INAUlA e onvenienza vo"ebbe che ... MENTRE CRESCE LA CONTEstazione sulla presenza del/'on. Mancini, nella Commissione sul delitto Moro, qualcuno ha rispolverato dagli archivi parlamentari ilprecedente Matta. Era costui un deputato democristiano, designato dal suo gruppo afar parte della commissione antimafia, sebbene ritenuto non idoneo ad indagagare sull'operato della mafia a Palermo, in quanto già assessore ai lavori pubblici ed anche all'urbanistica di quel Comune. Evidenti motivi di convenienza avrebbero dovuto consigliare il Matta ad uscire dalla vicenda, ma ciò non avvenne, nonostante il PCI si fosse unito alla richiesta di dimissioni, ribadendo energicamente il principio che membro inquirente non poteva essere un LEITERE Un sindaco sponsor Caro direttore, la pubblicità è l'anima del commercio, e le forme che assume sono tra le più varie. Una forma poco costosa consiste nel farla promuovere dalle istituzioni. La risonanza è assicurata, e in più non si paga la stampa, la posta, e la sala per la manifestazione pubblicitaria. Mi sono venute in mente queste considerazioni nel leggere l'invito, inviato dal sindaco di Roma petroselli, alla conferenza sul tema «Roma, una voce dell'eciclopedia europea Garzanti•, il 17 gennaio alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, in occasione della pubblicazione del nono volume della suddetta enciclopedia. Non so se il sindaco di Roma abbia in programma manifestazioni del genere ogni qualvolta l'industria editoriale pubblichi qualcosa che contenga qualche informazione su Roma. Se è cosi, sarà impegnato quasi quotidianamente. Se non è cosi, potrebbe cortesemente dirci perché preferisce una casa editrice rispetto alle altre? Non dubito che il sindaco, avvicinandosi la campagna elettorale, vorrà rispondere a questo mio quesito. Giorgio Marini, Roma 2 deputato sospettabile di collegamenti con gli inquisiti. I J!f,rlamenti di tutti i partiti si dimisero. allora dalla commissione per far decadere con loro il discusso collega. Si nominò una nuova commissione: i nomi scelti erano quasi tutti uguali a quelli di prima, escluso /'on. Matta: com'era giusto che fosse. Sperperi di Stato SoNo ALL'ESAME DEL PARlamento due provvedimenti sulla GEPI, finanziaria pubblica di sa/- vantaggio delle aziende in crisi. Il primo consiste in un decreto-legge di 8/ miliardi, che dovranno servire alla GEPI per subentrare alla Italcasse nel consorzio SIR. Come dire che laddove un organismo in qualche misura privato (anche se in passato non certo avaro né insensibile alle esigenze politiche) preferisce ritirarsi, là subentra lo Stato sperperando il danaro pubblico. Il Senato lo ha già approvato, nonostante le consuete opposizioni, e passa quindi Oltre le ritorsioni economiche Egregio direttore, I le sanzioni economiche applicate all'Italia - per l'aggressione alla Etiopia - non ebbero nessuna efficacia sulla gioventù italiana: anzi il fa. scismo sfruttò le sanzioni a proprio uso e profitto. Sono certo che il boicottaggio delle Olimpiadi di Berlino 1936 avrebbe invece aperto gli occhi (costringendoli a pensare) a molti giovani italiani e tedeschi, abbacinati dalla propaganda che tendeva a fare delle vittorie sportive le vittorie del regime. Tutti i regimi totalitari fanno dello sport un possente veicolo di affermazione politica. all'interno ed all'esterno del proprio paese. Basta pensare ai recenti scandali - denunciati ampiamente anche dalla stampa sportiva - sulle donne tedesche orientali «ormonizzate•, sulle centinaia di migliaia di bambine obbligate agli sport massacranti per trovare una qualsiasi Comaneci. la quale a 16anni si sente già vecchia e stanca della vita. Ritengo, pertanto, che le ritorsioni come l'arresto della vendita di grano, l'arresto della vendita di tecnologie specializzate, la rottura di accordi commerciali, la mancata ratifica del Sali 2 pur essendo misure di indubbia efficacia per l'anno 1980. non valgono •tutte insieme• il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca, ai fini di punire l'espansionismo sovietico, di costringere i governanti russi a cambiare rotta e di aprire gli occhi ad una larga alla Camera, dov'è pure in programma il rifinanziamento della stessa GEPI per 360 miliardi. 500 miliardi in più IL SENATO HA COMPLETAmente modificato il decreto-legge sulla finanza locale rispetto alla originaria impostazione governativa. I partiti di sinistra ed alcuni senatori democristiani si sono trovati momentaneamente in maggioranza ed hanno battuto il governo, alleggerendo i controlli previsti sugli atti degli amministratori ed anche le misure di perseguimento di loro eventuali responsabilità. La fretta, dovuta al fatto che i comuni sono in attesa per poter preparare il bilancio di quest'anno, e la confusione causata dalle grosse modifiche apportate rendono ancora !!JIJi,cilevalutare se i limiti finanziari iniziali siano stati rispettati: in Senato si dice di sì, ma «l'Unità» proclama che «si è riu~citi a strappare 500 miliardi in più». g. se. parte della gioventù russa e dei paesi satelliti. Sacharov - e tutti gli altri coraggiosi dissidenti russi - con la sua sofferta esperienza personale questo messaggio ci invia e non raccoglierlo potrebbe essere una nuova grave iattura per l'umanità. Giuseppe Merli, Ancuna Una precisazione Caro direttore. . ti sarei grato se pubblicassi la seguente precisazione. Qualche tempo' fa gli amici socialdemocratici mi pro-- posero di partecipare al comitato promotore di un'associazione politico• culturale, intitolata ad Ignazio Silone, la quale sarebbe stata presieduta da una personalità socialdemocratica di grande prestigio come Aldo Garosci, ma aperta ad esponenti di tutta l'area laico-socialista. Scopo dell'associazione sarebbe stato quello di promuovere un dibattito e un confronto all'interno della suddetta area. Senonché vedo sul n. 72 di •Ragionamenti•. rivista mensile del PSDI, dedicato al XVIII Congresso del partito, che il mio nome figura nella Commissione nazionale per la cultura, scienza ed economica istituita dal Congresso medesimo. Si tratta evidentemente di un errore tipograficoredazionale. Infatti io ho aderito, come intellettuale socialista indipendente, all'associazione (o circolo) Ignazio Silone, e non ad organismi o a commissioni di partito. Giuseppe Bedeschi. Roma 4 MARZO /980
