Il Leviatano - anno II - n. 9 - 11 marzo 1980

EDITORIALE Falsi i bilanci dei partiti CAPoLA voRo ASSOLUTO DI JAITANZA rourIca, delicato gioiello di avvedimento tattico. Nel primo senso, il raddoppio della previsione finanziaria per il contributo ordinario annuo ai partiti politici, da 45 a 90 miliardi, incastonandosi come è venuto a incastonarsi fra lo scandalo delle tangenti arabe dell'ENI e quello della honne hourhe del ministro Evangelisti è stato vittima. occorre ricom"cerlo. di 11na sceno!,!rafia perlomeno infelice. Ma nel secondo, come non ammirare la grazia, la precisione, il garbo con cui l'iter di una tale delibera viene a cadere tutto intero all'interno di quel periodo di sessanta giorni entro i quali, a norma di Costituzione, va convertito in legge il decreto Cuminetti sull'editoria giornalistica? A parte gli assai concisi comunicati ufficiali, i registi dell'operazione sapevano cosl di poter contare anche sul silenzio-stampa. Che c'è stato, infatti, e quasi totale: con le rare eccezioni di Alberto Ronchey sul «Corriere delta sera» e dei deputati La Malfa e Rodotà. prevenire balzi incontrollati della scala mobile, sul cui andamento questa voce influisce per la verità in misura modesta. Imposto, più probabilmente, per far sentire alla stampa il morso amaro del potere, e non privare i potenti del governo e dei partiti delle raffinate emozioni legate al periodico corteggiamento da parte degli editori. A questo è ridotta, oggi, la libertà di stampa in Italia: a questo, nell'ambito di un'Europa dove il sistema del prezzo libero vede i quotidiani assestati su quote non troppo lontane, e in non rari casi persino inferiori, a quella di Stato italiana. Ma la storia non finisce qui. Da due anni a questa parte, anche i contributi risultavano bloccati per imposizione di alcuni sindacati e partiti, nell'intento dichiarato di forzare in tal modo il passaggio delta «riforma dell'editoria». In questo giro di tempo le leggi italiane si intitolano infatti alla riforma dell'editoria, del teatro, dello spettacolo, come se queste (anziché agli Albertini, ai Beuve-Méry. ai Goldoni. ai Brechtl ~pettassero ai redistributori legislativi di sovvenl1oni e vincoli statali. Ma tant'è: e tanto peggio per la lingua. Il fatto è che da quotidiani con l'acqua alla gola per il ricatto permanente dell'adeguamento dei contributi, e sottoUna breve parentesi sul decreto-legge, gemma di altro italico diadema. Come è noto, esso riattiva doverosamente quei contributi-carta, che per i quotidiani sono il corrispettivo del prezzo di vendita imposto dal CIP. Imposto, si dice, per la necessità di IN AULA Montecitorio sperpera IN POCHI SI SONO SOFFERmati sulle contrastate vicende attraverso cui si è giunti alla Camera al/'appruvazione del decretone di beneficenza pre-elettora/e (D.L. n. 663), che riunisce elargizioni di varia natura: da/finanziamento al servizio sanitario nazio2 nale, a/l'aumento delle pensioni minime, alla proroga dei contratti per l'occupazione giovanile stipulati in hase alla legge n. 285. L'ultimo giorno utile per la sua conversione era venerdì 29 febbraio, così come per il decreto sulla finanza locale, a proposito del quale le sinistre avevano ottenuto al Senato un aumento di stanziamenti per 500 miliardi. Giunto anche questo in extremis, alla Camera è stato facile al MSI-DN accennare un atteggiamento ostruzionistico e conseguentemente farlo cadere. Sempre il MSI-DN aveva fatto un'analoga accoglienza anche al- /' altro decreto, ma ad un certo momento (accordi sottobanco tra i capigruppo?) ha insistito solo contro la finanza locale, mollando sul decretone assistenziale. Alla DC la soluzione di vedersi approvare quest'ultimo e respingere quello in favore dei comuni, molti dl'i quali in mano alle .<inistre, non sarebbe andata poi tanto male. I comunisti hanno protestato, ed hanno lentato di far votare prima sulla finanza locale, in modo che i democristiani sarebbero dovuti rimanere in aula fino a tardi. Oppure - correndo via per il week-end come fanno immancabilmente il venerdì a una cert' ora - si sarebbero assunti la responsabilità di aver fatto decadere il decreto per mancanza del numero legale. Non riuscita l'inversione dell'ordine del giorno, il PCI ha cambiato tattica: si è rivolto al governo, chiedendo di non insistere sulla finanza locale e di dichiarare al contempo che sarebbe stato presentato immediatamente un secondo decreto legge in materia, che recepisce anche le modifiche introdotte dal Sena/o. Il govemo, per bocca del Mi11is1ro Darida, l'ha accontenlato. Così si sono calmale le acque, il decrelone disorganico è diventato legge, e lo Slato sborserà qualche altro migliaio di miliardi. g. se. I I MARZO /980

posti da ultimo al più lungo e crudele strattone di redini del .blo~co totale si poteva, durante questi sessanta g1orn1, ottenere tutto. L'approvazione del coraggioso decreto Cuminetti, che tende a collocare i contributi nell'ottica di un piano pluriennale di risanamento di un settore in crisi, in vista del ritorno al prezzo di mercato, non è affatto, per molte ragioni, scontata. In queste circostanze, il silenzio era d'oro. Ed è stato religiosamente osservato. Perché questa tecnica da felpato agguato notturno? Apparentemente, la questione rientrava nel novero di quelle incontroverse. Il principio del finanziamento statale ai partili è stato san1iona10. ,ia pur di misura. da un referendum popolare nel 1978. Fra gli avversari della legge, i liberali avevano sin dall'inizio annunciato _che l'avrebbero osservata lealmente, incassando. 911 stessi radicali, avversari più infiammati, hanno mcassato proclamando di disobbedirla, nelle circostanz~ res_en_ote dal pamphlet •La rosa rubata» e poi dai d1batllll congressuali di Genova. A ogni modo, nessuno potrebbe mettere seriamente in dubbio la sopravvenuta insufficienza dello stanziamento eroso dall'inflazione, in questi sei anni, in una mis~ra che sicuramente minaccia le finalità di garanzia del minimo vitale per l'indipendenza politico-finanziaria, contemplate dalla legge del 1974.Questione, dunque, di puro adeguamento ai dati della svalutazione avvenuta nonché, prudentemente, di quella prevedibile nei primi esercizi futuri. Cosa di meno indecente? La discr_ezionedella forma prescelta integra, alla fin fine, un riguardo verso l'opinione pubblica, preservata c?sì contro il ritorno di incomode quanto sterili dispute. Anche nel '74 la legge Piccoli passò per le vie brevi, anzi fulminanti: cavato il dente, cavato il dolore ... . A così suadenti considerazioni non si può non nspon~ere, più che con quel certo sdegno che il procedimento menta, proprio evocando i fantasmi di q_uellevecchie dispute. Esse riguardavano, come si ricorderà, anzitutto il contesto della legge, e poi il suo adeguamento. Quanto al contesto, l'apposizione delle firme degli onorevoli Cariglia, Mariotti ed Oronzo Reale all_aproposta