OPINIONI OLIMPIADI A Mosca, si~ ' pero ... PENSO CHE PORRECONDIZIONI POLITICHE AL governo dell'URSS per lo svolgimento delle Olimpiadi 1980 sia un errore. Penso. tuttavia, che una serie di congrue richieste vada fatta agli organizzatori olimpici sovietici: I) che non vi sia per l'occasione limitazione alcuna all'entrata in URSS da qualsiasi frontiera: il visto sia sostituito da un automatico •visto olimpico•; 2) che l'arrivo in URSS dei turisti olimpici non sia prefigurato dalla disponibilità di posti letto negli alberghi. lasciando liberi i turisti medesimi di sbrogliarsela da soli. anche per via privata o campeggiando in zone appositamente attrezzate; 3) che i turisti olimpici non siano ostacolati nei loro movimenti. volendolo. tra una città e l'altra. da impedimenti di polizia (fatti salvi quelli militari): 4) che •turisti olimpici• siano considerati. nel periodo delle Olimpiadi. tutti coloro che decidano di recarsi in viaggio nell'URSS; 5) che uno speciale rublo olimpico a cambio praticabile sia posto a disposizione dei turisti olimpici. Penso questo perché. mentre non ho alcuna fiducia nel minacciato boicottaggio delle Olimpiadi come merce di scambio per provvedimenti di libertà o per iniziative militari da parte del governo sovietico. credo che lasciar passare un'occasione come quella delle Olimpiadi per fare di esse un grande incontro d! massa coi cittadini dell"URSS sarebbe venir meno a1 propri doveri nel campo del possibile. Darei dunque. dei suggerimenti a chi vol~sse partecipare a quell'.incontro in modo da non lasciare solo alla spontanetta le iniziative da prendere. Vedo. ad ~sempio._ ~n be_n preciso campo d"azione per le organizzazioni giovanili democratiche. Non dimenticherò mai che cosa fu l"irruzione del rock and roll tra le mura del Cremlino nel Festival Mondiale della Gioventù del 1957. Basti pensare alla raccolta di adesioni. da preparare fin d"ora. per un viaggio in URSS con pullman_e auto private. vere e proprie colonne. d~ .d1?logant~per la pace, per la cooperazione. per I dmtt1 umani. per la democrazia e il socialismo (naturalmente_~ecando COf! sé anche l"espressione scritta dei proprn sent1ment1 d'amicizia coi popoli sovietici nel q_ua_d"?d~lla con: danna di ogni egemonismo. di og"!'. h~1~az1_onedet diritti democratici dei popoli e degh md1v1du1). All"obiezione che dare alle Olimpiadi di Mosc~ anche questo carattere vorrebbe dire piegare ad altri fini la grande manifestazione,si deve risponder.e c_he proprio se ciò potrà _liberam.enteacca.dere vorr:a d1~e che quelle Olimpiadi sono hbt:re. Se mve.ce gh orga: nizzatori sovietici non s~no '". gra.do ~1 ~v1t~rc .a! comportamenti e ai mov1ment1 dei tunst! 0 0 hmp1c_1 limitazioni che sono proprie della loro soc1et? v~r~ dire che il carattere internazionale delle Ohmpiad1 non viene rispettato. In tal caso, senza invocare 2 ANTONELLO TROMBADORI misure limitative dei singoli governi, dovrebbero essere. nella loro autonomia. i comitati olimpici nazionali e gli stessi atleti di ogni paese a decidere sul da farsi. Non credo che gli atleti americani negri che alle Olimpiadi di Città del Messico salutavano dal video le proprie vittorie col pugno chiuso del Blak Power avessero domandato il permesso a nessuno. Né mi risulta che in quell'occasione il Comitato olimpico dell'URSS abbia elevato proteste. Dedicare fin d"ora a Andrej Sacharov un primato olimpico a Mosca da parte di chi lo voglia tra gli atleti di tutto il mondo sarebbe ben più significativo che ogni preventivo boicottaggio. A Mosca. a Mosca. dunque. come nel finale delle «Tre sorelle•! E. per chiarezza. vorrei avvertire che come non si deve confondere chi pone condizioni politiche per lo svolgimento delle Olimpiadi di Mosca con le forze che intendono aggravare la tensione internazionale. così non si deve mettere in dubbio che chi, invece. propone di far svolgere le Olimpiadi di Mosca incondizionatamente voglia indebolire il fronte della critica più rigorosa e ferma di antichi e recenti inaccettabili atti di governo dell"URSS. Piuttosto c'è da dire che gli uni e gli altri, quando sono in buona fede. sono spinti dalla medesima drammatica speranza che la società sovietica. questo gigante della storia umana. sappia eliminare dal suo seno contraddizioni di tanta imponderabile e distruttiva gravità. La passione che anima. anche negli interni contrasti, la critica e la lotta contro queste minacce è, a ben riflettere, il solo autentico atto di fiducia nell'uomo attualmente operante nel mondo. Questo. prima di ogni altra considerazione. dovrebbero capire i dirigenti sovietici. A Bani Sadr. al •presidente degli ostaggi•. nessuno ha posto •questioni di principio• ma solo squallide. impaurite e interessate offerte di schieramento. Antontlh, Trombadori 26 FEBBRAIO /98(}
l ■I EDITORIALE l ■I Poco demo e troppo cristiani SE NON VI FOSSERO NUMEROSI INTERPRETI del linguaggio criptico della politica italiana, il dibattito che si svolge al Congresso democristiano risulterebbe incomprensibile. La polemica, almeno quella alla luce del sole, avviene infatti. fondamentalmente, tra i sostenitori di due tesi sul piano logico assolutamente equivalenti. anche se l'asprezza dei toni e le vere e proprie risse che ogni tanto esplodono nell'aula non lasciano dubbi sul fatto che ciascuno sottintenda, dicendo le stesse cose, cose diverse. Gli schieramenti si contano infatti sull'adesione all'una o all'altra di queste due posizioni: c'è chi sostiene che non deve cadere la pregiudiziale che impedisce alla Democrazia cristiana di collaborare col Partito comunista al governo del Paese e c'è chi invece ritiene la pregiudiziale caduta, o anche non mai esistita, aggiungendo però che il governo col PCI non è possibile per le posizioni politiche che i comunisti, nei fatti, sostengono. Le tesi, dicevamo, sono assolutamente equivalenti. La «pregiudiziale•, infatti, non attiene al fatto che i comunisti hanno la coda, o mangiano i bambini, o alla calvizie di Napolitano o all'accento rustico dell'eloquenza di lngrao: essa riguarda ovviamente le posizioni politiche del PCI, il disegno di società che i suoi dirigenti e militanti hanno in testa. il suo collocamento nel quadro dei rapporti internazionali, la sua strategia di accesso al potere. la sua storia, il suo essere politico. Certo se il PCI cambiasse nome. rompesse con Mosca. buttasse alle ortiche il centralismo democratico, prendesse atto della mostruosa realtà partorita dall'ideologia leninista. chi potrebbe. ragionevolmente, rifiutare di far cadere la pregiudiziale? E viceversa, che significa