EDITORIALE Se Giolitti • • ci npensa IL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO SOCIAlista dello scorso gennaio si era concluso, come si ricorderà, escludendo ogni formula di governo che non prevedesse la partecipazione dei comunisti: «nessuna subordinata•, s'era dello, al «governo di unità nazionale». Una così drastica presa di posizione avrebbe dovuto servire - nelle intenzioni della sinistra socialista cui inopinatamente s'era accordata la componente gioliltiana e infine, per mantenere il controllo del partito, obtorto collo, lo stesso Craxia porre il congresso democristiano di fronte alla necessità di una scelta precisa: i dirigenti del partito ca11oliconon avrebbe più potuto, secondo le previsioni dei lombardiani, continuare a giocare la carta dei socialisti contro i comunisti e viceversa. Ma era facile prevedere che la DC, di fronte alla scelta secca se portare o no i comunisti al governo in tempi brevi, avrebbe finito - tanto più in una situazione internazionale come l'alluale - per pronunciare un non possumus. La conclusione è dunque, almeno apparentemente, che, dal punto di vista della «governabilità», ci si è cacciati nella situazione peggiore: nessun governo è possibile. Non è possibile un governo delle sinistre, se non altro perché manca di una maggioranza parlamentare. Non è possibile un governo che comprenda DC e PCI: gli appelli che si levano in questi giorni da parte di alcuni affinché la DC, nel proprio Consiglio nazionale, rovesci le decisioni congressuali sono, ovviamente. del tulio irrealistici. Se il PCI non entra nel governo, il PSI - se dovesse seguire il deliberato dell'ultimo Comitato centrale - confermerà di non essere disponibile né ad entrare in un governo né a sostenerne uno dall'esterno. Ma senza il supporto del PSI, la DC e gli altri partiti laici non hanno la forza numerica per governare. Non dovrebbe, a rigor di logica, esserci altra via che quella si un nuovo ricorso ad elezioni politiche anticipate. Solo che - e su questo le previsioni, comprese quelle dei direlli interessati, sono unanimi - da uno scioglimento anticipato del parlamento sarebbe proprio il Partito socialista ad uscire a pezzi. Il PSI è dunque l'arbitro della sopravvivenza della legislatura: e nello stesso tempo è il più interessato a farla sopravvivere. Ne consegue che sperare in un cambiamento di rolla del PSI, rispello alle conclusioni del Comitato centrale, è quanto meno lecito, essendo ragionevole presumere che il PSI non voglia farsi fuori con le proprie mani. Certo, è tutt'altro che agevole per i socialisti rellificare la posizione assunta solo un mese fa. Se così facessero - sia pure a condizioni politiche e programmatiche che ne esaltino il ruolo anziché offuscarlo, come potrebbe accadere se, per esempio, ollenessero la presidenza del Consiglio, che liberali e socialdemocratici insistono ad offrire - rendendosi disponibili a formare una maggioranza che isoli i comunisti all'opposizione, dovrebbero scontare una IL LEVIATANO campagna di denigrazione, un allacco furioso da parte del PCI, dirello principalmente contro di loro: e d'altra parte I' alleggiamento comunista durante tutta l'esperienza di centro-sinistra non lascia dubbi. Né è da trascurare il fatto che, inogni caso, un cambiamento di linea incontrerebbe forti resistenze all'interno del partito, la cui anima massimalista e provincialel'orgoglio d'esser diversi dai socialisti europei - è dura a morire. E tullavia: c'è qualcuno che sappia indicare al Partito socialista una strada praticabile diversa da quella di una partecipazione al governo equamente contrattata con la Democrazia cristiana da un ritrovato "è rinnovato fronte laico? E, per altro verso, appaiono segni che lascino sperare in un ripensamento? Alla prima domanda si è già risposto. Il PSI non è chiamato a scegliere tra governo e opposizione, ma tra governo e scioglimento anticipato del parlamento. · Alla seconda domanda ci sembra di poter rispondere - se non interpretiamo male - positivamente. A determinare l'esito dell'ultimo Comitato centrale del PSI concorse, con un ruolo non marginale, la piccola corrente, composta soprattutto di intellelluali, che si richiama in vario modo ad Antonio Gioli11i.Non è un mistero che gli strateghi di questo gruppo, gliAmato, i Ruffolo, i Cafagna, ebbero l'impressione che si aprisse per il loro leader l'occasione di mediare tra la corrente autonomista e quella lombardiana, arrivate ai ferri corti anche per vicende parapolitiche - come quella dello scandalo dell'ENI -, e la possibilità di conquistare un ruolo che altrimenti le dimensioni della corrente non consentivano. Fu questo gruppo ad aprire le ostilità contro Craxi, tramite due «manifesti» di intelle11uali, fumosi nelle prospe11ivepolitiche ma precisi nelle critiche alla gestione del segretario. Le cose andarono però a finire male. Nel varco aperto dai giolilliani irruppe il fiume del frontismo e del massimalismo lombardiano, che scavalcò e travolse l'esile palluglia. Fu un errore, quello degli amici di Giolilli, di cui presto molti di loro dovellero prendere allo. Ora lo stesso Giolilli, sul «Corriere della sera» di domenica scorsa, sembra correggere il tiro. Commentando le conclusioni del congresso democristiano, che ha sì confermato il «moderatismo» democristiano, ma ha visto il prevalere della «linea politica meno ambigua e più coerente», Giolilli ricorda che la risoluzione conclusiva del Comitato centrale socialista di gennaio auspicava la formazione di un governo di emergenza tra tulle le forze politiche democratiche che per tale governo si fossero dimostrate «disponibili»; e constata però «l'indisponibilità» del PCI. Da ciò fa discendere un invito a «riflellere con molto senso di responsabilità, senza precipitazione, sul modo come soddisfare al tempo stesso il bisogno immediato di governo e la prospelliva di sviluppo democratico a più lungo termine» del Paese. Noi condividiamo ques(allenzione ai problemi di prospelliva, coniugata al senso di responsabilità per il presente; il richiamo sensato del leader di una corrente piccola ma prestigiosa e decisiva per l'equilibrio interno del partito ci fa continuare a sperare che il PSI sappia, per quanto gli compete, evitare che la crisi politica del Paese si aggravi ulteriormente. J