Picco_lifu condizionata all'impegno esplicito, sollecitato in particolare dai repubblicani, che entro brevissimo tempo il «pacchetto» fosse completato con altre leggi per la moralizzazione della vita pubblica, in aggiunta ai divieti di finanziamento che l'attuale già prevedeva. Quanto al contenuto ad ogni richiesta di approfondimenti legislativi si tagliò corto adducendo che la legge, urgentissima come replica allo scandalismo in atto, era comunque sperimentale e perciò _suscettibile di ogni correzione, anche a breve termine, sulla base dell'esperienza. A quella sede andava dunque rinviato quanto di apprezzabile pur contenevano proposte e progetti emersi in sede qualificata negli anni precedenti: da Sturzo, a un convegno del PRI, a Bertoldi, all'Istituto di studi legislativi,. al Movimento di opinione pubblica, al Club Turatt. Promesse tanto solenni quanto insincere, come 1Ifuturo (e la delibera in corso sembra stare prop~io in ~unzione di pietra tombale) si sarebbe incancato d1dimostrare. A meno che non si volesse collocare sotto la rubrica della moralizzazione il proposito di estendere le guarentigie dell'immunità parl~m~ntare anc~e agli amministratori locali, o quello d1 nformare in senso permissivo l'istituto del pecula!o, esclu~endo la stessa ipotesi di reato quante v_olte_s1possa dimostrare che denaro pubblico è stato, s1, .d1stra_tto.dagli scopi ai quali leggi, bilanci e dehberaz1om collegiali lo destinavano, ma per dirot- /L LEVIATANO tarlo verso altri lidi. pur sempre pubblici. Di queste aspm1z1om della «nuova classe» si è concretato. ad oggi, solo un vistoso e generalizzato incremento delle indennità e dei gettoni dovuti agli eletti o designati a funzioni pubbliche locali. A livelli, è bene dirlo, in trol?pi ~asi so_cialmenteingiustificati (e chi ha provato a giustificarli, lo ha fatto in chiave di apertura su quelle basi, di un nuovo capitolo della finanz~ di partito). · Ora, questa occasione per ridiscutere non il principio, ma le modalità del finanziamento pubblico dei partiti non può andare perduta. Ci sono gli emendamenti Donai Cattin-Bodrato, frettolosamente respinti nell'_aprile '74,pe_rvincolare a parametri fissati da ogni partito, ma resi pubblici, e stabili, il riparto del C?ntribut<_p>~b~lico fra centro nazionale e organizzazioni terntonali, posto che costituzionalmente esso va riferito alla associazione di cittadini denominata «partito», non al solo vertice centrale. C'è l'insufficie~te modello di bilancio allegato alla legge, ventidue voci fra entrata e uscita, inidoneo a consentire un q1Jalsi'.1sigrado di leggibilità e di comparazione fra b1lanc1, anche da parte di specialisti. E c'è la questione della veridicità dei bilanci: anche a volersi rimettere al puro autocontrollo di partito, integrato da un più esauriente sistema di pubblicità, come non stabilire, quanto meno, che gli organi di controllo che ogni partito si sceglie vengano eletti a voto limitato assicurando la presenza di eventuali minoranze? Infi_n~\ma si potrebbe continuare a lungo) a quale vend1c1tà possono aspirare bilanci e libri contabili di organizzazioni, alle quali contemporaneamente il codice civile preclude la possibilità di intestarsi direttamente i l?ropri beni immobili e mobili registrati, fino al furgoncino per la propaganda, costringendo a intestazioni fiduciarie, a doppie scritturazioni a forme m_olteplici(e anche pericolose, non fosse ~he per la. chiarezza dei rapporti interni) di elusione della legge? I rimedi esistono, sono stati lungamente discussi e studiati. Si insiste anche, fuori dell'area specifica di questa _legge.su una anagrafe patrimoniale dei parlamentari e degli uomini pubblici. Una campagna di opinio_nepubblica può essere ancora, in tempo utile, organizzata. Avendo ben chiaro che non si tratta solo o tanto, di trasparenza interna, di «moralizzazione/ si tratta, più specificamente, di assicurare un maggior grado di democrazia interna nei partiti; più esattam~nte ~n~ora, d_impedire che il finanziamento pubblico s1 nsolv~ in un ulteriore strumento di irrigidin:iento centralista e burocratico. Chi è uso disdegnare siffatto genere.di questioni dai balconi della Realpnlitik di apparato non si lamenti poi del callivo funzionamento delle istituzioni democratiche. Perché i partiti sono, appunto, una di queste istituzioni, collocata in posizione decisiva: e una calli va legge sul finanziamento pubblico ne condiziona il modo di essere in profondità. Paolo Ungari P.S. In atto di licenziarequesto fascicolo del Leviatano pervengono notizie di iniziativedi partiti sia per opporsi all'aumento del finanziamentopubblico,sia (per chi non fu a_brogazionislanel referendum del I978) allo scopo di nformare la legge I95 come condizione preventiva di qualsiasi riconsiderazione dell'ammontare del contributo statale. Comunque vadano le cose, il presupposto stesso dell'emendamentodel governo,che era l'accordo larghissimo se non proprio unanime dei partiti, è a questo punto venutomeno. Ci auguriamoche si sappìatrarre dall'ondata emotiva di indignazioneche scuote l'opinione pubblica l'impulso per una revisionedemocraticadellalegge. · J

NOMINATION <<Siamostati noi a favorire /,avventura sovietica» Intervista con GEORGE BUSH D. COME VALUTA LE SUE POSS/BIUTÀ DI V/ITOria? R. Qualcuno deve far fuori Ronald Reagan nel corso di questa campagna elettorale, nell'Illinois o da qualche altra parte. Penso di aver dimostrato che sono io il candidato adatto a farlo. D. Lei è stato definito «moderato•, ma le sue posizioni non sono poi molto diverse da quelle di conservatori come Reagan o John Connally. R. Questo non mi preoccupa: certa gente usa il termine «conservatore» in senso buono; altri, invece, lo usano spregiativamente. In termini di politica economica, io credo nei bilanci in pareggio, nella possibilità di aiutare la gente attraverso la rivitalizzazione del settore economico privato, nel blocco dei sussidi e dei finanziamenti indiscriminati. Mi considero un conservatore che comprende i bisogni della gente. D. Lei vuole riequilibrare il bilancio rederale e limitare l'aumento delle spese al 7% all'anno. Come rarà ad ottenere l'appoggio del Congresso per questa sua politica? R. Se sarò eletto, ciò avverrà perché la gente avrà capito che questo è un modo migliore per andare avanti che non avere continuamente un deficit nel bilancio federale. Margaret Thatcher in Inghilterra e Joe Clark in Canada perseguono una strada analoga. La gente è stanca del «deficit spending», delle spese senza le entrate corrispondenti. D. Il governo di Clark è caduto, la signora Thatcher appare In gravi diff'icoltà politiche. Non è possibile che la gente si stanchi presto delle sue ritttte fiscali? R. Il fatto stesso che alcuni che, pervicacemente, hanno percorso altre vie, oggi si siano svegliati e abbiano fatto sentire la loro voce dimostra quanto questa questione abbia un