dichiarare decaduta o mai esistita quella pregiudiziale, se poi si prende atto che il PCI. bene o male. è comunista. fa parte cioè, sia pure nella sua autonomia, della grande famiglia. che non intende rinnegare, del movimento comunista mondiale, si schiera sempre e sistematicamente, in tutte le questioni che contano e che vanno oltre le pur importanti proteste e distinzioni verbali. su posizioni di politica estera che non dispiacciono a Mosca, non smentisce che i Paesi socialisti sono «socialisti• cioè sia pure imperfettamente vicini (o più vicini delle democrazie occidentali) al modello di società che esso auspica? Non ci si offenda del paragone. Non esiste forse una pregiudiziale della Democrazia cristiana e di tutti i partiti democratici nei confronti del MSI?Ma a che cosa, s~ non alla storia, alla posizione politica e •~eo~o~1cadel Movimento sociale attiene quella pregmdmale? Se il MSI decidesse di denunciare il passato fascista. espellesse Rauti e Almirante, rinunc!asse alle organizzazioni paramilitari e alle simbologie totalitarie, se insomma i fascisti diventassero altro da sé, non sarebbe logico considerare caduta la pregiudiziale nei loro confronti, ora che essi non sono più se stessi? E viceversa, avrebbe senso dire c_henon esiste alcuna pregiudiziale nei loro confronti, ~a~voad ~~iungere che tuttavia ogni collaborazione e 1mposs1b1leperché i fascisti restano fascisti, coi IL LEVIATANO loro legami storici, le loro posizioni politiche, la loro ideologia totalitaria? La vera questione non è dunque se debba o non debba esistere una pregiudiziale nei confronti del PCI. Ma se la Democrazia cristiana ritiene che le posizioni politiche dei comunisti siano compatibili con le proprie, ora o nel prevedibile futuro. Su questo punto la risposta dei delegati democristiani è apparsa diversa. Zaccagnini e i delegati che a lui si richiamano hanno limitato l'arca del dissenso col PCI quali solo ai temi di politica internazionale, gli altri hanno messo in luce differenziazioni più di fondo; i primi hanno ricordato la dottrina sociale cristiana, i secondi hanno portato a modello le società più sviluppate dell'Occidente. Qui, a nostro· parere, è l'elemento di maggiore interesse culturale del dibattito congressuale democristiano (scriviamo prima delle conclusioni e torneremo quindi nel prossimo numero sulle prospettive politiche post-congressuali). Il fatto che quasi mai abbia risuonato al Palazzo ·dello sport la parola «emergenza• e che. conseguentemente, quasi mai l'incontro coi comunisti sia stato giustificato dai democristiani che gli sono favorevoli in termini di via obbligata e transitoria per il superamento di una fase critica acuta. Si è insistito invece sulla necessità che la DC non tomi ad essere incarnazione del •blocco conservatore•, si è parlato della necessità di essere «sensibili• alle istanze popolari. si è lodato il PCI (attaccando il PSI) per non essersi fatto promotore delle battaglie civili del divorzio e dell'aborto. si è polemizzato col •neo-liberalismo• e si è esaltata la funzione «etica• dello Stato nel suo compito di creare una «società migliore•: insomma. si sono messi in evidenza gli elementi di contatto e somiglianza tra cristianesimo e comunismo. i legami profondi delle culture delle due Chiese. Solo un «ma•: quello. appunto. dei legami internazionali dei comunisti. Quasi che, non si sa per quale testardaggine, i comunisti. ormai «affini•, ormai conquistati all'umanesimo e al solidarismo cristiano. volessero restare sentimentalmente legati a un pezzo della loro storia di cui, invece. potrebbe facilmente disfarsi. Noi non sappiamo (anche se propendiamo per non crederci) se la rottura tra Mosca e le Botteghe oscure sarà mai consumata fino in fondo; non possiamo dire se il disagio di dover, se non esaltare. mostrare comprensione per un regime totalitario e aggressivo. l'offuscamento progressivo dell'immagine del «primo Paese socialista• presso le giovani generazioni, il crescere del sentimento democratico e civile nel popolo italiano. finiranno per spingere il PCI a recidere quel legame sofferto e però innegabilmente esistente. Quello che però sappiamo per certo è che i comunisti. senza cessare di essere quello che sono, non potranno mai abbracciare fino in fondo la filosofia politica liberaldemocratica. E quello che possiamo aggiungere è che la loro ostilità verso J"Occidente obiettivamente si incontra e si coniuga con rostilità. diversa ma non meno irriducibile. del pensiero politico e sociale di quei cattolici che ancora oggi, dalla tribuna del Congresso. ricalcando le orme del Sillabo, irridono al liberalismo. allo Stato di diritto, alla laicità. J
TERRORISMO ANGELO VENTURA Autonomia, e Brigate rosse L GENESI E LE LINEE DI SVILUPPO DEL partito della lotta armata e della guerra civile in Italia si stagliano nitidamente, al di là delle zone d'ombra che naturalmente persistono su una vicenda segnata in parte dalla clandestinità (..). Il partito della lotta armata nasce come contraccolpo delle grandi lotte operaie detr •autunno caldo• del '69, quando l'eccezionale vittoria della linea contratin uno scritto del 1974 «brigate rosse dell'attacco operaio e proletario», al quale spetta «un'azione di attacco, che talora può e deve essere di terrore rosso», di «giustizia proletaria». (Negri) Come spiega un documento dell'Ufficio internazionale di Potere Operaio, del 1973: «Se lo Stato è la controparte fondamentale che getta tutto il peso della sua violenza organizzata (polizia, magistratura, fascismo)( ... ) l"organizzazione proletaria ha il preciso compito di apprestare tutti gli strumenti della violenza proletaria che la lotta spontanea non è in grado di produrre, dalla lotta armata, al terrorismo, alla violenza di massa» ( ... ). Così i capi del partito armato programmano e organizzano il terrorismo sulla testa delle masse e di una parte degli stessi militanti, scontando momenti di contraddizione all'interno del movimento, disposti a prendere formalmente le distanze dalle azioni più gravi e meno comprensibili alla loro pur ristretta base, compiute dal braccio terroristico. Ma le polemiche, quando ci saranno, riguarderanno la scelta degli tuale apre una fase di forte ripresa dei sindacati, che spiazza nell'isolamento i gruppi estremistici (... ). L'esigenza di forzare la volontà delle masse da parte di una minoranza organizzata che si ritiene «élite cosciente• (anche se impiega molte perifrasi per non definirsi tale) impone necessariamente «la questione discriminante e decisiva della violenza rivoluzionaria•, e quindi la «costruzione del partito dell'insurrezione•. (•Potere operaio•, n. 35, 27 nov.