DISSENSO Alekander Solzenicyn: «il PCUS alla conquista del mondo» L'OCCIDENTE HA INIZIATO UN PERICOWSO calcolo errato sul comunismo nel 1918: sin dall'inizio le potenze occidentali hanno mancato nel valutare la minaccia mortale che rappresentava. In quell'epoca, vi fu in Russia una grande unione di tutte le forze-da quelle governative. ai Democratici Costituzionali, alla componente di destra dei socialisti - contro il comunismo. Sebbene i contadini e gli operai non fossero formalmente alleati a questi gruppi, e sebbene non fossero coordinati, migliaia di insurrezioni contadine e decine di rivolte operaie riflettevano l'opposizione delle masse al comunismo. Venne mobilitata un'Armata Rossa con lo sterminio di decine di migliaia di uomini che tentavano di evadere la coscrizione bolscevica. Ma la resistenza nazionale russa al comunismo ricevette uno scarso sostegno delle potenze occidentali. In Occidente circolavano le notizie più rosee sul regime comunista. e la cosiddetta opinione pubblica progressista le riceveva con entusiasmo nonostante il fatto che, già nel 1921, 30 province russe avessero subito genocidi paragonabili a quelli cambogiani. (Quando Lenin era ancora in vita, perirono tanti civili innocenti quanti sotto la dittatura di Hitler, eppure ALEKSANDER SOLZENICYN oggigiorno gli studenti americani. ai cui occhi Hitler appare come il più grande mostro della storia, considerano Lenin grande benefattore della Russia). Le potenze occidentali hanno gareggiato tra loro per dare sostegno economico e diplomatico al regime sovietico, che non avrebbe potuto sopravvivere senza questi aiuti. L'Europa non ha preso in considerazione il fatto che nella regione ucraina e nel bacino del fiume Kuban 6 milioni di persone erano morte di fame. Nel 1941, il mondo ha preso coscienza del vero valore di questo regime tanto propagandato: nonostante la sua superiorità numerica e la sua eccellente artiglieria, dal Baltico al Mar Nero l'Armata Rossa si ritirava. In mille anni di storia russa non si era mai verificata una sconfitta simile. Nei primi mesi di guerra, erano caduti in mano nemica oltre 3 milioni di soldati. e ciò dimostra il desiderio del nostro popolo di sfuggire al comunismo. E l'Occidente avrebbe senza JOSIP V. STALIN altro capito, se solo avesse voluto guardare. Invece, nella sua miopia, ha ritenuto che l'unica grande minaccia per il mondo fosse Hitler, e che la sua scomparsa avrebbe allontanato qualunque pericolo. L'Occidente ha fatto quindi il possibile per aiutare Stalin ad asservire il nazionalismo russo alla causa comunista. Così, durante la li Guerra mondiale, il mondo occidentale non ha difeso la libertà in generale, ma semplicemente la sua libertà. Alla fine della guerra, per comprare l'amicizia di Stalin, l'Occidente ha restituito 1,5milioni di persone che non desideravano tornare sotto la tirannia di Stalin. Tra questi, intere divisioni russe, battaglioni di tartari e caucasici, e centinaia di migliaia di prigionieri di guerra e condannati ai lavori forzati: vecchi, donne e bambini. Stalin è riuscito a raggirare Roosevelt con facilità, assicurandosi senza sforzo il controllo dell'Europa orientale: Yalta ha segnato poi l'inizio di un periodo di 35 anni di sconfitte americane, brevemente interrotto solo a Berlino e in Corea. (Poiché quando c'è stata la volontà di resistere, c'è stata anche una vittoria). Come ho scritto in altre occasioni, tutto il periodo che va dal 1945al 1975può essere considerato come un'altra guerra mondiale perduta dall'Occidente senza neppure una battaglia e in cui sono stati abbandonati al comunismo oltre 20 paesi. Vi sono due motivi che spiegano questa sequela di capitolazioni. Primo, l'impotenza spirituale che deriva dal fatto di vivere una vita di agi; la gente non vuole rischiare di perdere i propri comforts. Secondo in ordine di enunciazione ma non di importanza, è la predominante e totale incomprensione della natura malevola ed inflessibile del comunismo, che è ugualmente pericoloso in ogni paese. L'Occidente ricerca spesso una spiegazione al fenomeno del comunismo del XX secolo in eventuali difetti della nazione russa. 4 MARZO 1980
Questa è una visione decisamente razzista. (Come ci si può allora spiegare la Cina? li Viet Nam? Cuba? L'Etiopia? O George Marchais e i suoi simili?) Si cercano le falle ovunque tranne che nel comunismo in sé. La sua aggressività viene spesso spiegata - per esempio da Averell Harriman - in termini di terrore nazionale di aggressioni straniere; questo per giustificare la costruzione di un enorme arsenale e l'occupazione di altri paesi. I diplomatici occidentali avanzano ipotesi fallaci sul fatto che esistano una «destra» e una «sinistra• all'interno del Politburo; in realtà, tutti i suoi membri sono uniti nella volontà di conquista del mondo. Quindi. se ci sono delle lotte all'interno del Politburo. sono puramente personali. E il cittadino, l'uomo della strada sovietico, sebbene privato di informazioni sul mondo, lo sa bene. Così pure i pastori afghani che invece di credere alla favola che il loro paese è stato invaso semplicemente perché Leonid Breznev era malato, danno alle fiamme i ritratti di Marx e Lenin. Cos'è che incrementa l'espandersi di un tumore maligno? Domanda vana: è semplicemente il fatto che non può comportarsi in modo diverso dalla propria natura. Lo stesso discorso vale per il comunismo: guidato da un istinto malevolo ed irrazionale di dominare il mondo, non può smettere di occupare nuovi territori. li comunismo è qualcosa di nuovo nella teoria del mondo; è pertanto sterile la ricerca di analogie. Tutti gli avvertimenti fatti al mondo occidentale riguardo alla natura spietata ed insaziabile dei regimi comunisti. sono risultati vani perché l'accettazione di una tale realtà sarebbe terrificante. (Non è forse vero che la tragedia afghana è avvenuta in realtà 2 anni fa? Ma l'Occidente. alla ricerca di un 'illusoria distensione, ha chiuso gli occhi). E'stata comune per decenni la pratica di negare la realtà in nome di una «coesistenza pacifica», della «distensione». Nel frattempo, il comunismo fagocitava paese dopo paese. Il fatto più sorprendente è che i comunisti stessi hanno proclamato per anni la loro intenzione di distruggere il mondo borghese (solo ultimamente sono diventati più circospetti). mentre l'Occidente HONG-KONG IL LEVIATANO sorrideva a quello che sembrava semplicemente uno scherzo. Eppure il processo di distruzione di una classe è già stato dimostrato in URSS, così come il metodo di esiliare un'intera popolazione nel giro di 24 ore. Il comunismo può realizzare i suoi «ideali» solo distruggendo il cuore e le fondamenta della vita di una nazione. Chi capisce questo, non potrà credere neppure per un istante che il comunismo cinese sia più «pacifico» di quello sovietico. o che lo sia quello del Maresciallo Tito. Chi capisce la natura del comunismo non si può chiedere se gli aiuti mondiali alla Cambogia giungono a chi muore di fame sotto il regime di Heng Samrin: sa che vengono confiscati per l'esercito ed il governo. Il comunismo ha bisogno della messa in scena della distensione esclusivamente per un fine: guadagnare più forza con aiuti finanziari (debiti che non saranno mai saldati) e tecnologici. prima di lanciarsi nella prossima offensiva su larga scala. li comunismo è più forte e più duraturo del nazismo, la sua azione di propaganda è molto più sofisticata. Il comunismo non può redimersi e costituirà sempre un pericolo mortale per la specie umana. Come un'infezione dell'organismo del mondo, può restare latente per un certo periodo di tempo, ma e~ploderà inevitabilmente con una crisi paralizzante. E inutile illudersi che vi siano nazioni immuni al comunismo: qualunque nazione oggi libera può essere ridotta a soggiogazione completa. Nonostante ciò. vi sono molti «dottori» che forniscono questa rassicurante diagnosi dell'infezione acuta che è il comunismo: «Non è una malattia contagiosa; è un disordine ereditario russo». La terapia consigliata consiste nell'evitare a tutti i costi di urtare il regime di Breznev; e insistono poi nell'affermare che il vero nemico da ostacolare è qualunque manifestazione di coscienza nazionale russa: l'unica forza realisticamente in grado di indebolire il comunismo sovietico dall'interno. Accademici e giornalisti americani sostengono una battaglia sistematica contro il risveglio di una coscienza nazionale russa, valendosi di dati 5