effetto immediato sulle prossime elezioni presidenziali. D. Che cosa pema del plani del presidente Carter per ridefinire la politica estera degli Stati Uniti alla luce dei recenti cambiamenti sulla 8Cffl8 Internazionale. all'esterno la forza del nostro armamento convenzionale. Modificherei la politica sui «diritti umani», ammettendo che non vogliamo ricostruire il mondo a nostra immagine, né tagliare i rapporti con quei Paesi che non sono completamente all'altezza dei nostri standard. Carter non ha fatto questo. Carter è capace di affrontare i singoli problemi: non presta però attenzione alla globalità delle questioni di politica internazionale. D. Lei parla di w,a «nuova rete di allnnze per gli anni ottanta• fra gli USA e le maggiori potenze marittime del mondo libero. Ma se i -ri alleati non ci seguono ora sulle sanzioni contro l'Iran e l'URSS, perché dovrebbero accettare le «nuove alleanze• di cui Lei parla? R. Perché le nostre alleanze sarebbero molto più sicure. I nostri alleati sarebbero più disponibili a seguirci se noi non fossimo così esitanti. Un esempio: riuscimmo a convincere il cancelliere Schmidt a seguirci sul problema della bomba al neutrone, una decisione politica molto coraggiosa per Schmidt. Poi i sovietici lanciarono una massiccia campagna di propaganda contro la bomba al neutrone e Carter fece marcia indietro, lasciando Schmidt da solo. Non si può costruire una linea di politica internazionale con questo tipo di tentennamenti. D. La maggior parte dei candidati alla presidenza non sembra essere in sostanziale disaccordo ron le reazioni di R. Il limite maggiore di Carter è che non vede il mondo come è nella realtà, ma lo vede come vorrebbe che fosse; ha una visione ingenua della politica estera. Così gli Stati Uniti sono venuti meno ai loro impegni. Abbiamo favorito un'interpretazione sbagliata delle mosse sovietiche, abbiamo indebolito le nostre alleanze, abbiamo favorito l'avventurismo dell'URSS. Io rafforzerei il ruolo della marina, così da proiettare GEORGE BUSH 4 I I MARZO /980

Carter alle crisi in Iran e in Afghanistan. Non le sembra che Carter, in sostanza, abbia fatto propria una tematica che era sua? R. Non credo. Su queste questioni ci sarà molto da dire dopo che la situazione in Iran avrà trovato una sua soluzione. In ogni caso, ciò che è accaduto è esattamente ciò che io avevo previsto che avrebbe potuto accadere. D. Carter intende •punir,,. i sovietici per l'inl'tiione dell'Afghanistan con restrizioni nel commercio e neU'esportazione di tecnologia. Lei è d'a<:cordocon queste misure? R. Certo: dobbiamo ridurre l'esportazione di tecnologia. D. Ma aUora perché ha dkhiarato di essere contrario al blocco deU'esportazione di cereali? R. Perché questa misura danneggia più noi che i russi. Sarebbe un disastro per la nostra bilancia dei pagamenti, costerebbe al governo cinque miliardi di dollari e provocherebbe, inevitabilmente, un aumento della pressione fiscale. D'altra parte, mentre blocchiamo l'esportazione di cerea.li. contemporaneamente stiamo vendendo ai sovietici fosfati per migliorare il rendimento e la qualità del loro grano! Questa è la politica estera più bizzarra e irrazionale che abbia mai visto. D. Suggerisce di annuUare l'accordo per la produzioD!' di fosfati concluso con l'URSS dall' •Occidenlal Petroleum•? R. Se il blocco delle esportazioni deve essere una cosa seria, allora non c"è dubbio che deve riguardare anche i fosfati. In questo caso sono convinto che anche i produllori di cereali comprenderebbero le misure prese e sarebbero d'accordo. D. Come ex capo della missione diplomatka in Cina, come giudka i tentativi di Carter di estendere i rapporti con quel Paese? Sarebbe d'a<:cordo se il governo vendesse armi ai cinesi? rapporti diplomatici, offende i cinesi. Le relazioni con loro non debbono essere basare sul nostro desiderio di mettere i sovietici con le spalle al muro. D. Pensa che l'incremento deUa spesa per gU annamenli conseguente aU'attuale cllma di guerra fredda la obbligherà a rimandare il raggiungimento dell'obiettivo di un bilancio federale in pareggio? R. Dipende dal fatto se si riuscirà a eliminare gli sprechi e ad abbandonare programmi tipo quello del CET A (Comprehensive Employment & Training Act). Non voglio che questo programma sia abbandonato del tutto, ma sono dell'idea che si debba ridimensionarlo se non dà un buon risultato; così come altri programmi del genere. Bisogna stabilire delle priorità allo scopo di risparmiare danaro. D. La popolarità di Carter ha fatto un balzo in avanti sulla spinta delle crisi in Iran e in Afghanistan. Non sarà un avversario molto più duro da sconr,ggere a novembre? R. Non sono d'accordo. Penso che il suo seguito sia molto debole in realtà. La crisi iraniana ha messo la sordina all'inflazione violenta che ci ha aggredito. Il dibattito non ha ancora affrontato i problemi fondamentali. (da •Business Week•) R. Non penso che in questo momento il problema sia di vendere armi alla Cina. Anzi, sono in totale disaccordo sul modo in cui il governo di Carter sta giocando la «carta cinese•. È un modo che deteriora i GEORGE BUSH IL LEVIATANO 5

■111U1-.r .. 111U1■ _ ■111U1-.r .. 111U1■ ... ■ ....... - ... ■ ....... - GOVERNO Unapresidenm, socialista o lai_ca Gu UNICI CHE NON L'HANno capito sono i socialisti. Che cosa? Per dirla con le parole di un grande cronista come Giampaolo Pansa, che «ne vedremo di tutti colori, ma il governo con i comunisti la DC non lo farà mai•. Pansa era arrivato a queste conclusioni fin dalle prime battute del congresso democristiano, dopo aver sentito la temperatura del Palasport durante il discorso di Helmuth Kohl, il quale, non essendo avvezzo al linguaggio politico _italiano, aveva detto in tedesco_ BE1TINO CRAXI ·quello che pensano tutti i dc di casa nostra, che non hanno alcuna intenzione di portare al governo «un partito le cui basi ideologiche sono identiche a quelle degli invasori dcli' Afghanistan•. Ne seguirono ovazioni, e fu a questo punto che Pansa scrisse per «Repubblica» l'articolo che cominciava: «arrivano i democristiani di Germania e scatta il momento della verità•. Questa verità, poiché è scontato che «ne vedremo di tutti colori• può essere mistificata dagli Andreotti, dai Piccoli, dai Forlani, 6 dai Galloni, ma salterà sempre fuori qualcuno-magari un Evangelisti - a ricordarla al momento opportuno a chi fa finta di non capire. Non è che la Democrazia cristiana abbia sacri principi da difendere, e che si preoccupi, come Kohl, delle basi ideologiche di Berlinguer. Niente di tutto questo. Soltanto ha capito che andare alle elezioni (politiche o anche solo amministrative) presentandosi come il partito che «apre» ai comunisti vorrebbe dire perdere milioni di voti, e scatenare quel processo di decomposizione che sarebbe il principio della fine della Democrazia cristiana. Ha ragione, insieme a Pansa, anche un