-5 dic. 1970). (Il concetto di •insurrezione• sarà poi interpretato e risolto in quello più aggiornato rispetto alle mutate condizioni storiche, di •guerra eOTfBI DPDIAIII 6~1972 Lire 50 s.tt,m.anale polillco annoi N.3 ~-m~- CONTRO 1 4 civile di lunga durata•). Parallelamente, attraverso un analogo processo, il Collettivo Politico Metropolitano di Curcio compie la scelta della lolla armata e genera le Brigate rosse (1970). I .a conferenza nazionale d"organizzazione di Potere Operaio (Torino, settembre 1971) lancia la parola d'ordine: •insurrezione come chiave di volta per aprire il processo rivoluzionario•, e delibera: «il partito armato è immediatamente all'ordine del giorno•. Nasce infatti allora l'apparato militare clandestino di Potere Operaio, che si affianca nella lotta armata alle BR e ai GAP di Feltrinelli {... ). Vengono così configurandosi più chiaramente tra il 1972e il 1973la strategia e le strutture del partito della lotta armata e della guerra civile {... ). Ma l'elemento assolutamente originale è costituito dal principio strategico fondamentale su cui è piantato il processo di costruzione del partito della lotta armata, che consiste nell'articolazione dialettica tra i diversi livelli. Da una parte l'«organizzazione di massa•, organismo politico-militare definito anche «base rossa• che pratica tutte le forme di violenza legate alle azioni di massa: appropriazioni autoriduzioni, piccoli sabotaggi, pestaggi,cortei «duri•, lanci di molotov, ecc. Dall'altro il «partito d'attacco•, definito anche da Toni Negri certo non casualmente, LELEZIONI approfondire i distacco fra proletari e istituzioni spostare la fiducia degfi operai su organizzazioni che gestiscano i loro potere. obiettivi e il «livello• dell'azione, risolvendosi però, nella sostanza, in una legittimazione delle azioni terroristiche in quanto «azioni militanti di parte proletaria• («Rosso•, nov. 1978, editoriale). Così, per fare un solo esempio di questo stile, un editoriale di «Autonomia• (15 febbraio 1979), commentando cinicamente le «dipartite di un lavoratore "qualificato" del PCI (Guido Rossa) e di un amministratore "equo" della giustizia capitalistica• (Emilio Alessandrini), giudicava criticabili queste «azioni di combattimento contro esponenti del revisionismo•: •Non tanto per la fine di due impiegati della macchina statale di controllo antiproletario•, ma perché «azzoppare e giustiziare un nemico di classe• sta bene, purché si lavori «dentro l'esperienza dell'illegalità di massa e dello sviluppo del movimento comunista organizzato•( ... ). Il rapporto dialettico tra i due livelli fondamentali {fra i quali in realtà agiscono reti operative a livelli intermedi: si pensi al c.d. terrorismo diffuso) risulta .chiaro. Da una parte l'«illegalità di massa• serve a radicare nelle masse la pratica e la •coscienza• della lolla armata, ed ha al tempo stesso funzione di fiancheggiamento e di vivaio per il reclutamento e l"iniziazione dei giovani da avviare per gradi sulla st~ senza ritorno del terrorismo e della clandestinità. E quindi importante comprendere che l'«illegalità 26 FEBBRAIO 1980
di massa», la violenza organizzata nelle scuole. nelle università, nei quartieri e nelle fabbriche - che non va confusa con altre forme di contestazione radicale e di lotta anche dura, ma contenute entro l'esercizio dei diritti democratici - è parte integrante. funzione primaria e vitale del partito armato. non spontanea violenza sociale che tanti affrettati o interessati esegeti hanno accreditato in questi anni arrivando perfino a contrapporla al «partito armato». (. .. J Poiché i diversi livelli corrispondono a diversi gradi di «maturità» e di iniziazione, tra essi si determina un rapporto ambiguo. che è insieme finzione e realtà, doppiezza erella a sistema, che però al tempo stesso conosce momenti di contraddizione reale, vissuti in modo lacerante all'interno del movimento. Ma pur sempre contraddizione programmata. promossa e gestita con lucido cinismo dal gruppo dirigente. operante, per così dire. al grado supremo dell'iniziazione( ... ). Dal 1973 si entra così nel pieno di una fase di crescente convergenza e omogeneizzazione tra i diversi filoni del partito della lolla armata(. .. ). Il delillo Moro, che innalza lo scontro nel «cielo della politica» ad un livello difficilmente rapportabile ali' esigenza di massificare la lolla armata. apre una fase critica. L'ala di Autonomia, rimasta spiazzata nella condolla dell'affare Moro, reagisce aspramente. definendo le BR «variabile impazzita» del movimento, ma raccoglie la sfida sullo stesso terreno. rilanciando il terrorismo ai più alti livelli, intensificando il cosiddello «terrorismo diffuso» (comincia allora la TONI NEGRI IL LEVIATANO drammatica sequenza delle «notti dei fuochi» nel Veneto), e scatenando la violenza di «massa», vale a dire le azioni squadristiche( ... ). Da parte loro le BR. preoccupate di recuperare consensi, aggiustano il tiro. riguadagnando con sanguinosi attentati a dirigenti industriali l'originario terreno della fabbrica (cfr. Risoluzione n. 5 della Direzione strategica, ottobre 1978). È una tragica rincorsa tra le frazioni del partito armato, che pur allraverso momenti di antagonismo tende tuttavia a ricomporsi nel consueto rapporto dialellico, secondo la nota indicazione di Franco Piperno: «coniugare insieme la terribile bellezza di quel 12 marzo del '77 per le strade di Roma (il corteo di massa armato) con la geometrica potenza dispiegata in via Fani» ( ... ). E a questo punto che il 7 aprile l'inchiesta condotta dal doti. Calogero, il magistrato che già per primo aveva individuato la «pista nera» della «strategia della tensione», s'incunea nel meccanismo eversivo e ne sconvolge la trama, facendone emergere le contraddizioni. Indipendentemente dall'accertamento dei ruoli effettivamente svolti dai singoli individui e dalle diverse componenti affiorano ora alla luce i traili essenziali. la struttura. la strategia, la decennale storia del partito della lotta armata e della guerra civile, che pochissimi avevano prima denunciato. i più ignoravano. e molti. dalle più diverse sponde, avevano tenacemente coperto e favorito o finto di ignorare. per viltà. per complicità od omertà. per istintivo o cinico calcolo d'opportunità politica, o infine per rimozione dalla coscienza dell'incubo di proprie responsabilità politiche e culturali. È questo il dato definitivamente acquisito. ed è l'essenziale e quanto più importa. ai fini della