irresponsabili e tendenziosi forniti da neo-emigrati russi. Questo tipo di propaganda è pura follia e serve solo a disarmare l'Occidente. Dopo aver tradito le forze del nazionalismo russo durante la guerra civile russa e nella Il Guerra mondiale, l'Occidente si appresta a tradirle una terza volta. Questo avrà conseguenze disastrose sia per ipopolo russo e le altre popolazioni dell'URSS che per l'Occidente. Oggi la dirigenza comunista con la sua ideologia decrepita, sogna ancora una volta di sellare e tavalcare il nazionalismo russo per conseguire le sue mire imperialistiche. L'Occidente non deve equipaggiare un cavaliere che vuole la sua distruzione. aree del nostro paese, non c'è da mangiare, e l'acquisto di grano americano non migliora la dieta della popolazione (visto che il grano è destinato alle riserve militari). Sono i russi a formare la grande massa di schiavi dello stato sovietico, e ne sono esausti; il loro stato di debilitazione sta diventando ereditario, la loro coscienza nazionale è stata oppressa e soppressa. Il comunismo è nemico e distruttore di qualsiasi entità nazionale. Il movimento americano contro la guerra ha nutrito a lungo la speranza che nçl Viet Nam del nord nazionali- ~È LA GUARDIA ROSSA CHE MARCIA ALLA RISCOSSA ... » Niente ora potrebbe essere più lontano dal cuore del popolo russo di un nazionalismo militante; la idea di un impero li ripugna. Ma il regime comunista sorveglia accuratamente i suoi schiavi e pone particolare attenzione nell'eliminare la loro coscienza anticomunista. Il risultato: campi di lavoro per i sostenitori della libertà (Igor Ogurtsov - 20 anni; Vladimir Osipov - 16 anni; Yuri Orlov- 7 anni di lavori forzati); nuovi arresti di preti (Gleb Yakunin smo e comunismo fossero in armonia, che il comunismo cercasse un'autodeterminazione nazionale del suo amato popolo. Ma la sinistra notta di barche in fuga dal Viet Nam-se anche contassimo solo quelle che non sono affondate - può aver spiegato ai membri meno ardenti del movimento dove risiedeva, e da sempre, la coscienza nazionale. L'amaro tormento di milioni di cambogiani (a cui il mondo si è già abituato) lo dimostra ancor più chiaramente. Prendiamo la Polonia: la nazione ha pregato per qualche giorno con il Papa; solo un cieco potrebbe non vedere la differenza che passa tra popolo e comunismo. Basta considerare i combattenti per la liberazione ungherese, i tedeschi della RDT che continuano a morire nel tentativo di oltrepassare il muro, e i cinesi che si tuffano in acque infestate da pescecani, nella speranza di raggiungere Hong Kong. La Cina riesce meglio degli altri a tenere nascosti i propri segreti: e !"Occidente si affretta a credere che si tratta di comunismo «buono• e «pacifico•. Ma un abisso incolmabile separa il regime cinese dal popolo cinese. Un baratro identico esiste tra comunismo e coscienza nazionale russa. Ci addolora il fatto che !"Occidente confonda le parole •Russia» e «russo» con «URSS» e «sovietico». E'un errore grossolano credere che i russi siano la «nazionalità dominante• in URSS. Al tempo di Lenin, i russi sono stati i primi ad essere colpiti, riportando milioni di vittime. La storia russa è stata dltraggiata; la cultura russa e la sua chiesa distrutte; clero, nobiltà, mercanti e contadini russi. schiacciati. Anche se in seguito il regime ha colpito gli altri gruppi etnici. la campagna russa è quella che ha oggi il livello di vita più basso in URSS. e le città di provincia russe sono all'ultimo posto nell'ordine di distribuzione di beni di consumo. In vaste 6 e Dmitri Dudko); distruzione del Comitato cristiano per la difesa dei diritti dei credenti; continui arresti in massa di giovani cristiani; l'esilio di Andrei Sacharov. In attesa della lii Guerra mondiale l'Occidente si mette al riparo e si dichiara alleato alla Cina! È un altro tradimento, non solo di Taiwan, ma di tutto il popolo oppresso cinese. Inoltre. è una politica folle e suicida: avendo fornito armi americane alle Cina. l'Occidente potrà sconfiggere !"URSS; ma nessuno potrà poi arrestare la Cina1 comunista nella sua marcia per la conquista del mondo. Il comunismo si ferma soltanto se incontra un muro. anche se si tratta di un muro di risoluzione. L"Occidente non può evitare di erigere un tale muro in questa ora estrema. Intanto. dalla II Guerra mondiale ad oggi. 20 possibili alleati sono caduti sotto il regime comunista. Il muro dovrà essere costruito con la poca forza che resta. Ma c"è ancora una speranza. Tutti i popoli oppressi sono schierati con !"Occidente: i russi e gli altri gruppi etnici dell"URSS, i cinesi. i cubani. La strategia occidentale può avere successo solo se si basa su queste alleanze. L'Occidente potrà diventare la forza decisiva mondiale solo insieme agli oppressi, solo se vuole sostenere la libertà del mondo oltre che la propria. Ovviamente questa strategia comporta una serie di cambiamenti concettuali radicali e la rielaborazione di tattiche da parte di politici, diplomatici e militari occidentali. Cinque anni fa. l'America ufficiale ha ignorato i miei avvertimenti. I vostri leader sono liheri di ignorare anche le mie previsioni attuali. Ma si avvereranno anche queste. Aleksandr Solzenicyn (L·articoloche precede è tratto da •Time•. La traduzione è della redazionedell"•Umanità») 4 MARZO 1980