altro grande giornalista, Montanelli, il quale avvertì che, non si sa come, ma l'elettorato democristiano, al Palasport, era riuscito a entrare malgrado i posti di blocco piazzati non dagli agenti dell'antiterrorismo, ma dalla segreteria uscente (e dimissionaria) di Zaccagnini. Una cosa. secondo me. non è lecito dire: che la DC non abbia scelto. Il suo «no» al Partito comt:mista lo abbiamo sentito tutti, ed è stato forte e chiaro. Certo, al Consiglio nazionale ci saranno ca-. priole inverosimili per convincere i comunisti a fare i servitori sciocchi di un governo dc in attesa di una «apertura• nel Duemila, ma questo non cambierà la convinzione dello stato maggiore democristiano secondo cui, se si presentassero ali' elettorato in compagnia di Berlinguer, quella tragica spaccatura 42 contro 58 per cento determinatasi sul preambolo Donai Cattin (già maggioranza anti-PCI in sede congressuale) sarebbe solo una pallida idea di quella da contare in sede elettorale. Senza dimenticar di contare un'altra cosa: che il 42 per cento del cartello Zaccagnini-Andreotti-Evangelisti (perché trascurare il terzo della trinità?) poneva tali e tante condizioni a Berlinguer da non rischiare nemmeno l'imprevedibile, una risposta positiva del PCI, come così bene aveva spiegato in una •storica» intervista televisiva Berlinguer in persona (quando disse con innocente sincerità che, se fosse già stato al governo quando si doveva decidere sul sistema monetario europeo o sugli euromissili, avrebbe aperto la crisi piuttosto che accodare il suo partito a scelte - occidentali - così vincolanti). Anche il PCI, in sostanza, pensa al proprio elettorato, e ha capito benissimo di che cosa si tratta: la DC al massimo gli chiede di fare il porta-borraccia, non il caposquadra al prossimo giro d'Italia. Perciò ha reagito al congresso democristiano prima con irritazione (sacrosanta anche se patetica) poi cominciando a prendere le distanze (secondo una linea sintetizzata bene nel titolo di un'inchiesta condotta da Giovanni Russo per il «Corriere della sera•: meglio all'opposizione che in mezzo al guado). Il problema, quindi, non sta nel continuare a discutere sul governo di unità nazionale, che non esiste e non esisterà mai con questa DC, ma nel decidere come mettere in piedi un governo che _governi: da chi diretto. da chi composto. con quale programma (non finalistico e neppure inzeppato di fantastici «elementi di socialismo•) ma concreto di lavoro per affrontare la crisi economiIl MARZO 1980

...... ~ ... _ ...... ~..... . ..... ~ ..... • .,. ■ lliiiii■--lrll■ -■lrll • lliiiii ■--lrll■ - .• ,. ii lliiiii■--lrllii HELMUTH KOIJL _ ca. la crisi di questo Stato che va in pezzi per la corruzione e per il terrorismo (alimentato dalla corruzione), la crisi dei rapporti internazionali (sapendo che siamo in Occidente, non in Oriente e nemmeno nel Terzo mondo). Nel decidere queste poche ma importanti e improrogabili cose, le scelte non sono ideologiche, ma pratiche, all'occidentale. Di ~progetti di società,., molto belli, le sinistre italiane hanno già fatto indigestione mentre gli Evangelisti governavano alla loro maniera; adesso si tratta di pochi e precisi punti programmatici di governo, che non mancano a tavolino ma che si deve poi applicare e non impasticciare. Quindi lo si voglia o no, il discorso torna a chi dà - all'opinione pubblica, agli elettori (anche qui secondo schemi occidentali pratici, non secondo ideologie) - maggiori garanzie di poter fare, e di fare meglio. Le combinazioni parlamentari sono poche per via dei numeri, il compromesso storico è rinviato alle calende afghane, l'alternativa di sinistra (oltre a non avere i numeri) non la vogliono i comunisti (coerentissimi su questo, al massimo la concepiscono come supporIL LEVIATANO to tattico lungo la strategia del compromesso storico), resta da scegliere chi può dare un minimo di affidamento, e allora il discorso - terra terra - diventa: avendo i comunisti perso per l'ennesima volta l'autobus (perché non basta il ~dissenso,. dall'Oriente se non si sta convinti con i piedi e soprattutto con la testa nell'Occidente), è meglio dare la direzione di un governo al solito partito degli evangelisti o a qualcun altro? Se si ragiona così, invece di proporre a Craxi subordinate inesistenti, lo si vincoli a una sola proposta e a una sola subor- .dinata: presidenza socialista o presidenza laica. Poi dicano gli altri se ci stanno. Compresi i sindacati se vogliono il patto sociale con qualcuno che esiste invece che con l'inesistente. LucianoVa.rconi URSS Una ragione di vita L RIPROVAZIONEDAPARTE del PCI del 'intervento sovietico in Afghanistan, per quanto cauta e accompagnata da appelli a una immediata ripresa praticamente senza condizioni del dialogo con /'aggressione, ha tuttavia suscita• to in certi settori della base e dei quadri, reazioni inquietanti; che fanno intuire quanto sia difficile e remoto quell'addio alla Russia, che il mese scorso Scalfari dava già per scontato. Alcuni personaggi formalmente ai margini del potere comunista, ma tuttora prestigiosi, come lo storico del cristianesimo Ambrogio Donini e l'ex-presidente della Corte costituzionale Giusep• pe Branca, a suo tempo esegeta della sapienza giuridica dellaprocedura penale staliniana e del valore probatorio delle ,confessioni», si sono pronunciati dura• mente contro le ingerenze negli affati interni afghani. Non contro le azioni del/' Armata rossa, che ingerenze certamente non sono; ma contro fatti, quelli sì lesivi della distensione, come le dichiarazioni antisovietiche e anti• afghane che avrebbero «inquinato» lo sciopero generale del /5 gennaio. Accanto a lettere, talvolta instr litamente radicali, di critica ali' URSS, e a scolorite adesioni alla linea ufficiale, sono piovute alla redazione del/'«Unità» lettere di giustificazione del/' intervento sovietico. E queste ultime sono dovute non solo a vecchi compagni, che della trasfigurazione del- /' URSS hanno fatto ormai una ragione della loro vita, ma a giovani dirigenti della FGCI. Si tratta di inevitabili resistenze a una linea revisionistica, discorie del passato in via di graduale eliminazione, che appunto per questo sono sottoposte dal/'• Unità» ali' attenzione critica dei militanti? Piacerebbe crederlo. Ma il fatto è che queste lettere riciclano, liberandole dal 'ambivalenza e dalla cautela, valutazioni giustificazioniste presenti nelle posizioni «critiche» di vertice. Quando alla TV Romano Ledda, della sezione esteri del Comitato centrale, unisce alla deplorazione il richiamo alpericolo di accerchiamento incombente sul 'Unione Sovietica, e l'Unità «deplora» «la reazione eccessiva al rischio dell'accerchiamento»; quando irifìne lo stesso GiorgioAmendo/a invita a •tener conto• della presenza nel 'area medio-orientale dello «imperialismo americano,, che cosa dovrebbe dedurne il compagno di base? Accompagnata da simili riserve, del tutto omogenee col mito stalinista del 'URSS accerchiata, pacifica, non può certo innescare alcuna crisi radicale e diffusa della mentalità delle masse comuniste: né nella sua dimen, sione apertamente stalinista, né in quella, più subdola e pericolo• sa, fatta di atonia morale e di indifferenza difronte a qualunque infamia perpetrata da quella parte, che preliminarmente si è accettata come giusta. Non meno ambivalenti di quelle sull'Afghanistan sembrano d'altronde· le reazioni alla deporta• zlone di Sacharov. l'«Unità» dava per scontato, nel 'ambito dello stesso scritto che criticava l'Intolleranza del dirigenti sovietici, che il dissenso sia minoritario e isolato «di fronte alla generalità (!) de/l'opinione pubblica sovietica,. 7