ricostruzione e segna certamente una svolta nella vicenda del partito armato. e della resistenza della società civile e dello Stato contro il terrorismo. Individuato così il soggetto del terrorismo è necessario identificarne la natura sociale e culturale, a partire dall'ideologia. Sviluppando sino alle conseguenze più radicali il nucleo teorico orginariamente elaborato da Mario Tronti a metà degli anni Sessanta. gli ideologi di Potere Operaio compiono fino in fondo il percorso. spesso confuso e contraddittorio, che dal marxismo-leninismo conduce al nichilismo. dalla dialellica all'irrazionalismo, dalla critica del capitalismo al rifiuto della società industriale. dall'operaismo al populismo. Secondo queste teorie, nello stadio attuale del capitalismo maturo, il processo di riproduzione e valorizzazione del capitale si estende dalla fabbrica all'intera società. la cosiddetta «fabbrica sociale». Di conseguenza il capitale s'identifica con lo Stato, che diviene funzione del «comando» del capitale. Partiti e sindacati divengono articolazioni dello Stato, meri strumenti di controllo della classe operaia per conto del capitale. Venuta meno così ogni mediazione politica la lotta di classe diviene direttamente «lotta contro lo Stato» e quindi anche contro i sindacati e i partiti storici del movimento operaio e socialista. che ne sono il braccio secolare nel proletariato. Antagonista radicale dello «Stato del capitale» e dei suoi partiti e sindacati si erge I' «autonomia operaia», l'autonoma espressione cioè. dei bisogni e della volontà di potere del proletariato. Che però non è più la vecchia classe operaia della tradizione. I passaggi teorici sono scanditi dalle formule: operaio - operaio e proletario - proletario - «operaio sociale». E quest'ultima la nuova figura sociale - speculare al concetto di «fabbrica sociale» -, che viene a costituire ora il nuovo «soggetto rivoluzionario». 5
«Operaio sociale• è categoria indifferenziata, che comprende l'operaio-massa delle catene di montaggio come le casalinghe, le lavoratrici a domicilio, i tecnici, e soprattutto gli studenti. i lavoratori del terziario e quindi anche, perché no, i funzionari di banca e i professori universitari, purché naturalmente aderiscano ad Autonomia. Perché il concetto di «ricomposizione di classe• va correttamente inteso come ricomposizione sociale e politica, e quindi non definisce sociologicamente un fatto oggettivo. ma implica la coscienza politica del soggetto. ... L'antagonismo radicale di questa «autonomia operaia» deve tradursi in «lotte contro lo sviluppo•, investire l'intero sistema economico e sociale per provocarne il tracollo. Ma non per instaurare il socialismo, sprezzantemente rifiutato come «capitalismo di Staio», anzi forma estrema e più raffinata del dominio del capitale. È il capitale stesso che va distrutto. Toni Negri giunge a prevedere che la distruzione rivoluzionaria dello Stato dovrà rivolgersi anche contro «scienza, tecnica, macchinario, tutto l'armamentario del lavoro morto, le fabbriche esistenti ... ». Allora quale società? Questo problema non turba gli orizzonti teorici del partito della lotta armata. Ma è significativo d'una comune mentalità collettiva che nel filone più ideologizzatv di Potere Operaio e Autonomia il «comunismo» si risolva nella stravagante utopia del «rifiuto del lavoro» iperbole del marxiano «rifiuto del lavoro salariato•. «Il comunismo è maturo - si afferma nel seminario di fondazione di Autonomia Operaia (Padova, luglio-agosto 1973), in quanto è ormai radicata la consapevolezza «che si può vivere senza lavorare, che ci si può definitivamente liberare della schiavitù del lavoro». (Cfr. anche li comunismo della classe operaia, in «Potere operaio», n. 28, 11-18luglio 1970). La miseria teorica di questa filosofia - che tale resta anche quando si presenta impaludata di boria accademica in veste di sofisticate elucubrazioni sui Grundrisse (cfr. T. Negri, Marx oltre Marx, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 174-77), o di •teoria dei bisogni» in soldoni consumistici - non deve ingannare sulla sua efficacia pratica, come motivazione ideologica di comportamenti violenti e radicalmente eversivi; dagli «espropri proletari» al «voto politico». Il •rifiuto del lavoro» esprime infatti in forma parossistica il rifiuto individualistico di sottostare a regole e valori senza i quali qualunque società organizzata, sia essa capitalista o socialista, e tanto meno la moderna società industriale e di massa. può esistere e funzionare. Non si tratta infatti di riformare o pianificare. La società va distrutta con la sua scienza, la sua tecnica, le sue 6 macchine. la sua organizzazione economica e sociale, lanciandone i frammenti umani in uno spazio cosmico sconosciuto ma che s'immagina ricco d'indefinite felici potenzialità. Emerge così con prepotenza il fondo irrazionalistico di questa concezione, attraverso due passaggi fondamentali: la riduzione della teoria a mero momento della prassi, della lotta di classe, e quindi la negazione radicale della dialettica e della ragione. Già Mario Tronti, in un saggio del '65 ripubblicato in quel best sel/er che fu per la generazione del '68 il volume Operai e capitale, aveva scritto che la cultura «è sempre borghese», in quanto mediazione degli antagonismi. «Se la cultura è ricostruzione della totalità dell'uomo, ricerca della sua umanità nel mondo, vocazione a tenere unito ciò che è diviso, - allora è un fatto reazionario e come tale va trattato•. Occorreva un «lavoro di dissoluzione di tutto quanto già c'è, rifiuto di continuare a costruire sul solco di questo passato. L'Uomo, la Ragione, la Storia, queste mostruose divinità vanno combattute e distrutte, come fossero il potere del padrone•. Così l'ossessiva accentuazione del momento dell'antagonismo, in una logica manichea, conduce Toni Negri alla negazione della dialettica e della ragione. La logica antagonistica «cancella la dialettica anche solo come orizzonte( ... ). Qui il processo antagonistico tende (... ) alla distruzione ed ali' annullamento de/l'avversario. Negare la dialettica, questa formula eterna del pensiero giudaico-cristiano, questa perifrasi per dire- nel mondo occidentale- razionalità( ... ) Fine della dialettica? Sì, perché l'atto di pensiero qui non ha alcuna autonomia dalla forza collettiva, dalla prassi collettiva che costituisce il soggetto in quanto dinamismo verso il comunismo. L'avversario va distrutto. È solo la pratica comunista che può distruggerlo e che deve, con ciò, nello sviluppo di se stessa, liberare