INTERNI TERRORISMO Troppe indulgenze della classe politica e ,. E QUALCOSADI STRANO,EQUIVOCOE F ALso nella risposta che gran parte della classe politica italiana sta dando al terrorismo. Fra le varie formule rituali di deprecazione e di sdegno con cui da anni essa si è ridotta a commentare le imprese sempre più sanguinose e ardite di questo, affiorano come casualmente concetti che sembrerebbero contenere una nozione più realistica e accettabile della sua natura e dei modi per combatterlo. Si giunge a dire che questa è una guerra e che dovremmo regolarci di conseguenza. Si allude a radici internazionali che alimentano il terrorismo italiano. Si invocano misure finalmente adeguate, ecc. ecc. Ma non c'è nessuna coerenza fra queste proclamazioni limite che sembrerebbero indicare la volontà o la velleità di •andare fino in fondo• e la conduzione politica reale della lotta contro il terrorismo. Perché? La spiegazione più plausibile è che passare dalle parole ai fatti su questa linea significherebbe affondare il coltello in un intrico di indulgenze, ricatti reciproci, connivenze e doppi giochi in cui importanti anche se non folte sezioni dei gruppi dirigenti di molti partiti, dell'apparato statale e forse anche della classe dirigente non politica si sono irretite. Qualche tempo fa nel comunicato conclusivo di un incontro fra Zaccagnini e Berlinguer si diceva che i due si erano trovati d'accordo nel ritenere che il terrorismo italiano avesse radici internazionali. Si voleva dire che si erano limitati a scambiarsi questa banalità, senza altre specificazioni, magari uno pensando alla CIA e l'altro al KGB (o a niente)? O si voleva dire che si erano scambiati dati, indicazioni e rivelazioni precise? Un accenno del genere su materia cosl vitale non poteva essere lasciato passare come una frase qualsiasi senza chiarimenti e impegni in sede parlamentare. Invece nessuno se n'è dato per inteso. Forse perché si aveva paura di denunciare tracce non troppo gradite a uno dei due interlocutori? O perché uno dei maggiori indiziati. anzi responsabili confessi dell'addestramento e del finanziamento del terrorismo è anche cospicuo azionista della massima azienda privata italiana, i cui interessi per una ragione o per un'altra sono tenuti d'occhio da tutti i potenti? E si possono fare molti altri esempi e porre molte altre domande. Quando Taviani molti anni dopo che le cellule del terrorismo rosso erano già vive e operanti e dopo il rapporto Mazza dichiarava che in Italia c'era solo l'eversione di destra. sviando per altri anni le indagini e le relazioni. era male informato (e da chi?), o aveva un partito preso ideologico che doveva nefastamente anchilosare la risposta all'eversione leninista, o, peggio ancora, sapeva, taceva e mentiva per facilitare i rapporti di buon vicinato e anzi di cooperazione informale clandestina (nelle commissioni parlamentari) che il suo partito già aveva intrecciato con il PCI? In ogni caso chi mai lo ha chiamato o si propone di chiamarlo a dare spiegazioni sul tempo che ha fatto perdere e i ·guasti che ha provocato? Ancora: se è vero che •i rapporti politici• fra numerosi magistrati e gruppi che già allora non facevano misteri di progetti sovversivi e terroristici erano noti ad altri più alti magistrati da cinque a sei anni, perché mai non sono stati denunziati in tempo, e perché procedimenti disciplinari contro i responsabili non sono stati richiesti, e chi e che cosa dentro la magistratura e fuori di essa ne ha sconsigliato e IL 4 AGOSTO UNA BOMBA ESPLODE SUL TRENO «ITALICUS•: 12MORTI, 58 FERITI IL LEVIATANO 7
scoraggiato l'avvio? E quali conflitti interni della magistratura e quali influenze esterne ad essa hanno indotto ad affidare a magistrati inquinati e inquinanti indagini vitali per la sicurezza del paese? Ancora: perché la Fiat ha mascherato bugiardamento lo stato di paraterrorismo sindacale endemico in cui da anni si viveva nelle sue fabbriche. fino al momento in cui ha rischiato l'ammutinamento dei suoi quadri intermedi, in cui la neutralità del PCI verso la sua denuncia era diventata sicura, e in cui doveva spiegare i colossali insuccessi concorrenziali nel settore dell'auto che l'hanno portata in queste settimane a presentarsi in veste di postulante di 1500 miliardi dello Stato? Chi voleva compiacere e chi sperava di tenersi buoni? Infine (ma non che il dossier finisca qui): che l'on. Mancini avesse fatto dell'ostentata familiarità con una quantità di paraterroristi e di propagandisti professionali della sovversione una specie di scelta di vita era, entro certi limiti, affar suo; ma che cosa, stant~questi precedenti, ha indotto i suoi compagni di partito a inserirlo nella commissione parlamentare che doveva indagare, fra l'altro, su questi signori? Ciascuno di questi fatti denuncia incongruenze, fiacchezze, negligenze, leggerezze, acquiescenze, indulgenze troppo evidenti e gravide di effetti malefici per poter essere ignorate. Anche se fossero tutte casuali comporrebbero il quadro di una classe dirigente paurosamente inetta dinanzi all'offensiva e all'iniziativa del terrorismo. Anche se fossero tutte casuali avremmo a che fare con uno stato maggiore privo di una strategia tempestiva efficace e coerente, incapace di dare uno sbocco risolutivo ai successi tattici non trascurabili che le sue truppe pur conseguono e ai sacrifici che sostengono nella lotta contro la sovversione armata. Ma casuali non sono. E neppure sono l'effetto del ricatto ideologico che su queste frazioni della classe dirigente ha esercitato la pressione dei chierici e dei maftres à penser, l'indottrinamento degli intellettuali, ben decisi per un decennio non solo a coprire e giustificare ma a legittimare la violenza come un fatto progressivo. Anche quest'orgia intellettuale non sarebbe stata così estesa e distruttiva se si fosse avvertito un altro atteggiamento in chi aveva in mano il potere politico. economico, ecc. «Il Corriere della Sera» non sarebbe stato quello che è stato per due e tre anni se non fosse stata la proprietà stessa a spingerlo su questa via. La verità è che negli infernali anni settanta troppe frazioni delle classi dirigenti invece di immaginare progettare costruire politiche e istituzioni capaci di imbrigliare gli enormi conflitti esplosi nel Paese entro ferme regole del gioco, hanno dedicato il meglio delle proprie energie a escogitare congiure di aggiustamento interno, usando (o credendo di usare) in quest'opera persino le frange più torbide e pericolose che emergevano e si formavano ai margini di quei conflitti. Da una parte c'erano dei gruppi risolutissimi a distruggere il sistema democratico. Dall'altra c'era troppa gente importante che lo sapeva e faceva finta di non vedere e ometteva le reazioni che le sue funzioni avrebbero richiesto, nel calcolo che l'opera di essi favorisse questa o quell'altra sua trama sottile. inguaiasse questo o quello dei suoi avversari, facesse «esplodere» questa o quella «contraddizione». e via esemplificando. Il supergarantismo di tanta gente a sinistra puzza di complicità. certamente. Ma non si può rifiutare credibilità a uno degli argomenti che (ambiguamente del resto come i fatti impongono e il costume nazionale della politica cospiratoria richiede) circolano entro questo super8 garantismo. Ossia che gli eversori che si prendono sono quelli che non hanno più nessuna copertura politica e che non servono più a nessuno. La inconcludenza strategica, il senso miserando di impotenza che la nostra