...... ~~ ... _ ...... ~~ .. .. ■ . ~ .. - .. .. ~ .. - Accreditando così la tesi ufficiale che la quasi totalità dell'opinione pubblica sia col governo e col partito; e «sorvolando» sul fatto cruciale che il regime sovietico ha spezzato tutti gli indicatori - elezioni, libera stampa, diritto di organizzazione - necessari appunto per verificare che cosa la gente realmente voglia. Al limite del grottesco, poi, il tentativo di stabilire una sorta di parallelo fra ciò che il governo russo fa nel suo Paese e una presunta crisi della tolleranza in America .. In ogni caso anche queste reazioni a mezza bocca debbono essere, in seguito apparse troppo compromettenti al gruppo dirigente, forse sottoposto a pressioni «riservate» da parte sovietica, sea Torino, Firenze, Pavia e Pisa, i comunisti hn11110 l'otnto contro la concessione della cittadinanza a Sacharov, protestando contro il «carattere propaf.!andisticn» (!) del gesto._ Questo fenomeno di ambivalenza, e di continuo ritorno dei vecchi schemi e dei vecchi riflessi giustificazionisti, dovrebbe essere sottoposto al fuoco de/I'attenzione e della critica di chiunque speri nella liberazione del potenziale innovatore imprigionato e stravolto nel PCI. Sia che, si ritenga che questo potenziale possa rendersi disponibile solo attraverso la crisi radicale e il crollo del B gruppo dirigente e dei suoi strumenti ideologici e organizzativi (leninismo, centralismo democratico); sia che, come Scalfari ed altri, si ritenga possibile invece uno sviluppo non traumatico. Paolo Demartis SOCIALISTI Non volevano il pentapartito? NEL GIRO DI UN PAIO DI MEsi il gruppo dirigente del Partito socialista è riuscito a distruggere quella credibilità che, in tre anni di faticoso lavoro politico, aveva dato una nuova immagine al PSI. Le tappe di questa operazione più che alla, ormai tradizionale, «nevrosi socialista» sembrano doversi attribuire ad un misterioso ed endemico mal sottile interno che qualcuno ha drasticamente definito una sorta di cupio dissolvi. Anche se una certa ritmìa lascerebbe sospettare un disegno politico preciso diretto a rendere sempre più ambiguo il comportamento e il ruolo del PSI nella vita politica del Paese. Cerchiamo di ricostruirne l'iter. Nel corso dell'ultima campagna elettorale, fra le tante fumisterie tratte dal •progetto socialista per l'alternativa», la proposta che più caratterizzò la propaganda elettorale del partito e che riuscì ad affascinare l'elettorato fu il famoso •patto con gli elettori per garantire la governabilità del Paese». Certamente con essa il PSI riuscì a risalire la china da una sconfitta largamente prevista anFRANCESCO COSSIGA, che dagli stessi suoi dirigenti; come dimostrarono le loro prime dichiarazioni, tra lo stupito e il rassegnato, rese a caldo appena arrivarono i primi risultati elettorali sfavorevoli, che davano un PSI inchiodato al 9,6% delle precedenti elezioni. L'imprevista avanzata nel Sud riuscì a bilanciare le perdite subìte nell'Italia del Nord e costituì il grosso di quell'aumento dello 0,2%che lo annoverò fra i partiti vincenti delle elezioni del 3 giugno. La promessa di dare il proprio determinante contributo alla governabilità del Paese fu poi rafforzata dall'impegno unanime del PSI nel breve periodo dell'incarico a presidente designato conferito a Craxi nella metà di luglio 1979 e testimoniato dal ragionevole documento diffuso sotto il titolo: IO punti programmatici per una politica di rinnovamento. Tutti sappiamo come quel tentativo, che ebbe il sostegno di tutti i partiti laici e la simpatia della stampa non comunista, fu bloccato dalla Democrazia cristiana sotto la duplice spinta del suo spirito egemonico e dell'imminenza del congresso, già convocato, che si I I MARZO /98()

...... r .... ■ - ■.,.._.r .... ■ ... • lllliiiill' ... - ... • lllliiii "' ... - ...... r .... ■ .... lllliiiill'lnl■ sarebbe tenuto da Il a pochi mesi. Nonostante il veto democristiano, rinunciando ad ogni ritorsione con apprezzabile senso di responsabilità, il PSI permise, sia pure con l'astensione, la costituzione del «governo di tregua» di Cossiga, con l'intesa che esso sarebbe durato fino alla conclusione del congresso della DC. In quegli atteggiamenti si intravidero i primi passi di una politica che - superando le nevrosi e le fughe dalla realtà della metà degli anni settanta - conferiva al PSI un nuovo prestigio fatto soprattutto di coerenza verso l'attuazione di quel •patto con gli elettori», che aveva restituito ai socialisti un peso politico assai maggiore della loro consistenza elettorale e parlamentare. Tutto ciò dura fino a dicembre, o meglio fino allo scoppio della torbida storia delle tangenti dell'ENI, allorquanto la sinistra del PSI si scatena chiedendo, malgrado i patti, la caduta immediata del governo di tregua mentre sale di tono il coro di critiche contro Craxi. E qui si assiste al rovesciamento del marginale che diventa centrale e viceversa. Il marginale era la natura politica delle critiche, il centrale era l'esplicita accusa - non del tutto infondata - rivolta a Craxi di gestire il PSI in modo autoritario ed esclusivista, chiuso nei suoi uffici, protetto e attorniato da tante fide e piccole vedette lombarde. Si arriva all"estenuante sessione del Comitato centrale del 15-18 gennaio ove il marginale politico si conclude con l'unanime richiesta (tranne un solo voto contrario e un paio di astensioni) di un governo d'emergenza, ivi compresi i comunisti, e senza alcuna subordinata. A coronamento di tale intransigenza, tutto il Comitato centrale lanciava un corale anatema contro il pentapartito, mentre il documento. raggiungendo il massimo di raffinata ambiguità, si concludeva reclamando in tale governo la presenza delle forze democratiche disponibili. Le due scuole, che tale frase farà sorgere, discetteranno a lungo silenziosamente, da opposti versanti, sulla disponibilità sia dei comunisti sia dei partiti laici. li centrale, cioè la diminuzione del potere assoluto del segretario, Il LEVIATANO veniva rinviato a tempi futuri con l'armistizio tra Craxi e Signorile. Sia pure con gli scalpitii della