per creare ciò che siamo•. Saranno pure iperboli imparaticce degne di un professorino, ma sono cose che dovrebbero farci un pochino pensare oggi, visto che sono state dette e scritte trenta, quaranta anni fa e che sembrano create apposta per la nostra umana condizione di oggi. Ma non basta. Nei Giusti, una opera vituperata, disprezzata, accusata di facile demagogia, e di qualunquismo reazionario, ecco che cosa aveva avuto il coraggio di scrivere, a proposito di certi «rivoluzionari» che antepongono la rivoluzione all'uomo: «Essi metteranno al di sopra della vita umana un'idea astratta, anche se la chiameranno la Storia, alla quale, sottomessi in partenza, decideranno con totale arbitrio, di sottomettere anche gli altri». Ma Camus sa essere ancora più chiaro, come si conviene a un bravo professore: «Il fine giustifica i mezzi? È possibile. Ma che cosa giustificherà il fine? A questa domanda che il pensiero storico lascia irrisolta, la rivolta risponde: i mezzi•. Camus non odia, non condanna nessuno. ma crede nella vita, nell'uomo, nell'arrnonìa del rapporto del piede con la terra; crede, forse risibilmente, certo splendidamente, nell'atto d'amore e nella felicità. •Questo mondo senza amore è come un mondo morto• e noi sappiamo bene che «viene sempre un'ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro e del coraggio, per richiamare il volto di un essere e il cuore meravigliato della tenerezza», perché «se vi è una cosa che si può desiderare sempre e ottenere qualche volta, è la tenerezza umana». Quest'uomo, che nell'atto stesso di ricevere il premio Nobel, a chi gli rimproverava di non aver preso una posizione esplicita e decisa nei confronti della rivoluzione algerina, ha avuto il coraggio (riconosciutogli poi da molti degli stessi algerini), di rispondere ,pubblicamente che ad Algeri c'era sua madre e che fra la Rivoluzione e sua madre, lui sceglieva sua madre. quest'uomo, che in Francia i giovani leggono e discutono con passione in.alterata, da noi è quasi sconosciuto. E non credo soltanto dai giovani. In una recente ristampa, in edizione tascabile, della Peste, il prefatore scriveva: «La morte in un incidente d'auto, a soli quarantasette anni, lo trovò già sistemato nell'Olimpo dei grandi della letteratura (dove era stato consacrato con il Nobel nel '57), già estraneo alla concreta dialettica storica». Una condanna definitiva, come si vede. Del resto è del tutto naturale che una cultura come la nostra, così povera di storia e così piena di «storie» (quelle storie melodrammatiche e truculente che Stendhal ha saputo cogliere così bene nel nostro passato, ma che ci ritroviamo adesso - ormai prive di eroismo e di grandezza - nella cronaca quoti-. diana dei giornali) sia così appiccicosamente e deplorevolmente legata alla dialettica storica. Quella dei fini e non dei mezzi. A questo punto, il!iròaccusato di aver fatto una gran confusione. Di non aver dato di Camus il ritratto che forse i giovani si attendevano, di non aver certo scritto il bravo componimento per celebrarne l'anniversario della morte. Jf ~oa•M1T1ew .,,,e, ..... , ... ~ --L.~J.,& DC LA RESISTANCE A lA HtV 1;~-insurr~ot~on .f Giusta accusa, senza dubbio. Ma debbo confessare che ho agito di proposito. Forse dipende dal fat- 'to che il ricordo di quell'alba di vent'anni fa è ancora vivo in me. E poi, forse, io non sono la persona giusta per questo genere di operazioni. Pensate: quando mi è capitato di vedere alla televisione francese (quella italiana si è ben guardata di accennare all'evento!) una serie di testimonianze di amici e nemici, insieme a brani documentari in cui compariva lo stesso Camus, io. solo nella mia piccola stanza. di fronte a quelle immagini, non mi sono vergognato di piangere. Di commozione. Di «tenerezza umana•. No. Davvero non sono la persona adatta. Io sono uno cui non potrete mai chiedere di che colore sono gli occhi della donna che ama. Amo troppo, per guardare il colore degli occhi. Sento vibrare un diapason invisibile, sento rarmonìa del piede con la terra, leggo la descrizione di due uomini, due amici, che si riposano dalle fatiche della loro lotta contro la «peste• nuotando all'unisono nell'acqua tiepida del porto di una «città assediata», e provo un tuffo al cuore. Proprio come un liceale «innamorato» del suo professorino. Ma, al di là di queste nefandezze, resta la incredibile lezione di Camus, restano i suoi dubbi, che ci aiutano a capire le nostre piccole e grandi verità. E resta il suo senso magico e poetico (checché ne dica Marmori) della parola. Resta il suo stile di scrittore. Che ci aiuta a vivere, proprio con la bellezza (antistorica, per fortuna!) della parola. Delle parole. Franco Valobra la Republique à Paris A?2:~2: ... ,_ ,..,._., ... --~- ~·- .... ----- ,._ ... ......_. ... i. ....... ~-..::~== ·- ......,, __ ......_ ·~~i..•~ IL LEVIATANO TROUPlElUSEESONlTSIXKllOMttRDEES ll CAPITALE EPARHEUR . ,-n 1k J.tte duo la rue Lf ~EUl'I.E EN AIIMU ;: u...........,~r_._i.,.c.,in .,.,,,."""' .......... "' 15
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