Il Leviatano - anno II - n. 8 - 4 marzo 1980

ventenne di un noto esponente di quella sinistra, con cui ho avuto occasione di discorrere, nonostante i suoi studi letterari, aveva letto, a stento, Lo straniero. A questo punto, io mi trovo in un grande imbarazzo. Poiché io sto scrivendo in una rivista di cultura. devo pur presumere che chi la legge, quando dico La Peste o Caligola o I giusti (e tralascio, per carità di patria, Il mito di Sisifo e L'uomo in rivolta) sappia di che parlo. Ma una rivista di cultura, che senso ha, se non spiega, anche, ai giovani ciò che non sanno, ciò che nessuno ha ancora loro detto? E, d'altra parte, come posso, in poche righe, condensare la solare complessità di un autore così importante? Il problema è più grosso di quanto non sembri. Perché non è soltanto per rifare il verso ai «nuovi filosofi» francesi, che fra l'altro mi sono simpatici a metà, se sostengo l'attualità di Camus. Anzi: mi viene il sospetto che questa sua importanza e attualità, venga confermata, a priori e a posteriori, da quell'ostracismo della sinistra di cui parlava il mio giovane amico. Prendiamo, per esempio, una dramma come il Caligola. In apparenza tutto è già stato detto su di esso. Caligola è un uomo, un imperatore, che ha scoperto, all'improvviso, che esiste la morte. Ma se esiste la morte, la vita non ha senso. Il sillogismo, appare perfetto. E lui lo porta alle estreme conseguenze. Per ridare un senso alla vita, vuole che «l'impossibile sia». Vuole «la luna». Cioè, appunto, l'impossibile. E siccome possiede il potere, ne approfitta: umilia e uccide senatori, poeti, amici e nemici, amanti e cortigiani, semina il terrore a caso, senza una logica, senza un perché, soltanto per sovvertire le leggi dell'amore, u ALBERT CAMUS (foto di Cartier Bresson) della testimonianza, della misura: per dimostrare che lui è più potente perfino della morte. A ben guardare è, in qualche modo, il contrapposto (e il corrispettivo) dei terroristi di oggi. C'è, in lui, la stessa disperazione, la stessa «assurda» lucidità, lo stesso metodo nel partire da premesse apparentemente giuste per pervenire non all'ingiustizia, ma alla disumanità. Alla rottura. Caligola però - e qui sta la differenza - conosce la propria abiezione, sa di aver sbagliato, di non aver preso la strada giusta; nel momento in cui il suo servo Elicone non è tornato, come lui sperava, con la luna, il suo castello gli precipita addosso. Gli innocenti (gli imbecilli) preparano il loro trionfo. Caligola cade sotto i loro colpi, consapevole di aver sbagliato, per aver voluto essere fedele alla razionalità dell'assurdo. Caligola si odia. Ma nonostante queste drammatiche differenze, la sua vicenda e la sua psicologia, ci possono forse aiutare a capire ciò che ci appare incomprensibile nella realtà che ci circonda. Un piccolo sforzo di fantasia, che diamine! Ma torniamo al mio difficile compito. Molta gente vi avrebbe parlato - al mio posto - di certe prese di posizioni di Camus, che, allora, lo fecero considerare un reazionario e oggi un profeta, di certe sue denunce contro lo stalinismo, contro i «gulag», di certe sue prese di posizione precise e integerrime contro il crimine dei crimini, l'assassinio degli assassini, la pena di morte. Certi vorrebbero privileggiare, forse, il Camus giornalista e giornalista politico e polemico, colui che ebbe il coraggio di andare controcorrente, lasciandosi alle spalle vecchi amici che andarono ad accrescere le fila degli avversari. Che già allora lo accusavano di essere un «professorino di liceo». Io preferisco invece - senza negare l'importanza di tutto questo - ricordare la sua inconsueta lucidità nel privilegiare l'uomo di fronte alla «dialettica della storia», sui cui altari troppe vittime (uomini, idee, opere d'arte) sono state sacrificate. «Ma chi si dà al tempo della sua vita, alla casa che difende, alla dignità dei vivi, quegli si dà alla terra e ne riceve la messe che di nuovo si fa seme e nutrimento. Infine, fanno avanzare la storia coloro che sanno, al momento opportuno, «rivoltarsi contro di lei» scrive nel Mito di Sisifo. E, ancora: «La rivolta, alle prese con la Storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l'essere che non siamo, dobbiamo vivere e far vivere 4 MARZO /98()

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