sinistra, il PSI attende la conclusione del congresso della Democrazia cristiana per dichiararsi subito dopo «deluso» del risultato che vede la vittoria dei •preambolisti». Un paio di dirigenti socialisti (anche craxiani) arrivano a formulare l'infantile esortazione al Consiglio nazionale democristiano di rovesciare i risultati del PIETRO LONGO congresso, accogliendo le sconfitte ragioni di Zaccagnini. L'aspetto strano delle «delusioni» socialiste sta nel fatto che mentre l'area Zaccagnini dedicava tutte le sue attenzioni al PCI, l'area del preambolo esaltava, invece, il ruolo del PSI intravedendo nel rapporto privilegiato con esso l'unica strada per assicurare un governo stabile ed autorevole al Paese. E qui comincia un altro attacco di nevrosi socialista. Alla proposta di Pietro Longo di una riunione fra i quattro partiti laici, il PSI risponde di essere disponibile solo per incontri bilaterali con tutti i partiti «dal PCI al PLI», mentre il presidente del PSI, Riccardo Lombardi, dichiara di ritenere possibile un governo DC-PSI ma «dopo un assenso politicamente esplicito del PCh («Avanti!, 28 febbraio). Il giorno dopo rettifica affermando che «qualunque soluzione deve essere esplicitamente concordata dai partiti di sinistra sia in sede di programma che di composizione del governo» («Avanti!•, 29 febbraio). Le tre dichiarazioni sono completate, infine, dalle voci socialiste che auspicano un governo DCPSI-PRI verso il quale il PCI manterrebbe un atteggiamento meno duro di quel che avrebbe invece contro l'odiato pentapartito. Poco importa se da questa soluzione la conseguenza più ovvia sarebbe quella di indebolire lo schieramento laico di fronte alla DC. Arrivati a questo punto c'è da chiedersi quale fosse il valore della seconda frase di quegli Appunti programmatici del presidente incaricato on. Bettino Craxi dati alle stampe il 23 luglio 1979 e largamente diffusi dentro e fuori del PSI che recitano testualmente: •La maggioranza parlamentare può nascere da un accordo tra la DC, il PSI, il PSDI, il PRI e il PLI e dall'impegno comune di questi partiti ad operare in leale solidarietà fra loro, per garantire al Paese un periodo di stabilità, di governabilità, di rinnovamento e di riforme». Perché, insomma, il PSI è contrario oggi al pentapartito mentre lo proponeva unanimemente appena sette mesi or sono? È la nevrosi? È la cupio dissolvi? Gianni Finocchiaro 9

..... ~ .... _ ..... ~ .... ii .. ■ lliilllll .. ■ - . ■ lliilllll .. ■ CONSENSO Governo e governabilità «GovERNABILITÀ. È DIventata in Italia una di quelle parole grimaldello buone a tutti gli usi: vi ricorre chi ritiene indispensabile l'ingresso dei comunisti al governo e chi è convinto del contrario; chi invoca una politica di maggior coinvolgimento sociale dei sindacati e chi la rifiuta; chi crede in formule consociative e chi nella democrazia conflittuale. Ma negli altri paesi occidentali, il termine ha un significato più preciso, più attuale e, in un certo senso, più drammatico; esso sintetizza il problema se davvero le società post-industriali siano destinate alla bancarotta politica, economica e sociale. Come è stato ricordato al convegno organizzato a Venezia dalla Fondazione Luigi Einaudi su «Consenso e governabilità nelle società post-industriali•, scontento. sfiducia ed insoddisfazione sono ormai documentahili e descri- _vibili_guantitativamente: da un lato i sondaggi d·opinione, dall'altro, i comportamenti elettorali denunciano la sempre minore fiducia nello Stato e nelle strutture pubbliche, oltre che un sempre maggior desiderio di fame a meno. In queste condizioni, stato e strutture pubbliche hanno sempre minore autorità per imporre, o semplicemente, per proporre credibilmente scelte precise e comportamenti coerenti. Al convegno di Venezia, Giuseppe Di Palma e Maurizio Ferrera hanno individuato il punto di svolta nella crisi di consenso allo scoppio della prima crisi energetica, nel 1973, quando venne meno il meccanismo che aveva reso possibile il grande boom degli anni sessanta; un'accumulazione costante che consentiva il soddisfacimento delle aspettative dei cittadini. Solo che, nel frattempo, le aspettative erano diventate come dice Beli. •spettanze•: tutti cioè sentivano. e sentono, di aver diritto ad una vita più comoda, ad IO un lavoro entusiasmante, a servizi sociali sempre più completi ed efficienti, ad un sistema di sicurezza sociale sempre più ramificato e complesso. Il tutto, naturalmente, a spese degli altri, cioè dello Stato. Per uscire dall'impasse, alla classe politica, in qualunque paese, non si offrivano che due strade: quella di un maggiore carico fiscale o quella dell'inflazione, di stampare carta moneta come precisa scelta di politica economica che si sperava potesse, nel breve periodo, fornire i mezzi per pagare le politiche richieste e mantenere il consenso. Quando però il cittadino si accorge di pagare sempre di più per ottenere servizi sempre meno efficienti e di essere coinvolto in un sistema che diventa necessariamente sempre più burocratizzato e dunque meno libero, si sente anche imbrogliato. La crisi, a questo punto, è insuperabile? Non tutti ne sono convinti. Proprio uno dei maggiori studiosi degli effetti •perversi• di molti interventi pubblici, Raymond Boudon, crede che non siamo ancora, per le società occidentali. all•anomia• che per Durkheim precede il suicidio. Alla fine, per quanto insoddisfatti e delusi, i cittadini occidentali hanno pur sempre una fiducia di fondo in certi valori e in certi sentimenti. Se uno dei principali errori del passato è stato quello di creare l'illusione che •ogni pasto fosse gratis•, è necessario innanzi tutto cominciare ad informare degli errori compiuti e delle strade nuove da imboccare. Ecco il ruolo degli intellettuali, sottolineato da Nicola Matteucci, come mediatori del consenso. Una politica autoritaria non serve: agli errori del passato, che nascevano dall'illusione che tutto potesse essere risolto dal centro, occorre sostituire una politica di •ingegneria sociale a spizzichi•, di coraggiose sperimentazioni cioè, per cominciare a dimostrare che è possibile dare maggiore spazio a delle politiche di mercato coordinate e programmate, che ciò non contrasterebbe affatto con le esigenze di equità e che anzi esse darebbero maggiore spazio alle scelte e, dunque. alla responsabilizzazione del cittadino. A questo punto, parlare nei termini consueti di •governabilità• in Italia, assume un significato quasi ironico; da noi il problema, come ha messo in luce Di Palma, non è la •governabilità», ma il •governo• ovvero la capacità e la voglia di governare, dunque di scegliere; cosa che da noi, appunto, nessuno fa perché non sa, o non vuole o non può. Lo Stato continua a pasticciare, perseguendo scelte contraddittorie, ignorando i passaggi attraversati dalle altre democrazie dell'Occidente, riducendo gli incentivi all'iniziativa del mercato, tollerando che i servizi pubblici divengano sempre più inefficienti. Già in Italia, come direbbe ancora Daniel Beli, non è il Grande Fratello che preoccupa, ma il Fratello Pasticcione. SalvatoreCarrubba Abbonatevi al «Leviatano» Abbonamento annuo: L. 20.000 Abbonamento semestrale: L. 11.000 Sconto speciale per chi risiede nelle città e nei paesi dove «Il Leviatano» non arriva in edicola: abbonamento annuo a sole L. 14.000. Conto corrente postale n. 58761008 intestato a «Il Leviatano» via dell'Arco di Parma 13- 00186 Roma I I MARZO /980