la ricca multilateralità indipendente del comunismo». (Marx oltre Marx, p. 197). ... L'irrazionalismo nichilista, l'ebbrezza vitalistica dell'azione, del rischio e della distruzione,le suggestioni estetizzanti - che si colgono negli scritti di molti ideologi della lotta armata e nelle scritte murali - l'odio contro i partiti e i sindacati, il disprezzo per la democrazia, l'arroganza elitaria, il «rifiuto del lavoro», la cinica indifferenza per la vita e la dignità umana: sono tutti ingredienti ben noti. Parlare di nuovo fascismo sarebbe certo semplicistico di fronte ad un movimento che vive ancora una fase di ambiguità e ambivalenza, suscettibile però di determinarsi con radicale e repentino mutamento di segno, come l'esperienza storica ci insegna. Così l'infinità ironia della storia ha voluto che mentre le forze democratiche si mobilitavano contro i detriti pur sempre nocivi e insidiosi del vecchio fascismo, alle loro spalle e tra di esse riemergessero virulente, senza quasi che alcuno se ne rendesse conto, quelle tendenze filistee e irrazionalistiche, che assieme alla componente tecnocratica e produttivistica, contradditoriamente, formarono il fascismo storico. Questa antropologia del partito della lotta armata, la sua cultura e la sua determinazione sociologica, sono la chiave della sua infiltrazione profonda negli interstizi della società, dànno ragione in larga parte delle consonanze. delle indulgenze e delle contusioni che dai più diversi strati sociali e dell'opinione pubblica ne hanno consentito e favorito lo sviluppo. (Il testo che precede è una parte della prolusione letta dal prof. Angelo Ventura in occasione dell'apertura dell'anno accademico dell'Università di Padova. Il testo integrale verrà pubblicato dalla •Rivista storica italiana•). 26 FEBBRAIO /980
INTERNI EPIGONI Stalinista e incolta SuLLA «REPUBBLICA• DEL 13 FEBBRAIO AB· biamo lei/o i seguenti giudizi sull'URSS: «non si può definire imperialista• la politica estera sovietica. «I sovietici sono andati nei paesi del terzo mondo, hanno costruito impianti industriali. addestrato quadri tecnici e politici. Penso all'Università Lumumba di Mosca, dove studiano migliaia di quadri arabi, negri, anche afghani•. Peccato, certo, che qualche q{fihano venga accoppato dai russi nell'Afghanistan. Ma che cosa si vorrebbe dimostrare con ciò? «Se facciamo il caso specifico de/l'Afghanistan, vediamo che negli ultimi quindici anni l'URSS vi ha impiantato 77 stabilimenti industriali•. Ecco perché l'URSS va in Etiopia, in Somalia, in Afghanistan, ecc.: per portare un aiuto fraterno, per impiantare fabbriche e fornire tecnologia; e, soprat111110p,er portare la propria concezione del mondo, le proprie idee, la propria etica. E poiché queste idee sono quelle di Marx, di Engels, di Lenin e di Stalin, chi può pensare che sia una cattiva cosa esportarle, anche (laddove sia necessario) sulla punta delle baio11e11e? E verso la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Polonia, ecc., come si comporta l'URSS? Si può parlare di imperialismo economico? Risposta: • Non è vero! Vedete, il Comecon, la comunità economica dei paesi socialisti, è come la ciltà che produce per la campagna. La Cecoslovacchia, la Germania orientale e in parte l'Ungheria sono la ciltà che produce per la campagna, che è l'URSS. Questa dà le materie prime, gli altri danno prodotti finiti». È vero che questa divisione del lavoro è imposta con eserciti di occ11pazione e migliaia di carri armati; ma non è meno vero che 111110 si svolge alla luce del sole. E Sacharov? Non drammatizziamo. li caso Sacharov è dopotutto solo «un dispetto personale del Cremlino alla Casa Bianca,. «Perché Carter aveva detto: vi diamo gli impianti tecnologici avanzati e voi in cambio non toccate Sacharov. Questo era il palto. Gli americani hanno bloccato gli impianti tecnologici e immediatamente è scattata la rappresaglia•. Che incoscienti, questi americani, e che irresponsabili, a far scollare queste rappresaglie. E il regime sovietico, è oligarchico o no, è repressi• vo o no? «No. Come si fa a definire oligarchia un sistema che si regge sul rapporto di collaborazione di 7 milioni di persone e sul consenso di decine di milioni di lavoratori? Certo è 11nregime particolare,. E l'opinione pubblica? C'è /'opinione p11bblica nel- /' URSS? Certo che c'è, anche q11idi tipo particolare. «Diciamo che non ci sono canali di rappresentanza. Se diciamo che non c'è opinione pubblica, siamo finiti,. Si trai/a, insomma, di un'opinione pubblica senza i mezzi di dijJ'11sione di organizzazione delIL LEVIATANO LEONID BREZNEV /'opi11io11epubblica. Suvvia, ognuno ha i propri modelli, perché fare tanto gli schizzinosi? Potremmo continuare a lungo, ma non vogliamo tediare i nostri /e/tori, che certamente meritano di meglio. Ora dobbiamo solo dire di chi sono questi giudizi: non sono di Breznev (come pure potrebbe essere, per la volgarità e la ma/qfede); non sono di S11slov(come pure potrebbe essere, per la pretenziosità ideologica, posta come cappello alla ragion di Stato); e non sono nemmeno del compagno Ponomarev (come p11repotrebbe essere, per la loro impudicizia). Sono invece giudizi (udite, udite) di 1111caomunista italiana, Rita Di Leo, sedicente sovietologa, s111diosa con scarsi studi, epigono de/l'operaismo. g.b. PARTITI Nessuna cambiale in bianco L, /TAL/A È NOTORIAMENTE UNA REPUBBLICA democratica fondata sui tabù. Attenti, però, a non scagliare la prima pietra, perché il tabù compare spesso là dove meno te l'aspetti, e il nostro Paese è pieno di bigotti delle più diverse qualità, ciascuno con le sue manie e le sue devozioni, pronto a diventare feroce se ti azzardi a mettergliele in discussione. Una forma di bigottismo particolarmente diffusa nella sinistra (che ancora una volta si dimostra stranamente conservatrice) è quella che concerne 7