classe dirigente mostra tuttora nella lotta contro il terrori~mo ha origini certo anche nella falsa coscienza culturale con cui essa ha assistito ai suoi incunaboli e alla sua crescita. Quando il pur onestissimo Pertini da un lato parla (in Italia) di lotta a un nuovo fascismo e dall'altra allude (in Germania) alle matrici internazionali orientali del terrorismo italiano abbiamo un 'idea della dimensione schizofrenica di questa falsa coscienza culturale. Ma non è essa ormai il principale fattore di paralisi. È il fatto che su questo come su altri fronti la nostra classe dirigente ha troppi scheletri neirarmadio difficilissimi da tirar fuori, è troppo irretita in un sistema di ricatti reciproci, ha avuto troppi ambigui rapporti col nemico per poter condurre seriamente ed efficacemente quella che essa stessa. con la sua retorica, chiama una guerra. Troppi rapporti ed equilibri interni di essa sono inquinati da accordi e complicità clandestine e da faide clandestine secondo linee e logiche diverse da quelle che i suoi vari gruppi presentano all'opinione pubblica e all'elettorato. Per tanto tempo questo reticolo è stato solo un potente fattore di disgregazione e di corruttela. Con i tempi che corrono. e con le sfide interne e internazionali che stanno maturando. esso sta diventando rapidamente un vero e proprio tradimento del paese. Ed in guerra (appunto) non ci si può permettere di avere annidati e occultati negli alti comandi elementi così compromessi da essere capaci di tutto pur di salvarsi. GiuseppeAre IL CONGRESSO DEMOCRISTIANO 4 MARZO 1980
DEMOCRISTIANI Smith, Colajanni e Zaccagnini GwNTO A PAGINA 10s DELLA SUA RELAZIONE al congresso della democrazia cristiana, l'onesto Zac ha un tentennamento, un dubbio che partecipa a tutta l'assemblea: «Dobbiamo chiederci perché tutte queste forze così vive, così operose, così altruiste, non trovano il modo di procedere unitariamente verso traguardi morali e materiali• comuni. È vero, dobbiamo chiedercelo. Eppure che tutte queste energie, questa «fantasia creatrice della nostra provincia• non trovino il modo di incanalarsi in un sano sviluppo non dovrebbe essere incomprensibile. Soprattutto dopo la lettura delle 104pagine precedenti, in cui abbiamo scoperto una DC «proprio brava» con dentro tutte le cose giuste che anche 111l1iberale chiederebbe per l'economia. Unite però a quello che bisogna dire a un cattolico di quelli tosti perché non si metta a piangere. In particolare. una serie di proposre appPna avanZatf' non deriva. sia <·hiaro.,dal desiderio di ritomare all'a11ticu liberalismo» (pag. 25) anche perché il «decadimento attuale» non dipende solo dalla «debolezza della grande borghesia imprenditoria/e• ma anche «dalla inadeguatezza dello Stato di diritto, IL LEVIATANO dalla sua incapacità di evitare gli abusi, e le ingiustizie, il greve mercato affaristico fra pubblico e privato• (cosa, quest'ultima, di cui i democristiani hanno lunga e profonda esperienza). Ma questo è nie11te: c'è proprio del marcio nel passato, nei modelli «classici». Ce lo rivelano, «da un lato il fallimento del tentativo neoliberista in Francia, e dall'altro l'imperversare del 'inflazione in tutti i Paesi ad economia socialista•. Gli opposti estremismi, insomma. Ma oltre a queste, che con molto fair play potremmo considerare formule di stile, la gran parte delle affermazioni di Zac è di tono diverso. Ta1110diverso, dicevamo, da levare I' e11111siasmaol povero osservatore che nelle pagine della relazione fosse andato a cercare (magari con spirito un po' fazioso) la teorizzazione politica del quotidiano agire democristiano in campo economico. L'osservatore non molto attento, non abituato e neanche i11tenzionatoa spaccare il capello in quattro, potrebbe essere disorientato, leggendo uno Zac pieno di attenzione per l'efficienza della spesa pubblica. per la ridefinizione dei settori di intervento dello Stato, il miglioramento dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro, la produttività delle grandi imprese. Per dare 1111 po' di conforto al nostro osservatore disorientato (che, comunque, farebbe bene a leggersi tutta la relazione di Zac, esperienza affascinante e utile) conviene ricordare quattro cose. La prima è che Zac parla di •problemi» e tace le «responsabilità•. Basta un decimo della memoria con cui si considera la coerenza dei comunisti rispetto al loro passato, per ricordare che i •problemi» su cui Zac ha una posizione «vagamente liberale» sono il risultato di scelte non liberali, antiliberali della DC. La seconda è che a grattare un ce111imetrosotto le dichiarazioni di principio c'è il vuoto. E non si dica che comunque si tratta di scelte importanti. Dire quello che dice Zac, oggi, non costa niente: il riflusso è nell'aria, basta ritagliare proposizioni e analisi 11011 da Zanone, ma da Lama o Colajanni. Ciò che costa ancora caro è riempire gli scatoloni vuoti con dati precisi sui costi immediati che certe scelte di risanamento comportano. Cosa che la DC non fa. La terza è che Zac ce l'ha con lo Stato di diritto, e si vede. Perché 11011 è 1111 sofisma ricordare che il vero problema per l'economia, a questo punto, 1101s1ono ramo le opzioni sugli obiettivi, qua1110quelle su alcune regole di funzionamento, impersonali e indipendenti dalle tendenze giomaliere del mercato politico. Se 1111fa0 l'elogio del 'efficienza ma sta male a sentir parlare di mercato e Stato di diritto, /'efficienza può proprio tenersela. La quarta è un'osservazione spe_ro11011oziosa, anzi mi auguro pertinente e uri/e. E questa: il disagio provato dal nostro ipotetico osservatore poco esperto di programmi di partito nel constatare che «grosso modo» il programma di Zac è 111e1lenco di richieste «liberali» (se ci fermiamo, ovviamente, al programma, non alla proposta politica per realizzarlo: qui le contraddizioni vengono a galla) dovrebbe far meditare, pitì che sulla DC, sui «liberali», sui laici tanto desiderosi di affermare la differenza fra loro e la DC. Non è certo 1111 discorso da relegare a una battuta· finale, ma mi pare che spesso il timore di «chiedere l'impossibile», un certo qual «ministerialismo» che porta a farsi carico di responsabilità non proprie, faccia perdere incisività alla linea, senza portare a sostanziali guadagni eleuorali. Anche perché, vinca o perda l'onesto Zaccagnini, del «possibile» si occupa .<iiàampiamente la DC. Silvio Bencini 9