Il male oscuro ~~ .. ~~­ lliiiiii ~ ■ lliiii.i.i ■ della democrazia americana UN ILLUSTRE COMMENTAtore americano definiva nei giorni scorsi la possibilità che gli elettori americani fossero chiamati alla fine dell'anno a scegliere tra Carter e Reagan, come una scelta tra un «disastro e una catastrofe•. È questo d'altra parte il tono della maggior parte dei commenti che si possono cogliere sulla stampa all'indomani delle primarie del New Hampshire, che hanno visto ancora una volta la vittoria di Carter su Kennedy (49% contro 38, e il IOa Brown) e di Reagan su Bush (50% contro 23). L'impasse del sistema americano si può cogliere da un altro segno delle ultime ore: la JIMMY CARTER riscoperta, da parte repubblicana, di una possibile candidatura di Gera! Ford, da contrapporre a Carter per assicurarsi il tradizionale elettorato di centro, che è quello che in ultima analisi decide il r:isultato delle elezioni. E bastato solo che Carter dimostrasse prudenza e .fermezza di fronte all'incalzare degli avvenimenti perché l'elettorato americano si riunisse nuovamente sotto le sue insegne (almeno per il momento), giudicandolo evidentemente il male minore. IL LEVIATANO Si tratta quindi di un •male oscuro» che insidia la democrazia americana e la conduce senza alcun entusiasmo a una scelta decisiva come quella di fine d'anno per la carica di Presidente. E si tratta evidentemente di un male al quale possono essere in parte ascritte molte delle cause che hanno visto in questi anni gli Stati Uniti in ritirata sulla scena mondiale, incerti sul loro ruolo internazionale e sulle loro responsabilità. È proprio di queste settimane. un saggio di Gianfranco Pasquino («Il Mulino», 6, 1979, pp. 80535) dal titolo provocatorio: Un caso di ingovernabilità, gli Stati Uniti d'America. che cerca di analizzare le cause del male oscuro della democrazia americana. La crisi del sistema è, per Pasquino, la crisi della presidenza, vero fulcro della democrazia americana. Anzitutto crisi del sistema di selezione dei candidati. Con 36 · primarie della durata di diversi mesi. con la proporzionale voti-delegati, con il voto vincolato di questi ultimi, con il peso crescente dei massmedia e degli staff elettorali, con la democratizzazione e pubblicizzazione del processo di selezione, si sono determinati alcuni risultati imprevisti e in parte non voluti. Intanto il non governo del Presidente nell'ultimo anno del mandato, obbligato ad impegnarsi fin dall'inizio nelle primarie; poi la continua ricerca della popolarità come condizione per imporre al Congresso le sue proposte di Legge; infine il peso crescente nel- !' elettorato che partecipa alla scelta del candidato alla Presidenza (che risulta in costante calo) degli elettori più motivati (verso destra o verso sinistra) e quindi la scelta di candidati estranei alla tradizione elettorale americana, come Goldwater nel 64 e McGovern nel 72. In secondo luogo le difficoltà che il Presidente eletto incontra nel trasformare la sua coalizione elettorale in coalizione governativa (dato che la maggior parte del suo staff è formato da gente esperta in pubblicità, ma non in gestione della cosa pubblica) e quindi il non governo del primo anno. Inoltre il logoramento parallelo delle strutture dei partiti tradizionali che comporta l'ulteriore indebolimento del rapporto Presidente - partito (vincitore) e, di conseguenza, del rapporto Presidente - Congresso. La crescente inRONALD REAGAN. soddisfazione dell'elettore nei confronti dei partiti e le misure intese a moralizzare le candidature al congresso hanno reso sempre più •indipendenti• i diversi Congressmen. e m.:nogovcmahile il sistema. Nello stesso tempo, la frammentazione della leadership in Congresso ha reso sempre più laborioso e incerto il cammino dei provvedimenti legislativi. Sulle questioni scottanti (issues) tutto diventa possibile, soprattutto in presenza di una Presidenza debole, incapace o impossibilitata a esercitare il proprio ruolo determinante di guida. Pasquino ne conclude che, non essendo state create istituzioni abbastanza forti per assorbire e incanalare la domanda di partecipazione che era stata suscitata, ne è seguito un processo di «destrutturazione politica» del sistema, con una prevalenza del distacco e della sfiducia. Pur ammettendo,

in via di ipotesi, che l'elezione di una personalità di grande carisma alla Presidenza. possa invertire questa tendenza, Pasquino propende invece per un prolungarsi .della crisi del sistema politico americano ancora per un lungo periodo. Il tono delle dispute elettorali di queste settimane sembrerebbe proprio dargli ragione. Aldo G. Rieci EDWARD KENNEDY CINA Si scopron le tombe CoN LA RISOLUZIONE APprovata dal plenum del comitato centrale del partito cinese nei giorni scorsi, Liu Shaoqi, ex-presidente della Repubblica popolare cinese, ex delfino del presidente Mao, poi caduto in disgrazia con la rivoluzione culturale, espulso dal partito e morto in circostanze oscure, non è più il «Kruscev cinese», «rinnegato, traditore e verme nascosto nel partito, lacché dell'imperialismo, del revisionismo moderno, responsabile di innumerevoli crmini »; con la risoluzione dellafine di febbraio Liu torna a essere «un grande marxista rivoluzionario e proletario, uno dei principali dirigenti del partito e dello Stato». Si tratta indubbiamente di un passo decisivo sulla strada della 11 demaoiu.azione, ·apoco più di tre _anni .dalla morte del .Grande.Ti:: moniere. Non solo sono stati incarceratio espulsi tutti i dirigenti usciti dalla rivoluzione culturale, ma Deng Xiaoping ha fatto riabilitare tutti i dirigenti caduti in disgrazia ai tempi dei/e Guardie rosse, fino a ottenere anche la riabilitazione di Liu, che Mao in persona aveva bollato per l'eternità come traditore nel suo famoso Dazebao: Bombardare il quartier generale. In questi giorni circolano addirittura voci secondo cui sarebbero stati portati a conoscenza del plenum del comitato centrale, documenti che comproverebbero il tradimento di Mao e la sua intenzione di sopprimere tutti i maggiori _dirigenti del Partito per dare il potere alla «Banda dei quattro»; e non sipuò escludere che il prossimo Congresso del Partito, la cui convocazione dovrebbe esserefatta in questi mesi, possa anche adottare delle risoluzioniclamorose in tema di demaoiuazione. . Già