un'eventuale riforma costituzionale. Quando, qualche mese fa, un noto uomo politico osò parlarne e alcuni politologi ripresero l'argomento, ci furono molti consensi ipocriti mescolati a gratuite insinuazioni circa improbabili attentati alla nostra democrazia. Come spesso avviene in Italia, dopo aver sollevato molta polvere, i riformatori o lasciarono perdere l'argomento o versarono sul loro vino tanta di quell'acqua da renderlo del tutto inappetibile. Tuttavia, nonostante le scomuniche e gli esorcismi, l'argomento torna ad affacciarsi, anche perché la paralisi del sistema politico è arrivata a un punto tale da fare ormai temere la cancrena e la morte. A scendere in campo è stavolta un democristiano, il leader doroteo Bisaglia, che ha proposto non una riforma della Costituzione, ma una più semplice modifica del sistema elettorale, che dovrebbe prevedere un premio di maggioranza (con particolari vantaggi per i minori) per quei partiti politici che, presentandosi apparentati e con un programma coANTONIO BISAGLIA mune, riuscissero a conseguire almeno il 51per cento dei voti. Il ragionamento di Bisaglia è ineccepibile: «nelle democrazie occidentali-egli dice sul "Corriere" del 12 febbraio - la gente sa quasi sempre a che cosa servirà davvero il suo voto; quale maggioranza e Quale 11.ovemopotrà determinare: in una parola. col voto sceglie il tipo di sviluppo che desidera e quello che respinge». In Italia, invece, gli elettori firmano una cambiale in bianco ai partiti, che poi se ne servono per i loro defatiganti giochi di potere. Il risultato è «una sorta di democrazia consociativa, nella quale ciascuna forza politica dovrebbe rinunciare ad essere coerente con se stessa». Sappiamo benissimo che la proposta Bisaglia non avrà migliore fortuna delle precedenti: la proporzionale, nonostante tutti i guasti che produce, è un tabù intoccabile, perché serve magnificamente a coprire troppi equivoci e troppi interessi di bottega. Ascolteremo, perciò, ancora una volta, i soliti pretestuosi argomenti con i quali si arriva alla solita squallida conclusione: lasciamo tutto così com'è, ricorrendo magari a una nuova inutile consultazione elettorale. In nome di una superdemocrazia puramente teorica, rinunciamo a quei miglioramenti che potrebbero farla concretamente funzionare. In questo modo, partiti e uomini politici sperano di sfuggire alla stretta angosciosa della realtà, ma questa resta in tutta la sua durezza. p.b. B SCUOLA Organi delegati, o assemblee? ORMAI DA MOLTI ANNI LA LEGISLAZIONE ITAiiana procede, in tutti i settori, per accumulo e sovrapposizioni: il vecchio continua a convivere faticosamente col nuovo, in un inestricabile ginepraio di norme, che hanno, come unico risultato, quello di soffocare ogni spontanea vitalità della società civile La legislazione scolastica è, a tal proposito, malauguratamente esemplare: nessuna riforma organica, ma un inseguirsi continuo di provvedimenti-tampone, sovente demagogici, quasi sempre portatori di ulteriore confusione. Quando, nel 1974, vennero varati i decreti delegati che, su un corpo quasi paralitico per elefantiasi burocratica e accentratrice, innestavano strutture e istituti di partecipazione democratica, furono ben pochi quelli che compresero come una simile riforma avrebbe avuto necessariamente le gambe corte, dal momento che si pretendeva di conciliare quello che è oggettivamente inconciliabile: l'autogoverno della scuola con l'integrale mantenimento del vecchio apparato burocratico. Che la riforma non potesse funzionare lo si capì nel giro di pochi mesi: genitori e studenti ebbero la sgradevole impressione di essere stati ingannati, mentre i professori si trovarono presi in mezzo fra le tradizionali imposizioni dell'autorità scolastica e le nuove pressioni delle famiglie non sempre preparate a comprendere gli specifici problemi de/l'azione educativa. Il ministro avrà pure il torto di non aver approntato un organico piano di riforma, ma alcuni partiti hanno quello, assai più grave, di aver prestato attenzione a questo problema solo quando si sono accorti che un certo settore della società civilestava solosfuggendodi mano, mentre la Democrazia cristiana e taluni gruppi cattolici recuperavano vistosamente un'influenza che sembrava in gran parte compromessa. Chi ha vissuto direttamente l'esperienza nonfelice di questa prima forma di democrazia scolastica, conosce bene la disinformazione e l'indifferenza delle forze politiche circa i problemi che gli toccava 26 FEBBRAIO /980
I quotidianamente di affrontare, il lorofacile ricorso a formule demagogiche con cui ci si illudevadi blandire gli studenti, mentre si accresceva il loro disorientamento e il loro distacco da un impegno responsabile. li rinvio delle elezioni del 25 novembre, il rifiuto di partecipare a quelle del 23 febbraio, non sono certo un segno diforza per la sinistra e per i laici in genere, bensì l'ultima conferma di una linea di politica scolastica quanto mai ambigua neifini che sipropone e negli strumenti che intende adoperare. Forse Valitutti farà del «lirismo pedagogico», ma i suoi avversari non sembrano mettere in mostra maggiore concretezza. Si prenda, ad esempio, il documento pubblicato dal/' «Avanti!» del I5 febbraio e che contiene le linee di orientamento sulla riforma degli organi scolastici di base, come essa si configura in una proposta legislativa del Partito socialista. Non mettiamo in dubbio le ottime intenzioni di coloro che hanno contribuito alla stesura del documento; prendiamo anche atto che si tratta solo di una parte di un più ampio progetto riformatore che dovrebbe investire l'intera organizzazione scolastica; tuttavia, restiamo abbastanza perplessi difronte a proposte che, invece di semplificare, tendono a rendere ancor più intricata la già ingarbugliatissima struttura scolastica. Abbiamo già visto come il più grosso difetto della riforma del 1974 consista nel 'aver soffocato l'autonomia degli organismi scolastici di base sotto il peso opprimente della burocrazia centrale e periferica fino a svuotarli di ogni effettiva capacità decisionale; ebbene, il progetto socialista proponé ora di istituzionaliuare e potenziare i comitati studenteschi e i comitati dei genitori, che sono sorti, in questi anni, ai margini degli organismi previsti dalla legge; anche se questi comitati dovessero avere, come il progetto afferma, «compiti eminentemente consultivi e propositivi, e di rappresentanza dei problemi e degli interessi più direttamente espressi dalle singole componenti», non è chi non veda come la loro istituzionalizzazione porterebbe al definitivo schiacciamento degli organismi rappresentativi, presi in mezzo fra /'incudine burocratica e il martello, probabilmente demagogico, di assemblee dominate dagli elementi politicamente più attivi, ma non per questo didatticamente pìù responsabili, del mondo scolastico. ISTITUZIONI In discussione al parlamento Paolo Bonetti L'ARGOMENTO DEL CAITIVO FUNZIONAMENto delle Camere è più che mai attuale. L'impressione più chiara che si riceve dal Parlamento dei nostri giorni è di una confusione levantina, causata dalla caduta di quelle regole che hanno caratterizzato l'attività parlamentare fino all'incirca al 1976,quando si concluse la VI legislatura. Regole sçritte, come l'art. 77 della