COMPROMESSO Chiaromonte insiste L , . EDITORIALE PUBBLICATO DALL'«UNITA• del 24 febbraio (La DC si è assunta una pesante responsabilità), con cui l'on. Chiaromonte ha espresso il giudizio ufficiale del Partito comunista sui risultati del Congresso democristiano, merita qualche commento. In questo editoriale risultano confermati, infatti, alcuni dei più gravi motivi di perplessità formulati da varie parti {non necessariamente •conservatrici•: basti pensare ai socialisti) sulla politica del •compromesso storico•. Tralasciamo pure gli argomenti, per chiamarli così, che l'on. Chiaromonte oppone al rifiuto della maggioranza democristiana di accettare i comunisti nel governo. •Si è arrivati a dire - scrive l'esponente comunista - che (... ) andare a un governo di emergenza contribuirebbe a determinare un aggravamento della situazione internazionale•. Ma questo è un fatto indubitabile, poiché una attenuazione della solidarietà dell'Italia con gli Stati Uniti e una sua posizione neutralistica, come richiesto dai comunisti, introdurrebbe un importante elemento di novità e di cambiamento nel quadro internazionale, che ne uscirebbe fortemente destabilizzato. A favore di chi, m;m è difficile immaginare. •Si è detto anche - prosegue l'on. Chiaromonte - che non è possibile giungere a un governo di emergenza se prima i comunisti non abbiano chiarito bene cosa intendano dire quando parlano della necessità di introdurre "elementi di socialismo" nella nostra società in crisi•. Anche questa, però, non sembra una pretesa irragionevole, bensì un'esigenza ragionevolissima: negli ultimi anni, infatti, il Partito comunista ha espresso, accanto a una linea •riformistica• o •riformatrice• {anche se spesso assai imprecisa, anzi nebulosa nei contenuti), un'altra linea, ispirata al •superamento• del capitalismo (e quindi ispirata non alla •riforma• del sistema, bensì alla sua soppressione). Chi non ricorda le farneticazioni {non troviamo parola più adatta) di Berlinguer nell'agosto scorso, quando proclamava la necessità di un passaggio in tempi brevi da una società fondata sul valore di scambio a una società fondata, nientemeno, sul valore d'uso? Ma non vogliamo indugiare in polemiche sapute e risapute. e veniamo agli aspelli più interessanti e più istruttivi dell'articolo di Chiaromonte. n quale prospetta uno schema esplicativo della situazione italiana in questi termini: la nostra società attraversa una grave crisi {non solo materiale, ma anche morale e politica): per far fronte a questa crisi occorre l'unità di tuttte le forze •democratiche• (e in primis dei due partiti più grandi: democristiani e comunisti); ciò purtroppo non è possibile realizzare, perché il gruppo dirigente democristiano è afflitto da un patologico •complesso del potere•, anzi da una •arroganza del potere». Finché questo •complesso» non verrà curato e guarito, non ci sarà superamento della crisi italiana. Quello che più colpisce in questo schema interpretativo è, oltre al suo semplicismo, una evidente insensibilità per il corretto funzionamento di un sistema democratico. IO Semplicismo, abbiamo detto. E infatti l'on. Chiaromonte, ripensando la vicenda politica degli ultimi trent'anni, a un certo punto scrive: •Il potere della DC è stato costruito anzi sulla divisione del popolo: e questo è forse l'aspetto più grave della politica che, dal 1948 in poi, ha condotto questo partito. Manca sempre, in tutti i dirigenti della DC, qualsiasi accenno autocritico su questo aspetto, che è parte fondamentale del modo come essi hanno governato l'Italia,.. Si tratta di un'affermazione che lascia sconcertati (e certo assai singolare per un marxista): la distinzione fra maggioranza e opposizione che ha caratterizzato la vita politica italiana degli ultimi decenni. non sarebbe il risultato di una contrapposizione sociale, ideale e politica fra due schieramenti profondamente diversi, bensì sarebbe il frutto abnorme di una artificiosa •divisione del popolo• perseguita e imposta dalla •arroganza del potere• del gruppo dirigente democristiano! Emerge qui l'aspetto più inquietante e pericoloso della posizione comunista. Il gruppo dirigente di questo partito dà infatti spesso l'impressione di voler utilizzare l'emergenza per far passare una soluzione che andrebbe assai al di là della durata dell'emergenza medesima: un accordo e un'alleanza a tutti i livelli (dai consigli comunali dei più piccoli paesi al governo centrale, dagli enti pubblici più piccoli a quelli di più grandi dimensioni) fra democristiani e comunisti. Ma questa non sarebbe una democrazia vitale e funzionante, bensì una partitocrazia {di due partiti) e un regime. Sarebbe inoltre un sistema politico che morti- ·ficherebbe le forze laiche intermedie, e nel quale l'opposizione verrebbe •regalata» ai gruppi più estremistici e avventuristici della sinistra extraparlamentare, con effetti destabilizzanti di grande portata. Questo a noi sembra uno dei pericoli più gravi della situazione italiana. Che la maggioranza del congresso democristiano abbia respinto questa soluzione è certo un fatto positivo. Ma è inquietante che il 40% della DC si riconosca ormai nella linea solidaristico-integralistica portata avanti con forza e decisione dal Partito comunista. Giuseppe Betkschi GERARDO CHIAROMONTE 4 MARZO /98()
ESTERI CANADA Accumulano a Montreal, investono a New York LE CONTRADDIZIONI ECONOMICHE E POLITIche del Canada, tornate improvvisamente all'attenzione internazionale in occasione delle recenti elezioni che hanno visto il ritorno trionfale al potere del liberale Trudeau, sono contraddizioni palesemente di un Paese in crescita. ancora in parte alla ricerca di un suo equilibrio economico-sociale, di una sua precisa identità nazionale, di una sua cultura originale e di una sua collocazione internazionale non esclusivamente modellata su quella del vicino colosso americano, ma di un Paese nello stesso tempo profondamente intenzionato a superare questa situazione. Qui si colloca uno dei principali punti critici della storia del Canada come nazione. Il fatto di essere passato da una situazione di semidipendenza nei confronti della Gran Bretagna e della tradizione dell'Impero, prolungatasi fino ai primi anni di questo dopoguerra, a una situazione simile, anche se ovviamente non formalizzata, nei confronti degli Stati Uniti. Questo ha determinalo nell'intellighenzia ca- ·nadese, e in parte anche nella classe politica, un senso di insicurezza, di mancanza di identità che ha influito profondamente e durevolmente nella vita IL LEVIATANO pubblica del Paese. Un esame anche sommario delle sue caratteristiche essenziali conferma questa diagnosi. Il Canada risulta infatti diviso sia etnicamente, sia economicamente, sia politicamente in grandi unità omogenee al loro interno, ma di difficile assimilazione e coordinamento tra loro. Le province occidentali prevalentemente anglofone e conservatrici, le province orientali prevalentemente francofone e liberali. Le grandi province agricole e delle praterie da una parte (Manitoba, Alberta e Saskatchewan), le province industriali (Quebec e Ontario) dall'altra. Gli enormi agglomerati urbani