arrenda senza combattere. li manuale Cencelli applicato agli incarichi gestiti dai due gruppi, ormai chiaramente delineati nel PSI, parla infatti chiaro. Non si vede che cosa gli autonomisti possano cedere ali' altra parte se si considera che dei 26 incarichi nei settori di lavoro della Direzione essi ne dirigono 9 e il cartello della sinistra 17, fra cui l'organizzazione e gli enti locali; settori altrettanto importanti del/'amministrazione e della propaganda. Mentre per la stampa socialista vi è praticamente parità tra la direzione autonomista del/' «Avanti!» e quella del cartello della sinistra di «Mondoperaio». Allo stato attuale delle cose, dunque, la disputa interna che dovrebbe concludersi con una ripartizione degli incarichi rischia di avere tempi lunghissimi. O addirittura nessun tempo e nessun senso giacché, nelle attuali condizioni, essa decreterebbe una sconfitta che il segretario del PSI non ha subito nel Comitato centrale. Gianni Finocchiaro ALDOMORO I limiti del «confronto» MENTRE SI SVOLGE IL CONGRESSO DEMO-. cristiano, vale la pena di tornare ancora sulla DC con l'aiuto dello storico George L. Mosse, autore di un 'intervista introduttiva agli scritti di Aldo Moro (L'intelligenza e gli avvenimenti, testi 1958-1978) raccolti recentemente da Garzanti. Mosse prende l'avvio dalla crisi del sistema parlamentare e dal difficile rapporto che intercorre tra questo e i miti e i simboli che sono costitutivi della politica in una società di massa: il caso italiano gli sembra in qualche modo esemplare per mettere in evidenza le difficoltà di un metodo politico basato su una continua mediazione, certamente inevitabile ma paralizzante e distruttiva se protratta oltre un certo limite. Dopo il risveglio del sentimento cristiano della vita negli anni dell'immediato dopoguerra, l'aspetto più caratteristico di questi ultimi venti anni è stata la riscoperta delle istituzioni e delle ideologie liberali, che sembravano entrate, nel periodo tra le due guerre, in una crisi irreversibile. L'area liberale si è estesa al punto da inglobare oggi, accanto ai partiti del liberalismo classico (ormai minoritari), anche quelli cristiani e quelli socialisti. Alcuni fra gli stessi partiti comunisti deJr Europa_ occidentale si sono venuti accostando a questa area, anche se persiste in essi, verso i valori liberali, un forte margine di ambiguità. La loro integrazione nel sistema non è ancora completa e sicura e ci si chiede se potrà mai esserlo nella misura raggiunta dai partiti socialisti e socialdemocratici. Perché questo avvenga-osserva Mosse - occorre che i cosiddetti partiti eurocomunisti abbandonino non solo la sostanza dell'ideologia comunista, ma anche le sue formule e la sua retorica: «una delle grandi tragedie del periodo tra le due guerre - afferma giustamente lo storico tedesco - fu che la retorica socialista impedì ad ampi settori dei ceti medi di comprendere che quei partiti socialisti in 6 MORO E ZACCAGNINI realtà erano ormai convertiti stabilmente alle idee liberali». Nell'attuale situazione, che non vede alternative plausibili allo Stato liberale, qual'è, allora, il ruolo dei partiti democratici cristiani? Venuta meno, per la laicizzazione della società, la specifica connotazione religiosa, non molto diversi dai socialisti per quel che concerne la fondamentale matrice liberale, la differenziazione non può ormai aversi che sul terreno della politica economica. In Germania, la scelta democristiana è stata di carattere marcatamente conservatore; in Italia, invece, coi gravi problemi sociali irrisolti e larghe masse che non aderivano ancora ai valori del sistema liberale, la DC ha assunto un ruolo riformatore dal centro-sinistra fino alla politica morotea del confronto: questo ruolo riformatore è, però, ben presto degenerato in un sistema di mediazione e spartizione corporativa, che ha finito, anche in presenza della sopravvenuta crisi economica internazionale, coll'esasperare i contlitti sociali piuttosto che risolverli. L'intuizione morotea di allargare l'area del consenso sociale all'attuale sistema politico era sostanzialmente giusta, ma il suo esasperato formalismo, la tecnica del non governo e del rinvio sistematico dei problemi, hanno prodotto effetti di vero e proprio strangolamento politico: la strategia morotea sembra essere l'ultima riprova di una celebre e più volte ripetuta affermazione di Salvemini, secondo cui in Italia di progressivo c'è soltanto la paralisi. Forse, una scelta della DC in senso chiaramente conservatore o per lo meno apertamente moderato semplificherebbe i termini del problema politico italiano, permettendo un parallelo chiarimento sulla sinistra dello schieramento politico, e imponendo, fra l'altro, ai comunisti italiani, di uscire dall'equivoco ideologico e programmatico in cui la falsa «centralità» democristiana consente loro di rimanere. In un dibattito apparso sul n. 6 di «Rinascita», Giuseppe Chiarante teme la comparsa di una DC giscardiana: a nostro parere, se questo avvenisse, e la DC da partito dell'assistenza si tramutasse in partito dell'efficienza neo-liberista, forse anche la sinistra sarebbe costretta a uscire dal vago dei «progetti socialisti» e delle «terze vie», per imboccare una linea di politica economica anti-demagogica e seriamente programmatoria. Siamo d'accordo con Pietro lngrao quando dice che occorre rilanciare la politica di programmazione e accusa la DC di non saper scegliere, ma restiamo perplessi di fronte alle accuse specifiche che egli muove al governo Cossiga in materia di politica estera, di lotta al terrorismo, di rapporti con i sindacati. In realtà, il governo Cossiga 19 FEBBRAIO 1980
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