Costituzione, secondo cui il governo adotta decreti-legge soltanto «in casi straordinari, di necessità e d'urgenza•, e regole non scritte, quali l'ostruzionismo ammesso come arma eccezionale, e IL LEVIATANO NILDE JOTII che il Partito radicale ha letteralmente capovolto. A questo punto, trovare una logica nell'attività parlamentare è molto arduo, ma volendo tentare si potrebbe individuarla nella spinta delle minacce: minacce di far cadere il governo, di fare ostruzionismo, e minacce non dei partiti ma di gruppi sociali, come i controllori del traffico aereo. Per la verità, quest'ultimo è un caso in cui l'inerzia è finora più forte della minaccia, ed infatti il provvedimento di smilitarizzazione langue all'ultimo punto dell'ordine del giorno della Camera. che è quello a cui non si arriva mai. Ma vediamo con ordine qualche materia di attualità. Editoria: come spesso è accaduto negli ultimi tempi l'ostruzionismo fine a se stesso, tutt'altro che costruttivo, svolto dal PR nelle già numerose sedute dedicate dalla Camera alla riforma dell'editoria ha sortito l'effetto di provocare un danno peggiore del male che si voleva contrastare. La reazione è stata quella di chiedere ed ottenere dal governo l'emanazione di un decreto-legge anche su questa materia. Si tratta, neanche a dirlo, di un tipico provvedimento-tampone, che, lungi dal rappresentare una riforma organica del settore, serve solo a ripianare il deficit ormai pauroso di alcuni editori vicini ai partiti di regime. C'è da dire che tali deficit sono stati aggravati dal fatto che gli editori, sulla base della promessa riforma, di cui i politici assicuravano la «rapida• approvazione già nella passata legislatura, hanno contratto debiti con le banche sperando di estinguerli al più presto, al varo della legge. Così non è andata e oggi i deficit fanno paura. Ma l'uso dello strumento del decreto-legge è sicuramente inusitato in questa materia e pericolosamente oltre il limite della costituzionalità. Docenze: il disegno di legge di delega per il riordino della docenza universitaria, approvato definitivamente nei giorni scorsi, rappresenta uno stralcio della cosiddetta riforma universitaria di cui si è parlato per decenni e che si è arenata sempre sul problema del personale. Non si tratta, quindi, di un monumento, ma di una legge che ha due soli obiettivi: sistemare le migliaia di laureati, che hanno lavorato molto o poco nelle Università italiane, e introdurre alcuni principi organizzativi delle strutture, come l'istituzione dei dipartimenti (in alcune Università esistono già, ma dovevano essere definiti) e del dottorato di ricerca; del tempo pieno opzionale, e di un regime rigido di incompatibilità. Nella sistemazione degli attuali lavoratori intellettuali c'è un effetto benefico: quello di 9
svelenare l'ambiente. Per contro, l'aspetto gravissimo è dato dal fatto che il precario, quando non supererà il giudizio di idoneità per entrare nella carriera docente·, verrà comunque sistemato negli enti di ricerca o nella pubblica amministrazione, a livello direttivo. Si ,tratta di scaricare nei ministeri tutti i rifiuti dell'Università. Come se non bastasse l'altro capolavoro di immetervi le decine di migliaia di precari della legge285. Contro quest'ennesimo attacco all'apparato statale - che alla fine finisce con l'inquinare tutto il mondo del lavoro - nessuno si è efficacemente battuto. Consumi energetici: ancora a proposito dei decretilegge è sintomatica la vicenda del decreto sui consumi energetici, pendente davanti alla Commissione Industria della Camera in sede referente. L' 11 marzo rischia di decadere questo decreto, che è il terzo della serie, e che sarà verosimilmente sostituito da un quarto. Interessi locali, pressioni di petrolieri, dell'ENEL e di altri potenti gruppi non hanno finora consentito l'approvazione dei primi tre provvedimenti, ma il governo è costretto a mantenere in vita la normativa perché con esso si regola, tra l'altro, il consumo di ·gasolio per riscaldamento, mediante la fissazione di fasce orarie di accensione delle caldaie, variabili da provincia a provincia. Con il quarto decreto-legge si arriverà a coprire tutto l'inverno e cosl il problema del riscaldamento non esisterà più: il governo potrà far decadere, col decreto, la divisione in fasce, regolando le altre norme con un disegno di legge. Vale a_dire che per otto mesi il governo ha regolato una cosi importante materia al di sopra della volontà del parlamento, chiamato a· legiferare solo dopo, quando ormai il problema non si pone più. GiuseppeScròjina . . GIOCO · ~- Who is who? P1ccow Gioco 01 SOCIETÀ: INDOVINARE, partendo da alcune frammentarie citazioni, il contesto più generale preso a materia da un articolo apparso recentemente su una rivista straniera. Per i più bravi - ma dobbiamo avvertire in precedenza che c'è un piccolo trucco -, indovinare anche l'autore. Partiamo: «La "sicurezza" fondata su una incontrollata corsa agli armamenti porta alla guerra, indipendentemente dal fatto che a dare il via sia chi ritiene di aver raggiunto un certo livello di superiorità militare sul 'avversario, tale da assicurargli un esito favorevole del conflitto, oppure chi si vede costretto a compiere questo passo dalla disperazione ... ,: « ... stavolta la faccenda prende una piega del tutto inedita ed allarmante ... »: «Dunque ci troviamo di fronte ad iniziative ed alti concreti che portano ad una nuova pericolosa tornata della corsa agli armamenti nucleari ... • Allora? ... Ma insomma, avrete pur lei/o i giornali nelle ultime se/limane! Il tempo è purtroppo scaduto, e siamo quindi in obbligo difornirvi la spiegazione di questo storico indovinello. L'argomento tra/lato dal- /' articolo in questione non ha nulla a che vedere né con l'Islam né con quanti ad esso ritengono di potersi liberamente ispirare per risolvere in modo autonomo le faccende di casa propria: si sta in/alti parlando 10 delle iniziative proposte in sede NATO per raggiungere un sostanziale riequilibrio nel 'armamento missilistico tra i due blocchi. La perentorietà delle qffermazioni nel merito non è purtroppo temperata neppure dal titolo, dalla forma edificante ma di tono quasi «sperimenta/e,: Provare la via indicata da Leonid Brefoev. A questo punto, per dovere di corretteua documenta/e vi diamo anche il titolo della rivista che ha ospitato l'artico/o in questione, certi de/fallo ruhezom che ormai non avrete più dubbi sull'area di provenienza: si trai/a della rivista sovietica ,Za rubelom•, periodico dedicato al/'a11alisidelle questioni di politica