, che nell'attività coloniale trovavano prebende e impieghi lucrosi. unitamente alla gratificazione della propria volontà di potenza. Con la scomparsa delle colonie e la riduzione dell'esercito, essi per sfuggire all'erosione dei redditi ereditari e alla disoccupazione avrebbero infatti dovuto contentarsi di lavori in subordine assai più faticosi e meno redditizi. Ad analogo destino, anche se Hobson questo esplicitamente non lo disse, sarebbero andati incontro quegli strati di intellettuali senza una competenza precisa e perciò dediti per professione alla rivoluzione in permanenza, i quali, una volta soddisfatta dal riformismo la classe operaia, si sarebbero ritrovati a predicare nel deserto. La premessa del ragionamento di Hobson è dunque quanto di più antimarxista si possa immaginare: esiste una sostanziale convergenza delle classi attive, imprenditoriali, intellettuali o manuali che siano, in favore del progresso produttivo e contro il colonialismoJ /J
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