un'eventuale riforma costituzionale. Quando, qualche mese fa, un noto uomo politico osò parlarne e alcuni politologi ripresero l'argomento, ci furono molti consensi ipocriti mescolati a gratuite insinuazioni circa improbabili attentati alla nostra democrazia. Come spesso avviene in Italia, dopo aver sollevato molta polvere, i riformatori o lasciarono perdere l'argomento o versarono sul loro vino tanta di quell'acqua da renderlo del tutto inappetibile. Tuttavia, nonostante le scomuniche e gli esorcismi, l'argomento torna ad affacciarsi, anche perché la paralisi del sistema politico è arrivata a un punto tale da fare ormai temere la cancrena e la morte. A scendere in campo è stavolta un democristiano, il leader doroteo Bisaglia, che ha proposto non una riforma della Costituzione, ma una più semplice modifica del sistema elettorale, che dovrebbe prevedere un premio di maggioranza (con particolari vantaggi per i minori) per quei partiti politici che, presentandosi apparentati e con un programma coANTONIO BISAGLIA mune, riuscissero a conseguire almeno il 51per cento dei voti. Il ragionamento di Bisaglia è ineccepibile: «nelle democrazie occidentali-egli dice sul "Corriere" del 12 febbraio - la gente sa quasi sempre a che cosa servirà davvero il suo voto; quale maggioranza e Quale 11.ovemopotrà determinare: in una parola. col voto sceglie il tipo di sviluppo che desidera e quello che respinge». In Italia, invece, gli elettori firmano una cambiale in bianco ai partiti, che poi se ne servono per i loro defatiganti giochi di potere. Il risultato è «una sorta di democrazia consociativa, nella quale ciascuna forza politica dovrebbe rinunciare ad essere coerente con se stessa». Sappiamo benissimo che la proposta Bisaglia non avrà migliore fortuna delle precedenti: la proporzionale, nonostante tutti i guasti che produce, è un tabù intoccabile, perché serve magnificamente a coprire troppi equivoci e troppi interessi di bottega. Ascolteremo, perciò, ancora una volta, i soliti pretestuosi argomenti con i quali si arriva alla solita squallida conclusione: lasciamo tutto così com'è, ricorrendo magari a una nuova inutile consultazione elettorale. In nome di una superdemocrazia puramente teorica, rinunciamo a quei miglioramenti che potrebbero farla concretamente funzionare. In questo modo, partiti e uomini politici sperano di sfuggire alla stretta angosciosa della realtà, ma questa resta in tutta la sua durezza. p.b. B SCUOLA Organi delegati, o assemblee? ORMAI DA MOLTI ANNI LA LEGISLAZIONE ITAiiana procede, in tutti i settori, per accumulo e sovrapposizioni: il vecchio continua a convivere faticosamente col nuovo, in un inestricabile ginepraio di norme, che hanno, come unico risultato, quello di soffocare ogni spontanea vitalità della società civile La legislazione scolastica è, a tal proposito, malauguratamente esemplare: nessuna riforma organica, ma un inseguirsi continuo di provvedimenti-tampone, sovente demagogici, quasi sempre portatori di ulteriore confusione. Quando, nel 1974, vennero varati i decreti delegati che, su un corpo quasi paralitico per elefantiasi burocratica e accentratrice, innestavano strutture e istituti di partecipazione democratica, furono ben pochi quelli che compresero come una simile riforma avrebbe avuto necessariamente le gambe corte, dal momento che si pretendeva di conciliare quello che è oggettivamente inconciliabile: l'autogoverno della scuola con l'integrale mantenimento del vecchio apparato burocratico. Che la riforma non potesse funzionare lo si capì nel giro di pochi mesi: genitori e studenti ebbero la sgradevole impressione di essere stati ingannati, mentre i professori si trovarono presi in mezzo fra le tradizionali imposizioni dell'autorità scolastica e le nuove pressioni delle famiglie non sempre preparate a comprendere gli specifici problemi de/l'azione educativa. Il ministro avrà pure il torto di non aver approntato un organico piano di riforma, ma alcuni partiti hanno quello, assai più grave, di aver prestato attenzione a questo problema solo quando si sono accorti che un certo settore della società civilestava solosfuggendodi mano, mentre la Democrazia cristiana e taluni gruppi cattolici recuperavano vistosamente un'influenza che sembrava in gran parte compromessa. Chi ha vissuto direttamente l'esperienza nonfelice di questa prima forma di democrazia scolastica, conosce bene la disinformazione e l'indifferenza delle forze politiche circa i problemi che gli toccava 26 FEBBRAIO /980
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