in continua espansione, dove si concentra la maggior parte della popolazione di nuovo insediamento (Montreal e Toronto), gli immensi spazi liberi e deserti del Nord Ovest, custodi di immense ricchezze naturali dalla cui utilizzazione più o meno equilibrata dipende il futuro non solo del Paese, ma anche di molti altri partner commerciali del Canada. Una popolazione in rapidissima e continua espansione per le condizioni favorevoli dell'economia e le potenzialità del Paese di sostenere una popolazione anche molto superiore, ma un numero di abitanti ancora oggi nettamente inferiore alle necessità demografiche oggettive per uno sviluppo più rapido, ma nello stesso tempo più equilibrato. Con 23 milioni di abitanti (e quindi un decimo della popolazione USA) il Canada si trova invece un territorio notevolmente più vasto di quello statunitense; e sono evidenti gli scompensi economici e sociali che possono determinarsi per la vicinanza di due zone a così diversa intensità demografica. Anche sul piano economico le contraddizioni e le difficoltà non mancano, legate proprio all'immensità delle risorse da amministrare e alla sproporzione Il
PIERRE TRUDEAU esistente tra risorse e popolazione. Con un prodotto lordo quadruplicato tra il 1960e il 1975e un livello di consumi raddoppiato per lo stesso periodo, il Canada non è tuttavia ancora riuscito a risolvere i principali problemi strutturali della sua economia, come si è visto, per esempio, durante la crisi recessiva prima della fine degli anni cinquanta, poi recentemente nel 1974-75 e di nuovo in questi ultimi mesi. Ridotto all'osso il paradosso dell'economia canadese risulta questo: il 70% del commercio estero avviene con gli Stati Uniti ed è un commercio di materie prime, che tornano poi in parte nel Paese sotto forma di prodotti finiti. La classe imprenditoriale canadese preferisce operare nel settore bancario-commerciale e reinvestire i suoi profitti (6 miliardi investiti) negli Stati Uniti perché più remunerativi; al contrario, il capitale americano controlla (con 50 miliardi di dollari di investimenti) circa la metà del settore industriale e minerario canadese, e in particolare tutti i settori a più elevata tecnologia. IL 50% delle esportazioni canadesi negli USA è costituito quindi da materie prime e questo rende il rapporto tra i due Paesi simile, sotto certi aspetti, a quello che lega gli Stati Uniti a molti Paesi del Terzo mondo. L'economia canadese risulta pertanto estremamente, e a volte pericolosamente, sensibile alle fluttuazioni economiche del vicino americano; appunto dalle perduranti difficoltà dell'economia americana derivano le attuali battute d'arresto registrate in alcuni settori della stessa economia canadese. Questi stessi problemi si ritrovano poi, forse au- · mentali, sul piano della cultura, dell'informazione e, in generale, del costume. Se il Quebec risulta protetto da leggi speciali per tutelare la cultura e la lingua francese (al punto che la tendenza separatista è oggi in continuo declino), il resto del Paese vive invece l'onnipresenza e onnipotenza statunitense con un misto di irritazione e ammirazione, invidia e rassegnazione, sempre combattuto tra la tentazione di 12 identificarsi con il v1cmo fratello maggiore, e la ricerca di autonomia e identità. Queste difficoltà e lacerazioni non hanno portato il Canada a crisi drammatiche, anche perché i principali protagonisti della scena politica, il partito conservatore e quello liberale, non risultano divisi da contraddizioni di principio insanabili, ma nascono entrambi da una stessa tradizione ideale. Il Canada di oggi è però indubbiamente figlio dell'opera politica del leader liberale Pierre Trudeau, al potere dal 1968 fino alle elezioni del maggio dell'anno scorso. In questi anni Trudeau ha guidato il Paese a una serie di traguardi di notevole importanza. Ha ridotto i pericoli di una secessione del Quebec, ha portato avanti una grande· riforma costituzionale e amministrativa, ha perseguito una più equa e moderna politica fiscale, ha cercato di regolarizzare e disciplinare la scottante materia degli investimenti esteri, ha corretto infine la politica estera dei predecessori di completa identificazione con gli USA (in particolare per il Vietnam). Trudeau è caduto meno di un anno fa sul problema dell'inflazione e della disoccupazione, legate entrambe, come s'è detto, alle caratteristiche strutturali dell'economia canadese. Sostituito Trudeau con il leader conservatore Clark, i problemi sono però rimasti tutti identici e irrisolti; e quando il nuovo premier ha presentato il 13 dicembre il bilancio di previsione per il 1980, con una serie di inasprimenti fiscali e di misure restrittive, il suo governo è immediatamente caduto e si sono rese necessarie nuove elezioni. Al leader conservatore non sono risultate sufficienti le simpatie raccolte dal governo durante la crisi iraniana, che ha visto i diplomatici canadesi sottrarre alla prigionia un certo numero di cittadini americani. Le province del sud. in particolare l'Ontario. che sono quelle che decidono le elezioni (dal momento che le province orientali sono tutte liberali, quelle occidentali conservatrici e che il sistema del collegio uninominale favorisce questa rigida contrapposizione), hanno votato in modo massiccio per Trudeau, ridando così al partito liberale la maggioranza assoluta, con 146 seggi su 282. Notevole successo ha registrato anche il partito Neodemocratico, di tendenza socialista, forte nella zona di Toronto, nei movimenti cooperativi delle zone agricole e nella nuova sinistra, partito che viene indicato come uno dei possibili protagonisti del futuro politico canadese. L'elemento decisivo delle elezioni è risultato probabilmente quello che aveva invece negli anni passati creato delle difficoltà al leader liberale: la sua fermezza, la sua intransigenza, la sua politica di rafforzamento dello Stato e di affermazione del ruolo del Canada come identità nazionale. Sono tempi incerti dappertutto e il carisma è merce rara, così come la sicurezza nelle capacità di una guida politica. A Trudeau è stato sufficiente partecipare alle elezioni per vincerle; non ha dovuto neppure spendere troppe parole o impegnarsi in eccessive promesse: la gente lo ha votato così come si firma una polizza di assicurazione: contro il rischio di pericoli maggiori. Qualcuno, commentando i risultati e il suo fascino sempre vivo, anche se invecchiato, ha paragonato Trudeau a un Nasser canadese; forse più che con Nasser il parallelo andrebbe fatto con il maresciallo Tito, anche lui come Trudeau duro e fervido interprete e garante dell'unità di un Paese ancora alla ricerca di una sua identità nazionale. Aldo G. Ricci 4 MARZO /980
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