internazionale. L'autore? Beh, avevamo anticipato che era molto difficile indovinare: l'autore non si chiama infa1ti né Gerasimov né Lavrentiev né Starisnikov, ma porta il ben più nostrano nome di Tullio Vecchie/li, ex leader del disciolto PSIUP e attualmente membro della Direzione del PCI. Lo ammelliamo, era un indovinello molto difficile -anche (o soprattullo) per gli oggi dilacerati pacifisti che militano tra le fila del partito di Vecchietti. AVICULTURA Falco & Fa/cuccio «FALCHI, GROSSI E PICCOLI, FALCONI E falchetti, falchi d'altura e falchi da pollaio», scrive EuGenio Scalfari il 18 febbraio. hanno tra le «caratteristiche distintive• quella di «demonizzare l'avversario, l'Unione Sovietica innanzi tutto, poiché la sua demonizzazione è il pilastro che sorregge l'intera politica da essi propugnata». Se non che, nello stesso editoriale. EuGenio cosi definisce i governanti dell'URSS: «un'autocrazia guidata da un gruppo dirigente di settuagenari, dominato dall'apparato burocratico-militare e ossessionato dal terrore dell'accerchiamento cino-americano», la quale «ha come evidente obiettivo quello di fare dell'URSS la prima potenza militare del mondo, sia per quanto riguarda le armi nucleari a lunga, media e corta gittata, sia per la marina e per le armi convenzionali». Stabilito, di comune accordo, chi comanda al Cremlino, e con quali scopi, sembrerebbe logico dar qualche ragione ai «falchi•, tanto più che quando prevalsero le «colombe•, le cose non andarono a finire tanto bene, come sanno i 600.000 profughi vietnamiti e come non sanno più, per estinzione, i tre-quattro milioni di morti in Cambogia. Ma EuGenio ha il coraggio di invitare i «falchi•. che previdero come sarebbe andata a finire, all'autocritica; EuGenio. diversamente da noi, non sente alcuna responsabilità per l'appoggio a suo tempo offerto a Poi Pot e amici, non sente l'urgenza di alcun ripensamento. Logica e coerenza, si sa, non sono il forte del nostro. Forse perché, tra falchi e falchetti, dopo aver puntato tutto sulla carta della partecipazione comunista al governo, con l'invasione dell'Afghanistan e l'aria che tira al congresso democristiano, EuGenio deve aggirarsi smarrito e inebetito, con una mano davanti e una di dietro, come don Falcuccio. 26 FEBBRAIO /980
ESTERI IRAN - Una commissione di vetro ABBIAMO A suo TEMPO CONDANNATOCON estrema durezza e senza alcuna esitazione l'occupa• zione del 'ambasciata americana in Iran. Recentemente abbiamo però salutato l'elezione di Bani Sadr alla presidenza del nuovo regime iraniano come un segno importante della volontà della grande maggioranza del popolo di portare avanti il processo avviato con la rivoluzione dello scorso anno, ma di avviare nello stesso tempo una fase di normalizzazione e di ricostruzione del 'economia del Paese e delle sue a/tua/mente inesistenti strullure statali. Crediamo anche che vadano giudicate positivamente le prese di posizione del .neopresidente nei confronti degli studenti islamici e i suoi tentativi per ridurne i poteri. Allo stesso tempo ci sembra però necessario fare oggi una considerazione di principio sul modo col quale viene affrontato in questi giorni il problema degli ostaggi e della ripresa dei rapporti tra Stati Uniti e Iran. Bani Sadr aveva posto in un primo tempo tre condizioni per la normalizzazione dei rapporti: una autocritica da parte americana sui crimini commessi in Iran tramite il regime imperiale; un riconoscimento del diri//o iraniano a perseguire lo scià; un impegno a rispellare l'indipendenza iraniana infuturo. È evidente che solo la prima condizione, pur /egillima, può porre dei problemi (anche se laforma·del/'autocritica può essere delle più varie), mentre la seconda è estremamente vaga (a meno che non voglia essere segretamente qualcosa di pii)) e la terza è implicitamente già soddisfalla dalla politica di non intervento ado11a1adagli USA al momento della crisi del regime dello scià. Nello stesso tempo il neopresidente aveva sganciato il problema degli ostaggi da quello del/' autocritica americana e anche della ventilata (e oggi decisa) Commissione internazionale di inchiesta sui crimini dello scià. Bani Sadr aveva affermato di non apprezzare simili contrai/azioni fondate sul rica110 e di ritenere che gli ostaggi andassero comunque liberati. Sollo la pressione de/l'integralismo islamico e delle varie correnti della rivoluzione, oggi le cose sembrano invece andare in direzione opposta. Non solo gli ostaggi non vengono liberati, ma si fa consistente la possibilità che la loro liberazione sia condizionata non solo ali' insediamento della sudde11a Cummissione, ma addirillura alla conclusione dei suoi lavori. In questo modo la Commissione lavorerebbe (o lavorerà) sollo il ricallo continuo dell'esistenza degli ostaggi e la loro liberazione sarà legata al gradimento o meno delle sue risoluzioni finali. Se questa fosse la conclusione destinata a prevalere, si sarebbe/allo un altro e pericolosissimo passo avanti sulla strada della distruzione del diri110interlL LEVIATANO ABOLHASSAN BANI-SADR nazionale. I ci11adinidi un Paese, personalmente innocenti, potrebbero sempre essere considerati responsabili difronte alle autorità di altre nazioni della politica del loro Paese,. e verrebbe sancito, con l'adesione dell'ONU, e quindi del più alto organo internazionale, il dirillo a violare impunemente e con successo le pitÌ elementari regole di convivenza tra gli Stati. Sarebbe il trionfo dell'ideologia del terrorismo e di quanti credono che il dirillo sia pura forma e la sostanza siano solo i rapporti di forza. Queste forme sono in realtà i/frullo di una storia secolare di civiltà, ed è tanto lungo e faticoso costruirle quanto facile e rapido distruggerle. Se questo fosse il risultato, anche /'eventuale autocritica statunitense, o la condanna della Commissione internazionale, e il successivo ammorbidimento da parte iraniana sarebbero sempre gravemente ipotecati alle radici. I frulli del rica110marciscono facilmente anche in politica. POLONIA Il capro di turno Aldo G. Ricci li PRIMOMINISTRO,PIOTRJAROSZEWICZ,NOminato quasi a furor di popolo dopo i moti del 1970, dimissionato senza aver potuto svolgere una relazione, almeno giustificativa, sulla sua, pur criticatissima, gestione di governo. Una corale e ossessionante constatazione della •perdita di fiducia dei lavoratori nel partito». Denunce di inefficienza e sprechi nella gestione delle imprese; debiti verso l'Occidente per 17miliardi di dollari. L'agricoltura boccheggiante che Il
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==