i comitali rivoluzionarisono stati aboliti o ridimensionati; il partiU>ha ripreso il controllo del- /' amministrazione del potere; gli incentivi materiali sono di nuovo al primo posto; l'industrialiu.azione del Paese si compie importando tecnologia da/l'Occidente, prima odiato e disprezzato; lo studio è di nuovo una cosa seria e rispettata al quale si accede non più per meriti rivoluzionari o di classe, ma per meriti di cervello; gli_aiuti alla guerriglia mondiale sono stati sostituiti da aiuti ai Paesi o ai movimenti in grado di contrastare l' «egemonismo» so-, vietico. L'ordine nel Paese viene riaffermato con lapromulgazione .del nuovo Codice Penale e viene_ soppressa anche l'(!ltirna bandiera della Rivoluzione Culturale: i Dazebao, strumento di democrazia negli ultimi mesi, ma anche strumento di linciaggio morale degli avversari negli anni passati. Con la rapidità di chi non ha tempo da perdere, il vecchio Deng smantella le basi del recente disordine e pone quelle del nuovo ordine, che è poi in larga parte, a ben vedere, quell'ordine che la vecchia guardia del Partito stava dando alla Cina prima degli scossoni del Grande Balzo e prima della Rivoluzione Culturale. Ora il sole del pensiero di Mao si è spento (probabilmente in modo definitivo) e tutto cambia a Pechino lasciando orfane le nostre Guardie rosse; una sola cosa sembra non dover cambiare: la lotta nei confronti del 'Unione Sovietica e della sua politica di «egemonismo mondiale•. Pur avendo celebrato nelle settimane scorse l'anniversario ·d('l/a nascita di Stalin con toni non dissimili tra loro, Cina e Unione Sovietica continuano a combattersi su tutti i fronti dello scacchiere mondiale e a indicarsi reciprocamente come il principalt! pericolo per il resto del mondo. E uno dei segni più tangibili, se ancora ve ne fosse bisogno, della morte dell'ideologia e della sua definitiva sostituzione con la vecchia e per alcuni mai morta geopolitica. a.g.r. Il MARZO 1980

r IMPERIALISMO I ·Hobson e Marx Gu AVVENIMENTI IN CAMbogia e in Afghanistan hanno travolto definitivamente, anche presso il pubblico culturalmente più sprovveduto la pretesa scientificità dell'interpretazione marxista dell'imperialismo e della guerra. Come strumento per tenere in vita il marxismo ben oltre la sua morte scientifica, avvenuta alla fine del secolo scorso, questa teoria ha finora funzionato invece egregiamente anche se i popoli dei Paesi arretrati, che essa è servita a evangelizzare e mobilitare contro l'Occidente, oggi cominciano anche essi ad accorgersi della sua nocività. In odio all'Occidente il mito antimperialista li obbliga infatti a rifiutarne radicalmente il modello di sviluppo, il solo che ovunque applicato abbia dato risultati eccellenti; mentre il collettivismo marxista, che non è stato in grado di portare alla maturità industriale nessun Paese. invece del promesso superamento delle rivalità nazionali le ha tutte tragicamente esasperate. Si salva dalla rovina solo il nocciolo riformista della teoria, che non è però di origine marxista. essendo stato elaborato tra l'Ottocento e il Novecento da teorici anglosassoni di orientamento liberale. Secondo John Atkinson Hobson, il più famoso di questi teorici anche per il fatto che venne utilizzato da Lenin, la spinta capitalistica alla conquista di sempre nuovi mercati esterni proveniva dal ritardo progressivo con cui l'accrescimento della capacità di acquisto interna teneva dietro all'aumento della produzione. Questo fenomeno a sua volta derivava, secondo Hobson, dal fatto che la superiorità contrattuale della classe capitalistica le consentiva di farsi nella divisione della torta la parte del leone rispetto alla classe proletaria. In previsione dell'insufficienza del monte salari ad assorbire la maggiore produzione che sarebbe scaturita dai l:aggiori investimenti, consentiti IL LEVIATANO CULTURA I dai maggiori profitti, la classe capitalistica di ogni Paese era costretta perciò a ricercare ali' estero in esclusiva nuovi mercati e nuove possibilità ·di investimenti. Di qui il colonialismo, la rivalità tra le persone per strapparsi a vicenda le colonie, l'imperialismo e il rischio permanente di guerra. Piacque ai marxisti il nesso che questa teoria istituiva tra il bisogno di nuovi mercati e l'espansione coloniale, tra rivalità economica e rivalità politico-militare. Spiacque invece l'interpretazione che ne dava Hobson, secondo il quale il nesso non era né fatale, ne tanto meno destinato a pesare sempre più drasticamente sul comportamento della classe capitalistica. Bastava infatti che questa comprendesse come fosse nel suo stesso interesse promuovere o comunque accettare l'intervento dello Stato a favore della forza contrattuale dei lavoratori. Proporzionata così la crescita della ·capacità d'acquisto popolare a quella della produzione, i nuovi investimenti, ridotti di dimensioni per il ridursi dei profitti, avrebbero trovato in patria un impiego redditizio. Hobson proponeva insomma di spezzare la molla dell' imperialismo col riformismo, argomentando che nel cambio entrambe le classi protagoniste della contesa sociale ci avrebbero guadagnato. I lavoratori, perché avrebbero migliorato le proprie condizioni di vita ben più concretamente e rapidamente di quanto non avrebbero potuto mai fare sottomettendo e predando altri popoli, come cer- , cava di indurli a credere la propaganda degli imperialisti, i capitalisti, perché avrebbero in questo modo vinto la riottosità dei lavoratori, rifacendosi inoltre del costo del riformismo col risparmio nelle spese necessarie a tenere in piedi un apparato burocratico militare a fini imperiali, dispendiosissimo e del tutto improduttivo. Ma chi dunque avrebbe dovuto pagare il costo della trasformazione dell'imperialismo in riformismo? Ebbene. rispondeva Hobson, i ceti aristocratici e borghesi parassitari, che nell'attività coloniale trovavano prebende e impieghi lucrosi. unitamente alla gratificazione della propria volontà di potenza. Con la scomparsa delle colonie e la riduzione dell'esercito, essi per sfuggire all'erosione dei redditi ereditari e alla disoccupazione avrebbero infatti dovuto contentarsi di lavori in subordine assai più faticosi e meno redditizi. Ad analogo destino, anche se Hobson questo esplicitamente non lo disse, sarebbero andati incontro quegli strati di intellettuali senza una competenza precisa e perciò dediti per professione alla rivoluzione in permanenza, i quali, una volta soddisfatta dal riformismo la classe operaia, si sarebbero ritrovati a predicare nel deserto. La premessa del ragionamento di Hobson è dunque quanto di più antimarxista si possa immaginare: esiste una sostanziale convergenza delle classi attive, imprenditoriali, intellettuali o manuali che siano, in favore del progresso produttivo e contro il colonialismoJ /J

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==